«Collezionisti di draghi?» azzardò Myrmeen, perplessa.
«Maghi intenzionati a impadronirsi degli incantesimi che Vangerdahast sta creando… che deve inevitabilmente creare se vuole riuscire nel suo intento… destinati a vincolare e comandare i draghi. Quei maghi se ne renderanno conto, e alcuni di essi capiranno qualcosa di più, e cioè che Vangey sta attingendo a quanto rimane della sua energia vitale per alimentare tali incantesimi, e lo riterranno debole, vicino alla morte, soprattutto se loro potranno sorprenderlo mentre è intento al suo lavoro e non è preparato a un combattimento. Se dovessero riuscire ad abbatterlo, sarebbero poi liberi di saccheggiare il regno della sua magia… o almeno di quella accumulata da Vangerdahast… o di cercare di governarlo mediante alleanze con i nobili più infidi, e di causare una quantità di altri guai con cui tutte voi dovreste avere ampia familiarità».
Adesso sgomento e orrore erano scomparsi dal volto delle tre donne che stavano fissando Elminster, ed erano stati sostituiti da un’espressione accigliata e pensosa. Dopo un momento, tutte e tre accennarono contemporaneamente a parlare, bloccandosi però prima di emettere suono e cedendo ciascuna la parola alle altre con un cenno.
«Come Maga Reale», affermò infine Caladnei, le labbra serrate in una linea sottile e determinata, «sono io a dover affrontare questa situazione, perché è un mio dovere e perché possiedo del talento magico, per quanto possa essere minimo se paragonato a quello di Lord Vangerdahast. Questo incarico spetta a me».
«Io… hai ragione, Cala», ammise con riluttanza la Principessa Alusair, «anche se mi sembra di mandarti incontro alla morte».
«Il caso vuole che Mystra mi abbia ordinato di occuparmi di persona di questa faccenda», annunciò in tono allegro Elminster, posando la ciotola quasi vuota. «Peraltro, sapendo quale sia il tuo dovere e come ti saresti sentita se ti avessi tagliata fuori dalla faccenda, sono passato a prenderti… con l’approvazione della Madre di Tutta la Magia.»
«Ebbene, se stai collezionando donne che vengano ad assistere mentre impartisci una lezione a Vangerdahast, insisto per venire anch’io», intervenne la Somma Signora di Arabel. «Non voglio perdermi l’occasione di vedere dare il fatto suo al Vecchio Altezzoso… e inoltre dovrebbe comunque esserci anche qualcun altro, a parte voi maghi ottenebrati dalla magia, che funga da testimone e riferisca oggettivamente gli eventi alla Corona.»
«Ben detto, Mreen!» approvò Alusair. «Vecchio Mago?»
«Se Myrmeen Lhal desidera venire con noi, potrà farlo, godendo di tutta la protezione che io sarò in grado di fornire», sorrise Elminster.
E di colpo la sua sedia risultò vuota. Lui, Myrmeen e Caladnei erano scomparsi dalla stanza.
Per un istante, la Principessa Ereditaria Alusair Nacacia Obarskyr fissò a bocca aperta i posti vuoti, poi scattò in piedi e afferrò la spada infilata nel fodero, ringhiando:
«Elminster? Caladnei?»
La sola risposta fu il fievole canto degli uccelli che giungeva dall’esterno. Gettando indietro il capo, la Reggente d’Acciaio sfogò la propria furia in un ruggito inarticolato. Quel vecchio bastardo astuto! In questo modo, non le aveva dato nessuna possibilità di conferire in privato con Cala o con Mreen, e non aveva permesso loro di approntare attrezzature o di organizzarsi in qualche modo.
Spalancata con violenza la porta più vicina, Alusair uscì a grandi passi nella foresta. A causa del suo impeto, il fodero vorticò all’indietro sulla sua scia e quasi sferzò in pieno volto il giovane Lord Malask Huntinghorn, che sbatté le palpebre con perplessità e sospese il suo servizio di guardia alla porta per avviarsi al seguito della Principessa Ereditaria.
Abbassandosi per schivare i rami che oscillavano violentemente per il passaggio di Alusair, il giovane arrivò in un fitto boschetto in tempo per vedere la principessa che, sciorinando una sfilza di imprecazioni che il nobile fu lieto di non poter cogliere con precisione, procedeva a ridurre un indifeso alberello a un mucchietto di legna da ardere con pochi, furenti colpi di spada.
