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«Non l’ho mandata io!» stridette con voce frenetica il mercante legato. «Non l’ho mandata io!»

«È vero», ruggì una nuova voce, mentre qualcun altro irrompeva attraverso la finestra, scagliando in tutta la camera da letto una nuova pioggia di schegge di vetro, «perché lei appartiene a me!».

Annaspando, tremando e cercando debolmente di raggiungere il proprio coltello, Narnra Shalace singhiozzò per il dolore più lancinante che avesse mai sperimentato… una sofferenza lancinante che la stava svuotando a poco a poco…

Lottando per rialzarsi, Malakar Surth conficcò la punta del proprio coltello in profondità nel pavimento, infilandola nella fessura fra due piastrelle e si servì dell’impugnatura per trascinarsi via da sopra la forma sussultante dell’assassina, resa viscida dal sangue; persone del genere portavano spesso con loro dei veleni, magari forniti da lui stesso, quindi voleva allontanarsi da quella donna prima che…

Glarasteer Rhauligan schivò il selvaggio fendente di Bezrar, sferrò un pugno deciso contro il petto rotondo del grasso mercante… sopra il ventre e sotto il cuore, con un impatto che strappò a Bezrar un grido stridulo e soffocato… e continuò la sua corsa, andando a sbattere contro Surth con tanta forza da scaraventarlo contro la parete più vicina, alla quale era addossato un armadio dalle ante di vetro.

Una nuova pioggia di schegge si riversò sugli arti ammaccati di Surth, che si stava dibattendo selvaggiamente, e nel frattempo Rhauligan si rimise in piedi, afferrò Narnra per una spalla e si avviò verso la finestra mentre l’armadio oscillava, tremava in tutta la sua struttura, strappando a Starmara Dagohnlar un urlo di protesta per la triste sorte a cui stavano andando incontro i suoi abiti e le sue camicie da notte migliori, e cominciò a rovesciarsi verso il pavimento con un moto lento, pesante e inesorabile.

Stordito, con le mani che bruciavano ovunque per una miriade di minuscoli tagli, Malakar Surth si sollevò faticosamente su un gomito, tossendo per cercare di respirare, giusto in tempo per chiedersi come mai la poca luce presente nella stanza si stesse oscurando tanto rapidamente, quasi che il nero della notte gli stesse calando addosso dall’alto, solido come un soffitto…

L’armadio infine si abbatté sul pavimento con tanta violenza da far perdere l’equilibrio a chiunque fosse in piedi… o, nel caso dei Dagohnlar, da proiettarli in aria… e con uno schianto così stentoreo da assordare Surth ancora prima che la sua testa emergesse attraverso il sottile schienale dell’armadio con un altro sonoro frantumarsi di legno. Se l’armadio avesse avuto due robuste ante di legno, anziché di vetro, d’altro canto, probabilmente lui non sarebbe stato in condizione di sentire nulla mai più.

In quel momento, peraltro, Surth non era certo nelle condizioni più adatte per indulgere in quel genere di riflessioni; sovrastata da un cappellino di schegge, la sua testa incappucciata oscillò appena e si accasciò da un lato.

Bezrar intravide con la coda dell’occhio quanto stava accadendo al suo compagno mentre lui stesso andava a sbattere contro lo stipite della finestra sfondata, temendo per un nauseante momento di precipitare al di là di essa e nel canale.

Non appena riuscì a rimettersi in piedi, attraversò a precipizio la stanza alla massima velocità anche se con estrema goffaggine, incassando lungo il tragitto un altro doloroso pugno da parte del secondo assassino, e in un attimo oltrepassò la porta della camera da letto, allontanandosi nella casa buia e silenziosa.

Mente passava, alcuni servitori spaventati lo seguirono con lo sguardo attraverso lo spioncino inserito nella porta della loro stanza, ma nessuno di essi si azzardò ad andare a vedere quale fosse la causa di tutto quel tumulto, perché il fatto che gli affari e l’intimità di Dagohnlar fossero una cosa che riguardava soltanto lui era una regola che era stata messa bene in chiaro molti anni prima e spesso ribadita dopo di allora, e a tutti i serviti era stato spiegato con la massima chiarezza che chiunque fra loro avesse osato disturbare i padroni senza essere stato prima convocato con il gong si sarebbe potuto aspettare il licenziamento immediato… o anche qualcosa di peggio.

