Accoccolata sottovento rispetto a un grosso camino diroccato, Narnra sussultò per il dolore bruciante a una spalla: a quanto pareva, si era procurata uno strappo, ma non era niente di grave, cosa per cui ringraziava gli dei.
Ah, sì, gli dei che vedevano sempre tutto… sollevando lo sguardo, Narnra lanciò un’altra silenziosa imprecazione all’indirizzo di quegli idioti animati da una fede entusiasta che avevano applicato al Plinto un incantesimo per far sì che di notte risplendesse con tanta intensità. Dopo tutto, i ladri non amavano simili fari che illuminavano a dovere il loro campo d’azione.
E Narnra Shalace era una ladra. Quella era stata la sua professione dal giorno in cui sua madre era morta misteriosamente e vicini, clienti e abitanti di Waterdeep che lei non aveva mai visto prima avevano invaso la loro casa per impadronirsi di tutto ciò che era appartenuto a sua madre. Soltanto una fuga frenetica aveva evitato alla furente e terrorizzata Narnra di essere portata via a sua volta, senza dubbio per essere venduta come schiava dal nobile, chiunque fosse, che aveva mandato i suoi uomini a inseguirla.
Tutti sapevano che a Waterdeep c’erano leggi che si applicavano anche ai nobili e molte altre che, in qualche modo, non si estendevano anche a loro, e inoltre le famiglie nobiliari e quelle di ricchi mercanti possedevano navi e carri in abbondanza, come pure terreni posti fuori dal raggio di applicazione delle leggi di Waterdeep, dove avrebbero potuto far trasportare chiunque e qualsiasi cosa.
Essendosi trovata di colpo senza un soldo, l’orfana Narnra Shalace era andata in caccia sui tetti e nei vicoli, e così era diventata ciò che era adesso… un ennesimo ladro che cercava di sopravvivere in una città che non era per nulla tollerante con chi derubava gli altri.
E adesso era lì, dolorante e intenta a elaborare piani, su un fatiscente tetto del Rione dei Commerci, una giovane ragazza solitaria che era piuttosto agile nel saltare e nell’arrampicarsi, ma non era dotata di vera bellezza, con il fisico snello e dinoccolato, i corti capelli scuri, gli occhi accesi di fuoco nero e il naso aquilino. «L’Ombra di Seta», così si era soprannominata, ma tuttora vedeva gli uomini sogghignare quando pronunciava quel titolo nelle malfamate taverne senza nome vicino ai moli dove gli oggetti rubati potevano essere venduti per poche monete di rame, senza che nessuno facesse domande.
L’inverno era stato difficile, tanto che se non fosse stato per camini come quello accanto a cui si trovava ora, il freddo l’avrebbe uccisa prima ancora che cominciasse a nevicare… e a Waterdeep bisognava lottare per aggiudicarsi gli angoli più caldi dei tetti.
Ultimamente, poi, le capitava spesso di patire la fame, di ritrovarsi affamata e furente, e la paura le era compagna in ogni momento di veglia, inducendola a guardarsi di continuo alle spalle, anche se sapeva benissimo che non serviva a niente; d’altronde, non poteva non essere sgradevolmente consapevole di quanto fossero abili gli altri ladri di quella città… per non parlare della Guardia Cittadina, dell’Ordine di Sorveglianza e di una quantità di abili maghi, il cui numero effettivo era noto soltanto ai Signori Mascherati. Narnra sapeva di non poter tener testa a nessuno di loro, e di non costituire neppure una ridicola sfida per la maggior parte di loro.
Destare la loro attenzione, tranne che come fonte di momentaneo divertimento, avrebbe significato morire.
E così era accoccolata lì, oppressa dal disperato bisogno di monete con cui comprare del cibo e fin troppo propensa a cedere all’ira… cosa che un ladro non si poteva permettere, se voleva sperare di vivere abbastanza a lungo da rivedere l’alba.
Narnra sospirò silenziosamente fra sé nel riflettere che, pur essendo abbastanza agile e snella da potersi aggirare sui tetti, non era però abbastanza avvenente da potersi guadagnare da vivere nella maniera più facile, danzando nuda nelle sale dei banchetti. No, lei era soltanto un’ennesima, solitaria straniera che si arrabattava per guadagnarsi disonestamente da vivere nelle strade di Waterdeep, cosa resa più difficile dal fatto che non possedeva le armi derivanti da un titolo nobiliare o una sua bottega che le rendesse relativamente facile guadagnarsi da vivere disonestamente.
