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Ed entro pochi istanti Rhauligan sarebbe riaffiorato e avrebbe teso l’orecchio per determinare dove lei si trovasse, e la sua più probabile destinazione non avrebbe potuto che apparirgli ovvia.

In una direzione… quella in cui si trovava Rhauligan… il canale sfociava nella più ampia rete di vie d’acqua che formava quell’estremità del porto di Marsember, mentre nell’altra, poco più avanti, terminava in un bacino di servizio intasato di reti marce, pesci morti e rifiuti oleosi; una singola chiatta, sfondata e a stento galleggiante, era ancorata a un molo del bacino, e a guardarla pareva che la sola cosa che le impediva di affondare fossero le sue catene di ancoraggio, peraltro così coperte di ruggine da dare l’impressione che potessero presto esalare l’ultimo respiro e cessare di espletare la loro funzione. A quanto pareva, la chiatta doveva essere appartenuta a un magazzino di pietra un tempo maestoso e che adesso pareva rivaleggiare con l’imbarcazione in una gara per diventare abbandonati, dimenticati e assolutamente decrepiti.

Narnra si diresse verso il punto più basso della murata della chiatta, che si trovava almeno una trentina di centimetri al di sotto del pelo dell’acqua, e rotolò sull’antica imbarcazione, sparpagliando alcuni ratti stridenti e inducendo alcuni uccelli addormentati a levarsi in volo per lo spavento.

Naturalmente, quelle erano tutte cose che Rhauligan non avrebbe potuto mancare di notare, ma d’altro canto la benevolenza degli dei non le aveva lasciato alternative.

E anche se adesso lui stava nuotando a tutta velocità per raggiungerla, la prima cosa che doveva fare era rimanere esattamente dove si trovava, seduta su qualcosa di scomodo e di invisibile nell’acqua puzzolente e infestata di granchi di quella chiatta, per cercare di tagliare le corde che la legavano con il coltello che teneva nello stivale.

Sfilare l’arma dalla calzatura evitando di lasciarla cadere e di perderla richiese un certo tempo, conficcarla nel plancito marcio della chiatta fu poi questione di un istante, ma recidere le corde fu di nuovo un lavoro dannatamente troppo lungo, che comportò un taglio a un dito e altre imprecazioni.

Con un ringhio, Narnra scosse la mano che gocciolava sangue e si alzò in piedi, frugando nella sacca da cintura alla ricerca della borsa di riserva… un semplice pezzo di cuoio dalle estremità forate e unite da un laccio… che portava con sé nell’eventualità che le fosse capitato di trovare tanto bottino da aver bisogno di un ulteriore contenitore per trasportarlo (cosa che finora le era successo esattamente due volte in tutta la sua vita). Avvolta intorno al dito con il laccio stretto al massimo, la borsa costituì una sorta di fascia improvvisata per un dito ferito, e una volta ultimata la medicazione di fortuna Narnra attraversò in fretta la chiatta in direzione dell’estremità del bacino e del molo di ancoraggio, che appariva più solido e meno intasato di rifiuti dell’imbarcazione.

Alle sue spalle, le gocce di sangue cadute dal dito sprofondarono come fumo nell’acqua oleosa… che si aprì ribollendo per lasciar emergere un lungo e sottile tentacolo, gocciolante e proteso a tastare avidamente la chiatta ora deserta.

Nell’affiorare, il tentacolo si parò davanti a Glarasteer Rhauligan, che lo fissò con occhi roventi e, senza cessare di nuotare con la massima rapidità, vi passò sopra per afferrare la più vicina catena di ancoraggio.

Le sue dita si chiusero intorno a essa più o meno nello stesso momento in cui altri tre tentacoli apparivano in superficie, inducendolo a portare la mano libera all’impugnatura di una delle sue daghe.

Uno di quei tre tentacoli oscillò nell’aria al di sopra della chiatta, dando l’impressione di poter fiutare e vedere, e si mosse insieme al primo nella direzione in cui era fuggita Narnra, mentre gli altri due si ripiegarono su loro stessi per attaccare Rhauligan.