Ignorando la coppia legata che si dibatteva e implorava freneticamente sul pavimento, Glarasteer Rhauligan trascinò la sua preda verso la finestra, dove la luce era migliore, e le strappò rudemente il cappuccio.

«D’accordo, ragazza», ringhiò, scrollandola, «adesso consegnami i tuoi coltelli… con l’elsa in avanti, bada bene, e…».

Narnra Shalace lo circondò con le braccia… e si accasciò.

Sorreggendola con un braccio, Rhauligan scrutò il suo volto pallido, notando il sangue che sgorgava abbondante dalle labbra e l’oscurità che cominciava ad affiorare negli occhi imploranti… e il fatto che il davanti dei suoi abiti di cuoio, là dove lei gli si stava premendo contro, era scuro e viscido per il sangue.

* * *

La fiamma del braciere divenne più intensa, e quella fiammata improvvisa non si esaurì subito come accade di solito, ma invece andò ingrandendosi e si ripiegò su se stessa nel salire verso l’alto, aumentando di luminosità, pulsando ancora ed espandendosi fino a diventare… una testa che fluttuava nell’aria, la testa di un maschio umano dai lineamenti affilati e dalla barba fluente, che si volse a fissare con espressione tagliente il giovane mago che era la sola persona presente nella stanza.

«Sono qui, Lord Tharundar», sorrise Harnrim «Incantesimi Oscuri» Starangh, «e sono solo. Mancano solo poche ore al mio incontro con Lady Ambrur».

«Sai quali siano i tuoi ordini, e sei riuscito a convincermi della validità dei motivi che ti inducono a incontrare questa persona, quindi perché…»

«So che hai in corso molte importanti operazioni, signore», replicò Starangh, chinando il capo, «e se presumo di abusare del tuo tempo è solo per questo: fino a questo momento, mi sono creato un’opinione sul conto di Lady Ambrur soltanto per sentito dire… basandomi sulle parole di altri. Sono a conoscenza delle sue azioni e dei suoi contatti, so quanto sia ricca, ma non conosco la sua personalità, e mi aiuterebbe enormemente a portare a termine con successo il compito che mi hai affidato se potessi sapere tutto quello che tu sei riuscito ad apprendere sul carattere di questa donna prima d’incontrarla».

La testa evocata mediante incantesimo sfoggiò lo stesso freddo sorriso sottile che in quel momento stava apparendo sul volto del vero Tharundar, che si trovava a mezzo Faerûn di distanza.

«Harnrim, la tua competenza in fatto di incantesimi è forse un terzo di quella che tu pensi di avere», rispose poi la testa. «Tuttavia, sei uno strumento a cui attribuisco un notevole valore perché costituisci una rarità fra i Maghi Rossi. Infatti riesci a combinare la giovinezza, quello che viene definito un “bell’aspetto”, l’ambizione, l’astuzia, la prontezza verbale e il ferreo autocontrollo di un veterano della diplomazia, la pazienza, un talento superbo nell’agire e la capacità di gestire potenti magie. Inoltre», proseguì la testa spettrale, fluttuando più vicina, «tu ti rivolgi a me e fai appello alla mia saggezza e alle mie cognizioni laddove la maggior parte degli altri sarebbe trattenuta dal farlo dall’orgoglio. Bada a rimanere in vita, giovane Starangh, e arriverai davvero molto in alto. Quanto a Lady Ambrur, dimmi prima qual è l’idea che ti sei fatto di lei… in poche parole, perché non hai bisogno di fare ulteriormente impressione su di me».

L’uomo che amava essere soprannominato «Incantesimi Oscuri» allargò le mani in un gesto di divertita perplessità.

«La mia convinzione, per quello che può valere fino a questo momento, è che sia una nobile annoiata e affascinata dagli intrighi, dall’essere informata di tutto e dal conoscere nei minimi dettagli ogni segreto e cospirazione. In altre parole, per lei è tutto una forma di divertimento.»