C’È UN SEMPLICE INCANTESIMO…
«Altissima», rispose con un sorriso la Regina di Aglarond, agitando con noncuranza i capelli, «mi sforzo sempre di non sprecare la magia per cose senza importanza. È così facile prendere l’abitudine di cercare di pilotare Faerûn in ogni piccolo dettaglio della sua esistenza, da dove cadono le ombre al colore delle foglie autunnali… e ogni utilizzo della Tela ha le sue conseguenze. M’importa poco degli indumenti, sono a mio agio in questa vecchia veste lacera, e che importanza ha se tu o El vedete il mio posteriore? In fin dei conti, tutti ne abbiamo uno».
ACCETTO IL RIMPROVERO, replicò la voce tonante di Mystra, in tono più sommesso. LA TUA VISIONE DELLE COSE È QUELLA GIUSTA. NON ESITATE MAI A FARMI OSSERVAZIONI DEL GENERE, TUTTI E DUE, PERCHÉ HO ANCORA UNA QUANTITÀ IMMENSA DI COSE DA IMPARARE… UNA VERA MONTAGNA.
«Non lasciare che i preti ti sentano dire una cosa del genere», gemette Elminster, «altrimenti cominceranno a gettarsi giù dalle montagne in tutto Faerûn».
La risata sorpresa di Mystra echeggiò tutt’intorno a loro con forza sufficiente a staccare piccole schegge di roccia dalla superficie del vecchio Tharbost.
GRAZIE, VECCHIO MAGO. COME MISERA RICOMPENSA, TEMO PERÒ DI AVERE DA OFFRIRTI SOLTANTO ALTRI ORDINI.
«Comanda, Signora dei Misteri», replicò Elminster, piegando al suolo un ginocchio.
RIALZATI, VECCHIO IMBROGLIONE [confusione]… E ACCETTA, TE NE PREGO, LE MIE SCUSE: SO CHE DICEVI SUL SERIO.
«Infatti.»
Qualsiasi divinità era dotata del potere di aprire la mente di qualunque mortale e di leggerla come un libro, mettendo a nudo ogni minimo pensiero, ogni sensazione e ogni ricordo, ma fare un cosa del genere in modo meno che lento e delicato avrebbe rovinato la mente sottoposta a esame.
Inoltre, i Prescelti di Mystra detenevano una certa porzione del suo stesso potere, che divampava ogni volta che Lei penetrava nella loro mente, al punto che procedere oltre era come fissare il sole, bruciare ed essere bruciati, un processo che danneggiava entrambi senza fornire informazioni di sorta. Di conseguenza Mystra… la nuova Mystra… aveva appreso ben presto che era meglio non cercare di vedere al di là dei pensieri e dei ricordi che i suoi Prescelti erano disposti a condividere con lei.
PERDONAMI, EL. STO ANCORA IMPARANDO. ASCOLTA DUNQUE QUAL È LA MIA VOLONTÀ: DEVI INFORMARE CALADNEI DELLE INTENZIONI DI VANGERDAHAST E VEGLIARE SU DI LEI OLTRE CHE SU DI LUI, GUIDANDOLA, QUALORA SI RENDA NECESSARIO. NON VOGLIO PERDERE I MAGHI DELLA GUERRA E NEPPURE VOGLIO CHE SI SCATENI FRA LORO UNA LOTTA INTESTINA… ALTRIMENTI DIVENTERANNO SOLTANTO UN’ALTRA OSTILE E DIVISA CONFRATERNITA DI MAGHI MOSSI DALL’INTERESSE PERSONALE, COME I MAGHI ROSSI.
ALASSRA, QUEGLI STESSI MAGHI ROSSI STANNO CAUSANDO NUOVI PROBLEMI IN AGLAROND. GUARDATI DALLA MAGIA DEL VERME MENTALE OPERATA SU COLORO DI CUI TI FIDI.
«Potentissima», rispose la Simbul, con un sorriso asciutto quanto il suo tono di voce, «non mi fido di nessuno, a parte i presenti, e a volte non sono certa di potermi fidare neppure di voi due».
La risata divina echeggiò di nuovo per la cima montana, ma mentre era chiaro che Mystra aveva interpretato quelle parole come uno scherzo, il sorriso affettuoso e comprensivo di Elminster disse ad Alassra che lui aveva capito che stava dicendo sul serio… e che il suo era come sempre un comportamento saggio.
Malakar Surth aveva la testa che risuonava come una campana e che doleva come se una campana, appunto… un esemplare grosso e arrugginito… fosse stata utilizzata per percuoterla incessantemente. Ringhiando per il dolore e scuotendo il capo nel vano tentativo di trovare un impossibile sollievo, Surth aprì gli occhi e mentre attendeva per un tempo imprecisato che la camera cessasse di vorticargli intorno in tutta la sua gloria fluttuante, ricordò di colpo una cosa: si trovava nella camera da letto dei Dagohnlar.
