Con un grugnito di assenso, Mirt passò di nuovo la bottiglia a Elminster.
Naturalmente, essa era già mezza vuota.
Instancabili, le lacere nubi si rincorrevano a vicenda nel cielo, simili ad altrettanti spettri argentei che fuggissero davanti a una profonda oscurità. Dai bastioni, dalle finestre e dalle postazioni di guardia sul Monte Waterdeep, le sentinelle rabbrividirono e distolsero lo sguardo. Con l’alito che si materializzava come brina nella gelida aria notturna, ciascuna di esse rifletté, con qualche malinconica variazione, sul fatto che ci sarebbero state notti come quella molto tempo dopo la sua morte, così come ce n’erano state molto tempo prima della sua nascita.
Tutt’altro che rallegrato da quegli allegri pensieri, ciascuno di quegli uomini si strinse intorno al corpo il mantello o la veste da camera, scosse il capo e cercò di richiamare alla mente cose più piacevoli.
Elminster sollevò il capo per contemplare il susseguirsi di lacere nubi fuggenti… così tante fiamme d’argento che correvano nella luce lunare, spinte dalla fretta silenziosa di arrivare altrove.
«In una notte di luna come questa può accadere di tutto… e fin troppo spesso accade davvero», mormorò, mentre passava sotto una stretta e fetida arcata per addentrarsi in un vicolo ingombro di sterco e di rifiuti.
Il vicolo era a fondo cieco, cosa che destò la perplessità dell’ombra appollaiata in alto che, simile a una voluta di fumo, stava scivolando in avanti su un basso tetto.
Quei dannati mercanti si erano recati alla loro fatale riunione portando con loro poco denaro, tutti quanti. Naturalmente, la sacca che lei aveva nascosto dove nessun altro sarebbe mai riuscito a trovarla era piena di gemme scintillanti e di atti legali che la rendevano proprietaria di tre edifici… addirittura nel Rione del Castello!… ma le monete che aveva usato come esca erano perdute e adesso soltanto tre soldi di rame si paravano fra lei e la fame. Ed ora, per di più, quel vecchio borbottante stava passando proprio sotto il suo nascondiglio migliore…
Il vecchio non sembrava tipo da avere con sé parecchio denaro… ma del resto a lei non ne serviva molto… appena una manciata d’oro per sostituire quello che aveva perduto… solo che le serviva subito.
Spostandosi sul morbido strato di muschio che copriva le logore tegole di legno, Narnra strisciò fino alle rovine di una vecchia torre campanaria che si ergevano sopra il punto centrale del vicolo, proprio nel momento in cui il vecchio passava sotto di lei…
Narnra non aveva più monete e neppure un mantello, ma quell’uomo non sembrava tipo da opporre eccessiva resistenza, e del resto soltanto gli stolti e gli ubriachi si aggiravano disarmati di notte in quei vicoli, quindi le sarebbero dovuti bastare un’altra manciata di sabbia e un calcio deciso quando gli fosse piombata addosso, seguiti da una rapida fuga.
Narnra passò sul tetto successivo, giungendo quasi in fondo al vicolo. Fra un momento, il vecchio si sarebbe accorto che non c’era via d’uscita, avrebbe imprecato e si sarebbe girato, quindi Narnra afferrò una manciata di sabbia, controllò la lama annerita che portava nel fodero affibbiato al polso e si sporse oltre il bordo del tetto.
«Oh, sì!» esclamò, in tono ansimante.
Il suo tono era calibrato in modo da indurre qualsiasi uomo a sollevare lo sguardo, e non appena esso ottenne l’effetto desiderato, lei lanciò la manciata di sabbia, con tempismo perfetto. Dal basso giunse il rumore di uno spostamento affrettato… per gli dei, quel vecchio si era addossato all’estremità cieca del vicolo con la rapidità del vento… poi Narnra spiccò il balzo.
Sebbene fosse scivolato sul viscido strato di rifiuti che copriva il terreno, l’uomo risultò troppo rapido nel muoversi, e Narnra atterrò con agilità felina su una massa di detriti fetidi, mancando del tutto la preda. Inoltre, il vecchio doveva aver avuto gli occhi chiusi quando lei gli aveva scagliato contro la sabbia, perché adesso la stava fissando con calma, un bagliore nello sguardo.