Nel lanciarsi un’occhiata alle spalle, com’era sua abitudine, questi notò ben tre masse dall’aria sospetta che stavano fendendo l’acqua del canale dirette verso la chiatta, e decise che in quel momento la cosa più saggia da fare era tirare fuori dall’acqua all’istante ogni centimetro della sua logora pelle.

Abbandonata la presa sulla daga senza estrarla, si issò sulla chiatta, il cui plancito marcio si sgretolò come pane bagnato sotto le sue dita. Sentendo i tentacoli che gli scivolavano audacemente lungo le gambe, l’Arpista prese a scalciare, a dimenarsi e a rotolare con tutte le sue forze, senza badare al fatto che stava arando con la faccia la maggior parte di quel che restava della chiatta, se questo serviva a tirare fuori dall’acqua il resto del suo corpo.

E soltanto allora si rese conto che alcuni di quei tentacoli stavano emergendo dalle profondità sommerse della chiatta stessa… una scoperta che precedette di un secondo un urlo di terrore di Narnra, proveniente dall’estremità opposta del rottame semisommerso.

Rhauligan la vide dibattersi come una polena che si fosse improvvisamente animata, con il corpo che oscillava avanti e indietro sulla prua dell’imbarcazione, mentre una foresta di tentacoli si levava nell’aria tutt’intorno a lei… poi una seconda foresta di tentacoli, più piccola ma non meno decisa, si riversò sulla faccia e sul corpo dell’Arpista, cercando di trascinarlo verso l’acqua, di cui lui poteva già avvertire il freddo contatto contro la guancia destra.

Con un ringhio di rabbia, Rhauligan infilò una mano nella camicia di seta fradicia, individuò l’oggetto che portava al collo appeso a un laccio e diede uno strattone.

Gli ci vollero tre strappi prima che quel dannato laccio cedesse, e quando infine riuscì a romperlo il suo braccio era ostacolato dal peso di sei o sette tentacoli, sottili come dita, che vi si erano avvolti intorno. Lottando contro la loro trazione, Rhauligan cercò di alzare il più possibile la mano, lo sguardo fisso sulla ladra a cui stava dando la caccia, che aveva impugnato un coltello e lo stava usando con determinazione contro i tentacoli, il cui numero sembrava però essere infinito.

Anche quelli che si stavano levando tutt’intorno a lui parevano essere sempre più numerosi, e alcuni di essi recavano attaccate ossa umane coperte di alghe, mentre ad altri erano appese addirittura intere parti di scheletri… non c’era davvero da meravigliarsi che il magazzino e la chiatta fossero stati abbandonati in quel modo!

In fretta, Rhauligan borbottò la parola che Alusair gli aveva insegnato. Detestava l’idea di perdere quella magia, una delle poche cose che la Principessa Ereditaria gli avesse mai dato… e con un adorabile, avido bacio di accompagnamento, per di più!… ma avrebbe detestato maggiormente perdere la vita, quindi…

Proprio mentre i tentacoli cominciavano a trascinargli il braccio verso il basso, scagliò l’oggetto verso il centro della chiatta piegando di scatto il polso per farlo arrivare ancora più lontano, e quando esso rimbalzò una volta per poi arrestarsi contro alcuni rifiuti si affrettò a chiudere gli occhi.

Un istante più tardi un’improvvisa ondata di calore gli investì il volto, precedendo il bagliore e il ruggito che scagliarono la chiatta verso l’alto… e scatenarono nei tentacoli una frenetica danza di convulsioni spasmodiche. Un caos di appendici che si contorcevano, si dibattevano e tremavano lo fece rotolare su se stesso, poi i tentacoli si protesero di scatto oltre il suo corpo, cercando disperatamente…

Un’impossibile salvezza dal fuoco che stava divampando lungo la chiatta, ardendo anche sott’acqua grazie alla magia e arrostendo il cuore invisibile da cui dipendevano i tentacoli. Nel momento stesso in cui quelle fradice appendici simili a corde si staccarono a dozzine dal suo corpo, Rhauligan si sollevò sulle ginocchia, giusto in tempo per vedere Narnra che veniva scaraventata oltre l’estremità opposta della chiatta.