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Soltanto un altro Arpista scattò per intercettare la fuga precipitosa dell’Ombra di Seta, ma Narnra gli scagliò in faccia il contenuto del suo ultimo sacchetto di sabbia, superò con un volteggio un tremante Mago della Guerra e scomparve su per le scale, con il respiro affannoso.

Più vecchio e massiccio, Rhauligan la seguì a un’andatura più lenta ma determinata, zigzagando con maggiore cautela fra la folla di Cormyriani attoniti.

Filtrando attraverso quel contatto mentale di stelle vorticanti, il divertimento di una dea si abbatté su tutti loro in una vasta ondata, costringendo la maggior parte di quanti si trovavano nella cantina a cedere a un’impotente ilarità.

Mentre tutti ridevano dondolandosi sulla persona, e calandosi manate sulle cosce, gli occhi giganteschi scomparvero, ed Elminster e la Simbul sparirono insieme alla loro nebulosa luminosità. Di colpo, la sopraffacente presenza della divinità cessò di esistere.

Le risate si spensero in fretta e i Maghi della Guerra e gli Arpisti quasi intontiti si aggrapparono gli uni agli altri per sorreggersi a vicenda, sbatterono le palpebre e sospirarono nel riemergere ciascuno a suo modo dal loro stato di estasi. Molti cominciarono a imprecare e non pochi si chinarono in avanti per puntellarsi con le mani sulle ginocchia, come soldati sfiniti, cercando di ritrovare la lucidità mentale.

«Quella… quella è stata una cosa notevole», commentò con voce fievole un Arpista brizzolato, riponendo la spada; accanto a lui, due Maghi della Guerra si volsero e si abbracciarono a vicenda, il loro tremito incontrollabile che si placava a poco a poco.

In piedi da sola, ancora rivolta verso l’area vuota e buia dove si erano trovati poco prima due Prescelti e la loro dea, la Maga Reale di Cormyr stava tremando in silenzio, piangendo in maniera irrefrenabile con la fiala d’acciaio stretta al petto.

Una donna dalle eleganti vesti scure si staccò dalla folla di Cormyriani e si diresse verso Caladnei, badando ad aggirarla in modo da non spaventarla arrivandole alle spalle, ma procedendo senza rallentamenti o esitazioni.

Senza neppure sollevare lo sguardo, Caladnei intravide una ciocca di capelli che si era recentemente fatta bianca in mezzo a una folta capigliatura e il portamento eretto e aggraziato della figura che si stava avvicinando, e quando un paio di braccia la circondarono con gentilezza, comprese quindi che chi le stava offrendo conforto era Speera.

Laspeera. Caladnei non era certa di potersi rivolgere a Laspeera Inthré Naerinth, comandante in seconda dei Maghi della Guerra durante molti degli anni di servizio prestati da Vangerdahast, chiamandola con il soprannome che le avevano dato i membri della famiglia reale. Laspeera, la dama di cui lei aveva temuto il risentimento e l’ostilità a causa della scelta fatta dal sempre più bizzoso e temuto vecchio Vangerdahast di nominare come suo successore una ignota avventuriera proveniente dal Turmish… ma che era invece diventata un’amica affidabile, continuando inoltre a essere un’amata e fedele diplomatica oltre che un baluardo di forza e una guida morale per i Maghi della Guerra e i nobili del regno.

Non per la prima volta, Caladnei si chiese quali veri pensieri Laspeera celasse dietro la sua perfetta facciata di costante gentilezza, considerato che più di un cortigiano era capace di comportarsi e di parlare in un modo salvo nutrire convinzioni e reconditi intenti di natura del tutto diversa, e che fin troppi re erano caduti per essersi fidati troppo a lungo della faccia sorridente sbagliata.

Nonostante quelle riflessioni, Caladnei non riuscì però a smettere di piangere, e le braccia di Speera che la circondavano le offrirono calore, cullandola con l’affetto che avrebbe potuto venirle da una sorella maggiore.