Con un sommesso ringhio inarticolato, Narnra estrasse il coltello e scattò in avanti, zigzagando nella speranza che il vecchio scivolasse sui rifiuti. L’uomo era ancora disarmato e adesso stava ridacchiando… una risata bassa e profonda, simile a quella divertita di un folle.
Furente, l’Ombra di Seta vibrò un colpo di coltello e al tempo stesso schivò di lato, in modo che il vecchio non potesse afferrarla o coglierla di sorpresa attaccando a sua volta; naturalmente, non temeva che lui potesse tentare un affondo, perché in mezzo a quei mucchi di rifiuti una mossa del genere lo avrebbe fatto finire lungo e disteso, ma cominciava a sentirsi certa che quel vecchio stolto non fosse soltanto uno stupido vagabondo, e…
L’uomo prese ad avanzare verso di lei, agendo in tutto e per tutto come se Narnra fosse stata la preda con le spalle al muro e lui il predatore in caccia. Assalita da un timore improvviso, Narnra affondò il coltello nel suo corpo, assestando uno strattone verso l’alto che avrebbe dovuto sventrarlo.
Fu come trapassare una cortina di fumo: il corpo del vecchio era solido contro le sue nocche, ma non esisteva per l’acciaio della sua lama.
Con una sommessa imprecazione che cominciava a prenderle forma sulle labbra, Narnra balzò all’indietro per sottrarsi a una mano protesa verso di lei e si allontanò di corsa, scivolando e incespicando sui rifiuti marci. Due occhi azzurri la fissavano scintillanti da sotto due sopracciglia scure, dominando un naso aquilino ancor più marcato del suo e una barba bianca. Nonostante l’età avanzata, quell’uomo era più alto, più snello e molto più rapido di movimenti di quanto le fosse sembrato, e per di più l’aria intorno a lui stava cominciando a risplendere.
Oh, Dei Veglianti, un mago!
Abbassandosi, Narnra schivò da un lato nella speranza di evitare l’attacco magico, quale che fosse la sua natura, e corse ancora più in fretta con l’intento di cercare di uscire dal vicolo. Quello era stato un errore…
Una cosa scura dotata di tentacoli si levò dai rifiuti e dalle ombre che si stendevano lungo il muro, davanti a lei, e si protese a sbarrarle la strada e ad afferrarla… una cosa dotata di molteplici occhi minacciosi che si spostavano viscidamente in un corpo molle che sibilava e gorgogliava nel venirle incontro.
Quella doveva essere un’illusione creata dall’incantesimo del mago, perché quando questi vi si era addentrato, nel vicolo non c’era stata traccia di cose viscide irte di tentacoli…
Un’appendice fredda e umida le si avvolse intorno al polso.
Narnra emise un urlo involontario e colpì furiosamente con il coltello, tirando e girandosi per evitare che alti cinque o sei tentacoli la raggiungessero; una sostanza scura e appiccicosa scaturì dalla creatura mentre lei singhiozzava e colpiva, tagliando e tirando disperatamente di qua e di là… finché qualcosa cedette e lei si trovò libera così all’improvviso che cadde all’indietro, rotolando in mezzo allo sterco, all’acqua sporca e a viscidi rifiuti putrescenti.
«Mirate», commentò il vecchio, con voce profonda quanto la sua risata, «una ladra ruba il suo più grande tesoro, la sua stessa vita».
Furente, Narnra si rialzò in piedi e si girò di scatto, ansimando. Adesso il mostro era scomparso come se non fosse mai esistito, ma il vicolo appariva cambiato, l’uscita non si vedeva più da nessuna parte ed esso sembrava una fossa rotonda cinta da vecchie mura fatiscenti e piena di rifiuti, spettrale sotto la soffusa luce lunare che filtrava fra le nubi che correvano veloci nel cielo.
Il vecchio era fermo vicino a un tratto di muro, le mani ancora vuote.
«Torna a casa, ragazza, lascia che siano gli stolti a rubare e trovati un mezzo di sostentamento migliore. Anch’io ho provato a fare come te e mi sono divertito, ma… ci sono modi di vivere migliori. Torna a casa.»
«Non ho casa», ringhiò Narnra, di rimando. «I mercanti di Waterdeep me l’hanno rubata, mi hanno rubato tutto!»