I Dagohnlar erano suoi giurati nemici, che lui e Bezrar avevano poco prima legato e minacciato… e che molto probabilmente erano ancora nella stanza, sapendo dove poter trovare una quantità imprecisata di armi di cui lui ignorava l’ubicazione, e questo mentre lui aveva invece perso il coltello da qualche parte in mezzo ai rottami dell’armadio che lo aveva abbattuto.
E anche se i due non erano più là, anche se non erano armati e intenzionati a ucciderlo dove si trovava, quella era comunque pur sempre la loro casa, con tutte le guardie, i servitori e i famelici cani addestrati di cui i due dovevano disporre, e lui si trovava proprio al suo centro, impotente e intrappolato sotto i rottami di quel maledetto mobile… sepolto sotto ogni sorta di abito di seta, certo, ma pur sempre intrappolato. Per di più, a giudicare dalla luce che stava filtrando dalla finestra, l’alba era ormai prossima.
L’alba era ormai prossima?
Nel nome di Shar! Incantesimi Oscuri gli aveva ordinato di preparare prima dell’alba la carrozza chiusa per accompagnarlo alla dimora di Lady Ambrur! E sebbene Haelithorntowers fosse ad appena tre strade di distanza e la locanda in cui risiedeva il Thayano fosse lontana altre otto, tuttavia… tuttavia…
Con un urlo che esprimeva la paura e la frustrazione che stavano crescendo dentro di lui, Malakar Surth prese a scalciare, a picchiare con i pugni e a tirare il legno fracassato con la frenesia di un folle, e in qualche modo riuscì a colpire il piede di sostegno dell’armadio che era ripiegato sotto di lui ed era bloccato da quanto rimaneva dell’intelaiatura… e fu libero!
Con un ruggito di fugace, frenetico trionfo, il mercante incappucciato eruppe dal mucchio di rottami lasciandosi dietro una scia di schegge e conservandone alcune addosso; barcollando, raggiunse la porta da cui era entrato degnando appena di un’occhiata i Dagohnlar terrorizzati mentre spalancava il battente e si lanciava oltre la soglia, appiattendo al suolo una timida cameriera che era ferma nel corridoio in preda all’incertezza, reggendo un vassoio su cui erano disposti la caraffa di vino caldo speziato e due boccali destinati alla colazione dei suoi padroni.
Caraffa, vino, vassoio e tutto il resto volarono per aria accompagnati da uno strillo di sorpresa, rimbalzando musicalmente in mezzo all’assortimento di sfere di cristallo lavorato tanto care a Starmara e contro il lampadario tanto gigantesco da risultare grottesco che decorava il sovrastante soffitto a volta; mentre Surth spiccava la corsa, cadeva e si lanciava incespicando giù per le scale a tutta velocità, quell’assortimento di missili tornò a ricadere verso il basso causandogli una nuova collezione di ammaccature.
Un boccale, in particolare, gli rotolò sotto i piedi e lo fece precipitare a testa in avanti giù per una rampa di gradini, mandandolo ad arrestarsi contro un enorme vaso di felci adorno di una serie di manici… e fatto fortunatamente di rame e non di un materiale frangibile come la terracotta. Esso si rovesciò, riversando ovunque terra e rami, e rotolò con un clangore metallico sulla scia di Surth mentre questi scivolava giù per la successiva rampa di gradini, arrivava in fondo a piedi in avanti e nel sollevarsi andava a finire nell’abbraccio di una scintillante armatura, retaggio ereditario dei Dagohnlar, completa di piastre di metallo e più alta di lui di tutta una testa.
L’armatura crollò come… ecco, come un’armatura i cui pezzi siano stati fissati malamente fra loro e che siano quindi liberi di staccarsi e di riversare ovunque il loro contenuto in un caos risonante e rimbalzante; in mezzo a quel disastro, il mercante incappucciato, che stava ora imprecando freneticamente, rotolò per l’ultima rampa di scale vorticando le braccia per mantenere l’equilibrio e terrorizzando l’assonnato portinaio, che si affrettò a spostarsi di lato dopo aver cercato di afferrare una grossa ascia da guerra solo per scoprire che era tanto massiccia da trascinarlo quasi al suolo con il suo peso.
Surth andò a sbattere contro i pannelli intarsiati dei doppi battenti della porta d’ingresso dei Dagohnlar con una velocità e un impatto tre volte superiori a quelli necessari per spalancarli; impotente ad arrestarsi, rotolò giù per gli ampi e umidi gradini di marmo esterni e andò a finire in mezzo alla Via Calathanter, scivolando in avanti fino ad arrestarsi con un gemito sull’acciottolato dopo essere passato su un ammasso di qualcosa di viscido dall’odore fin troppo familiare: sterco di cavallo.