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L’uomo incespicò all’indietro, rischiando di cadere, e le scagliò contro il secchio ormai vuoto mirando alla sua testa. Esso rimbalzò però contro uno stivale dell’uomo che aveva avuto in mano il vassoio, e l’istante successivo Narnra balzò in piedi, lanciandosi di corsa verso tre grasse donne urlanti e la loro piccola schiera di pasticci d’anguilla in fase di preparazione.

Le donne sussultarono e si allontanarono in tutte le direzioni mentre lei le oltrepassava zigzagando e con un colpo assestato con un fianco mandava l’ultima di esse a sbattere a testa in avanti dentro un carretto pieno di pentole, padelle e mestoli sporchi con uno schianto al tempo stesso assordante e spettacolare.

Senza soffermarsi, Narnra si lasciò alle spalle quel caos e aggirò a passo di carica un tavolo per affettare, diretta verso la porta d’uscita del locale, che era finalmente in vista.

Il passo le risultò però bloccato da un bancone di vendita, dietro il quale il brizzolato proprietario del locale s’immobilizzò nell’atto di pulire la superficie del banco con uno straccio sporco, fissando l’intrusa a bocca aperta per la sorpresa. Narnra dal canto suo continuò a correre dritta verso di lui con l’intenzione di cambiare direzione all’ultimo momento.

Sul lato opposto dell’affollata cucina, oltre alcuni altri tavoli per affettare, parecchi cuochi stavano imprecando. Fino a quel momento la ladra in fuga li aveva ignorati perché aveva ritenuto che fossero abbastanza lontani da non costituire un pericolo, ma aveva fatto i conti senza la natura irascibile e bellicosa della maggior parte dei Marsembani, che indusse quei cuochi ad afferrare una mannaia dopo l’altra per scagliarla contro la sua figura in corsa. Quelle armi da lancio improvvisate si abbatterono in rapida successione su ciotole, altri cuochi ululanti, portelli di forni e facce di stupiti garzoni che si erano appena raddrizzati per vedere cosa stesse causando tanta confusione.

Una lama vorticante raggiunse Narnra a un braccio, causandole un livido senza però ferirla, e la fece barcollare, mandandola a sbattere contro il brizzolato proprietario della bottega che l’accolse farfugliando una serie di incoerenti esclamazioni di stupore e di paura crescente.

In fretta, Narnra piantò tre pugni decisi contro il grembiule macchiato e puzzolente che copriva il grosso ventre dell’uomo, che vomitò quello che aveva appena finito di mangiare in un fiotto che passò al di sopra del corpo in movimento della ragazza per andare a centrare in piena faccia il primo cuoco che, alleggerito dalla perdita del secchio per gli scarti, era riuscito a lanciarsi goffamente all’inseguimento di quella devastante intrusa.

Accecato e ringhiante per il disgusto, il cuoco barcollò e scivolò con i gomiti lungo un bancone, rovesciando e sparpagliando dozzine di pasticci di anguilla… mentre il proprietario della bottega si ripiegava su se stesso, verdastro in volto, e Narnra superava il bancone principale con un volteggio tanto aggraziato da indurre uno dei giovani garzoni a immobilizzarsi e fissarla affascinato, con il risultato di finire appiattito al suolo dal ringhiante passaggio di Glarasteer Rhauligan.

Nel corso della sua carica attraverso la cucina, l’Arpista e Sommo Cavaliere aveva già superato una tempesta di proiettili costituita da una serie di pentole e padelle, in quanto le mannaie ormai scarseggiavano, ma in quel momento qualcuno trovò un’ultima mostruosità dalla lama nera e la scagliò con mira precisa proprio mentre Rhauligan aggirava il tavolo per affettare diretto alla volta del bancone.

Cogliendo il letale scintillio della lama con la coda dell’occhio, l’Arpista sollevò di scatto un braccio per proteggersi la faccia, con il risultato che la mannaia gli affondò nella spalla e rimbalzò senza danno contro il cranio, invece di squarciargli la faccia o di spaccargli la testa in due.

Stava sanguinando… di nuovo. Oh, quella piccola caccia stava proprio andando di bene in meglio.