Gettando indietro il capo per allontanarsi i capelli dagli occhi, Alusair si spostò con passo deciso verso l’alberello successivo. Deglutendo a fatica, Malask Huntinghorn trasse un profondo respiro e compì l’azione più coraggiosa della sua giovane vita… forse l’ultima che avrebbe mai avuto modo di compiere.
«Principessa», disse in tono deciso, venendo avanti per bloccarle il braccio, «quell’albero merita di vivere, tanto quanto te e me. Come ci ricorda spesso Lord Alaphondar, il verde cuore vivente del regno risiede negli alberi, e non credo che dovresti…»
La Principessa Alusair si girò di scatto, più rapidamente di come avesse mai fatto nei momenti di passione che avevano condiviso, più repentina di qualsiasi cavaliere del regno che il giovane avesse mai visto in azione… e si scagliò addosso all’erede del Casato Huntinghorn, gettando via la spada per aggredirlo con pugni, calci e unghie.
Malask si ritrovò disteso al suolo supino, senza fiato e con la spalla che gli doleva intensamente per l’impatto contro una radice… poi fitte di dolore ancora più intense gli esplosero nel ventre e lungo le costole quando la Reggente di Cormyr cominciò a tempestarlo di pugni, urlando e ringhiando per l’ira.
Sotto quella tempesta di ginocchiate, colpi inferti con il taglio della mano e schiaffi che gli facevano vibrare gli orecchi e bruciare la faccia, il giovane fu d’un tratto molto lieto di aver indossato un’armatura di cuoio completa, soprattutto la protezione per l’inguine, per prestare quella mattina il suo servizio di guardia; poi la donna che aveva giurato di difendere si protese verso di lui al punto da ficcargli quasi il naso in un occhio e urlò:
«Dannazione a te, grosso rothé, difenditi! Avanti, Malask, combatti!»
«M… mia regina, io…»
«Non sono una dannata regina, né tua né di chiunque altro, Lord Idiota! Sono una guerriera che in questo momento ha un estremo bisogno di un compagno di addestramento! Colpiscimi, grosso mucchio di tremante carne maschile!»
Malask deglutì a fatica e chiuse gli occhi per ripararli da un pugno che per poco non gli gonfiò uno di essi, poi protese con riluttanza un braccio verso l’alto e verso l’esterno, ma Alusair lo spinse da parte con dolorosa violenza e gli sferrò un altro pugno, questa volta sul naso.
«Aaargh!» ruggì il giovane nobile, gli occhi che lacrimavano per l’intenso dolore, mentre cercava di contorcersi in modo da rotolare via da sotto la principessa. «Per gli dei, probabilmente me lo hai rotto, Luse! Adesso per il resto della mia vita avrò l’aspetto di uno zoticone di campagna!» esclamò, proteggendosi con una mano il naso sanguinante mentre sussultava per il dolore, gli occhi che continuavano a lacrimare.
«E perché no? Tu sei uno zoticone di campagna!»
Con un ruggito, Malask Huntinghorn dimenticò del tutto il suo dovere, le principesse, il tradimento, le persone di sangue reale, e quanto fosse risultata a volte morbida e passionale quella particolare persona di sangue reale… e sferrò un pugno con tutta la forza derivante dalla rabbia e dalla sofferenza che stava provando.
Ci fu un grugnito, poi il silenzio, e il peso che gli gravava sui fianchi scomparve.
Sbattendo le palpebre, Malask deglutì a fatica e si sfregò febbrilmente gli occhi con le nocche per schiarirsi la vista.
«Luse? Luse!» chiamò.
«Così va meglio!» gli ringhiò all’orecchio la voce di lei, mentre entrambi i suoi pugni lo raggiungevano alla parte bassa del costato, togliendogli il fiato. Grugnendo e dibattendosi, il giovane prese ad attaccare a sua volta, in qualche modo si trovò a rialzarsi in piedi barcollando sotto una tempesta di colpi e finì per strappare di dosso alla Principessa Ereditaria la morbida camicia da notte nel farla ruotare in modo tale che perdesse l’equilibrio per poi sferrarle un pugno in pieno petto che la scagliò supina sul terreno, ripiegata su se stessa e imprecante.