«Sì, è uno dei momenti culminanti della vita di chiunque», mormorò Laspeera, «e di conseguenza la sua fine ha un effetto devastante… Cala, la vita però continua e ci saranno altri momenti… se lavorerai perché si verifichino».

Quelle parole indussero Caladnei a raddrizzarsi e a ritrarsi di scatto per fissare la Maga della Guerra più anziana.

«Speera?» sbottò. «Mi hai chiamata “Cala”!»

«Che Mystra mi prenda… è vero», convenne Laspeera, con una strizzata d’occhio. «È stato davvero presuntuoso e maleducato da parte mia… un lapsus della mia lingua ribelle.»

Nel parlare continuò a tenere stretta Caladnei, per cui fu pronta a sorreggerla quando lei si accasciò in preda a un’improvvisa e irrefrenabile crisi di riso.

6.

Un coltello in ogni mano

C’è un modo sicuro per sapere se sei giunto in una città dove governano i mercanti: vedrai un coltello stretto in ogni mano. E se i mercanti si saranno spinti tanto oltre da malgovernare quanto i re, alcune di quelle mani non saranno più attaccate al corpo.

Sabras «Tromba di Vento» Araun
Riflessioni di un menestrello
Anno dell’Altomanto

Uno dei picchi più alti dei Corni della Tempesta, quel grande baluardo montuoso che difende il fianco occidentale di Cormyr, è il Tharbost, chiamato da alcuni il «Signore delle Tempeste», che si erge eterno al di sopra del Tunland, così alto e ammantato dai venti che ben poche creature prive di ali sono a conoscenza del fatto che l’elevata punta del suo pinnacolo è stata spezzata molto tempo fa nel corso di una battaglia fra draghi, creando in cima alla montagna una piccola piattaforma. Un bastione di rocce aguzze come zanne che si leva sul bordo occidentale di quell’alto tavolato offre un po’ di protezione dalla furia devastante dei venti, facendo sì che quando il loro soffio si placa leggermente, gli umani che siano eventualmente riusciti a raggiungere la sommità del Tharbost possano sperare di resistere lassù per breve tempo, prima che gli artigli del vento li afferrino e li scaglino di nuovo verso il basso.

Due umani si trovavano in quel momento in piedi su quel tavolato, figure che erano apparse da quello che i menestrelli avrebbero definito il «vuoto nulla» pochi momenti prima, senza nessuna vistosa magia e senza una faticosa e pericolosa scalata.

Il vento gemeva nel crescere di violenza in maniera letale, sferzando la lacera veste nera indossata da una delle due figure e agitandola in maniera assai poco pudica, ma la donna in questione non dava segno di preoccuparsene e restava ferma in atteggiamento tranquillo… senza lottare per mantenere l’equilibrio o mostrare di avvertire il morso gelido del vento… al fianco dell’altra figura che era intenta a sputare per la terza volta una ciocca di barba, per poi borbottare una piccola frase magica destinata a tenere al suo posto l’ingombrante appendice.

«È strano che tu abbia formulato l’incantesimo in modo da controllare la tua barba, ma non il mio vestito», sorrise la Simbul.

«Dovrei presumere di alterare le scelte di abbigliamento di una donna che è anche una regina? Sono considerato da molti uno sciocco impiccione, Signora Fuoco, ma non lo sono fino a questo punto.»

Anche se la maga si limitò a reagire con un sorriso pieno di affetto, una risata divertita si riversò sulla vetta, scuotendo il Tharbost e facendo vibrare alcune delle sue rocce con i propri echi.

QUESTO È QUELLO CHE PIÙ MI MANCA DELL’AVER ABBANDONATO LA MIA MORTALITÀ, affermò Mystra, con una sfumatura di tristezza, una volta controllata la propria ilarità. NESSUNO SCHERZA IN QUESTO MODO CON ME.

Elminster sollevò la testa, un sorriso sempre più ampio che gli si andava allargando sul volto… e prontamente la barba gli volò contro la faccia per impedirgli di pronunciare ciò che stava per dire.

NO, VECCHIO MAGO, LA MIA NON ERA UNA RICHIESTA. ASCOLTA E CREDI.