L’Arpista emerse dalla porta della bottega e in mezzo alle cortine di nebbia in tempo per vedere Narnra che già si stava inerpicando su per la parete dell’edificio, aggrappata a una grondaia. La ragazza stava scivolando spesso a causa dell’umidità e perché stava cercando il modo di aggirare una balconata che sporgeva dal piano sovrastante la bottega, ma nonostante questo era già fuori dalla sua portata, e lui non avrebbe certo potuto arrampicarsi più in fretta di lei, sempre ammesso che la grondaia si fosse rivelata abbastanza robusta da reggere il peso di entrambi per tutta l’ascesa fino al tetto…

Appena all’interno della soglia della bottega, nello spazio aperto antistante il bancone di vendita, c’era una porta laterale, senza dubbio l’accesso a qualche scala angusta e buia che portava ai livelli superiori dell’edificio.

Girandosi, Rhauligan rientrò a precipizio nel locale, generando nuovi ululati di allarme dalla cucina. La porta laterale risultò chiusa a chiave, ma Rhauligan era solito tenere un piede di porco… ottimo anche come randello, più robusto di una spada e dotato per di più di alcuni denti seghettati… riposto in un fodero allacciato a una gamba, e se ne servì per sfogare contro quella porta tutta la frustrazione che Narnra stava facendo crescere dentro di lui.

Il legno indifeso offrì ben poca resistenza, e ben presto l’Arpista risalì la scala come un vento di tempesta, assestando una spallata alla porta del primo pianerottolo.

Essa s’infranse come se fosse stata investita da un fulmine, spezzandosi a metà, e cedette verso l’interno, mandandolo a cadere addosso a un uomo mezzo addormentato e a sua moglie, appena più sveglia di lui, che giacevano su un materasso di paglia posato per terra. I figli della coppia erano invece già svegli e intenti a guardare il lento rischiararsi dell’alba dall’unica, sporca finestra della stanza, e si girarono di scatto con gli occhi dilatati quando lo stivale dell’incespicante Rhauligan calò sullo stomaco del loro genitore. Senza fiato, l’uomo annaspò per cercare di respirare e agitò convulsamente le braccia, calandone una sulla gola della moglie con tanto tempismo da bloccare sul nascere l’urlo che stava per uscirle dalle labbra.

«Buon giorno!» ringhiò l’Arpista, senza rallentare la propria corsa attraverso la stanza. «La porta del balcone! Fate largo, in nome del re

Uno dei due ragazzi si limitò a fissarlo in silenzio, ma l’altro si affrettò a tirare un chiavistello e a spalancare la porta del balcone, con occhi che brillavano per l’eccitazione. Ringraziandolo con un sorriso, Rhauligan si lanciò fuori nella nebbia e si girò di scatto verso la grondaia in tempo per vedere lo stivale di Narnra che si sollevava appena fuori della sua portata.

Rhauligan tentò comunque di afferrarlo, pur sapendo che avrebbe mancato il bersaglio di parecchi centimetri, come infatti accadde.

Bene, se non altro era quasi riuscito a metterle una mano addosso. Invece, calò quella mano sulla grondaia e prese ad arrampicarsi dietro la sua preda, grugnendo di dolore ogni volta che lo sforzo di issarsi più in alto generava una dolorosa trazione sulla spalla ferita. Doveva arrivarle abbastanza vicino da non darle il tempo di girarsi una volta raggiunto il tetto e di accoltellargli la faccia o le mani… sì, doveva riuscirci, altrimenti…

Narnra gettò un’occhiata verso il basso, sibilò un’imprecazione… ormai Rhauligan era abbastanza vicino da poter avvertire il suo respiro, mentre continuava affrettatamente l’ascesa… e non perse tempo a cercare di sferrargli un calcio o di ferirlo in qualche modo. Invece, fuggì su per la grondaia come una ragazzina che cercasse di sottrarsi a tutti gli incubi che la vita poteva offrire, ansimando e muovendosi con velocità quasi frenetica per poi attraversare di corsa un tetto di tegole smosse e saltare da lì sul tetto dell’edificio vicino.

Atterrò con violenza, rimanendo senza fiato, e subito ruotò su un ginocchio per tenere d’occhio il suo inseguitore, mentre si concedeva un istante per riprendere respiro.