Accigliandosi, tirò fuori la borsa di cui si era impadronita in precedenza, durante una rissa di strada nel Rione dei Moli: quella che doveva essere stata una banda di ladri aveva assalito due mercanti, ma lei si era lanciata nella mischia e aveva sottratto a quei furfanti la loro preda, motivo per cui senza dubbio adesso la stavano cercando…
Tutto per tre monete d’oro… di fattura diversa in quanto provenienti da tre città diverse, ma tutte di buon metallo pesante… sei monete d’argento, quattro di rame e un contrassegno per aprire una cassetta di sicurezza posta in un luogo di Faerûn che non conosceva. Una misera preda, ma avrebbe dovuto accontentarsi.
La ragazza tirò poi fuori da uno stivale una sacca più larga e più leggera, ne aprì i lacci con due dita, quindi controllò che il mantello fosse steso accanto a lei e si trovasse nella giusta posizione prima di avvicinarsi di un dito al bordo del tetto, tenendosi bassa.
Per quanto era in grado di stabilire, l’usuraio non aveva con sé altre guardie. L’uomo, che impugnava una sorta di tirapugni irto di daghe, nascosto a occhi indiscreti mediante un mantello gettato sul braccio, si muoveva infatti con l’atteggiamento guardingo di chi è senza scorta mentre procedeva a passo spedito lungo la Scorciatoia di Lathin per raggiungere la Strada Alta. Là si nascose nell’ombra di un profondo androne in attesa che una pattuglia della Guardia passasse oltre, incamminandosi poi di nuovo a poca distanza da essa, in tutto e per tutto il ritratto di un qualsiasi rispettabile mercante che si fosse venuto a trovare a tarda notte nella parte sbagliata della città e stesse cercando di arrivare a casa sano e salvo.
Se però voleva evitare il Posto di Guardia permanente che si trovava poco più avanti, al crocevia delle grandi strade, fra poco l’usuraio avrebbe dovuto svoltare proprio sotto di lei. L’uomo lanciò un rapido sguardo verso l’alto, e Narnra trattenne il respiro, rimanendo del tutto immobile nella speranza di essere scambiata per una delle statue che ornavano il tetto. In basso, Caethur continuò a camminare, allontanandosi dal muro in modo da poter vedere oltre l’angolo prima di tornare verso di esso per svoltare tenendosi addossato all’edificio.
Con delicatezza, l’Ombra di Seta lasciò cadere dall’alto la misera manciata di monete in suo possesso, in modo che passassero scintillando davanti al naso dell’uomo per poi rimbalzare e rotolare al suolo. Invece di darsi alla fuga nella direzione da cui era giunto, l’usuraio s’immobilizzò a fissare una moneta d’oro che rotolava, poi sollevò lo sguardo verso l’alto.
In tempo per vedersi arrivare addosso una manciata di sabbia proveniente dalla sacca più grande in possesso della ragazza, seguita da un’ombra che gli balzò sopra dall’alto con le mani allargate che tenevano teso il mantello davanti al corpo come una sorta di scudo fluttuante.
L’usuraio Caethur ebbe a stento il tempo di sgranare gli occhi, ma non quello di gridare, prima che la ragazza gli sbattesse contro, scagliandolo sull’acciottolato. Narnra sentì qualcosa che si fratturava e si accartocciava nel corpo dell’uomo mentre gli si manteneva inesorabilmente sopra, i loro corpi che rotolavano insieme sulla strada, poi gli avvolse strettamente il mantello intorno alla testa e gli bloccò con un ginocchio il braccio destro, per impedirgli di usare l’artiglio, utilizzando la mano libera per colpirlo alla gola con tutte le sue forze.
L’impatto stroncò sul nascere i gemiti storditi dell’usuraio, lasciandolo disteso inerte. Narnra tagliò con il suo coltello migliore i lacci della logora borsa dell’uomo, afferrò la sua sacca da cintura… appesantita dalle carte, monete e gemme che conteneva… e si allontanò, lasciandosi alle spalle le monete che aveva sacrificato e il mantello rubato.
Per quanto veloce, la sua manovra non era stata abbastanza rapida, come testimoniò un grido proveniente da un punto più in su lungo la strada, seguito dal bagliore delle torce della pattuglia che si girava.