«Il tuo tempo non è poi stato così breve.»
«Quella è la mia maledizione», affermò Elminster, chinando il capo.
Narnra lo fissò per un momento, poi incrociò le braccia sul petto e chiese:
«Perché hai lasciato mia madre?»
Facendosi avanti, Elminster la prese per le spalle, guardandola negli occhi, i loro nasi ad appena pochi centimetri di distanza.
«Ragazza», replicò in tono gentile, «il semplice fatto di essermi vicino è spesso letale. Non parlo dei nemici da me abbattuti o degli stolti che tentano di sfruttare il mio potere o la mia presenza per la loro pericolosa causa, ma di gente che si viene a trovare coinvolta suo malgrado o che viene notata da quanti mi odiano. So di oltre duecento fra uomini e donne di tutte le razze e di ogni terra immaginabile… gente che conoscevo bene… che sono morti fra i tormenti perché qualche mio potente nemico pensava che avrei potuto cedere qualcosa o fare qualche importante rivelazione… o sperava di attirarmi in trappola o anche solo di causarmi dolore quando avessi appreso in seguito cosa era successo. Quindi…».
«Quindi ti avvolgi in questa dolente spiegazione, “devo farlo per il bene degli altri”, come in una sorta di mantello e vivi la tua vita seducendo ogni donna che ti capita a tiro, giusto?»
«Una giusta obiezione», affermò con calma Elminster, indietreggiando per versare due abbondanti tazze di tè. «Suppongo di sì. E adesso che lo sai… cosa intendi fare?»
«Te lo chiedo di nuovo: perché hai lasciato Maerjanthra Shalace, dopo averla conquistata e sedotta?» ribadì Narnra, squadrandolo con il mento appoggiato alle nocche.
«Perché ti possa rispondere adeguatamente, devo prima porti io stesso una domanda», affermò il Vecchio Mago, in tono grave. «Hai mai visto prima questo disegno?»
Immergendo un dito nel proprio tè fumante, tracciò sul tavolo un complicato simbolo, permise a Narnra di osservarlo per un momento e si affrettò a cancellarlo.
«No… non credo», rispose Narnra, accigliandosi con aria riflessiva e sentendosi stranamente eccitata. «Aspetta, era raffigurato su un gioiello che mia madre aveva realizzato, e che ha portato per qualche tempo come pendente. Perché?»
«Quello è il simbolo della dea Shar», spiegò Elminster, a bassa voce, «che fra le altre cose, opera contro Colei che io servo».
«Mystra. Vuoi dire… cosa vuoi dire?»
«Tutti gli dei e le dee operano tramite i mortali, e le manipolazioni operate da Shar sono meritatamente leggendarie».
«Pensi che Shar si stesse servendo di mia madre per influenzarti?» domandò Narnra, accigliandosi.
Elminster annuì.
«Ma è ridicolo! E…»
«Ciò che è successo. Ero fra le braccia di tua madre, la stavo fissando negli occhi quando ho percepito l’oscurità insinuarsi dentro di lei e protendersi verso di me, mentre lei emetteva un lamento e mi afferrava più saldamente. Spingendola lontano, sono uscito dalla finestra il più in fretta possibile, trascinandomi dietro vetro, telaio e tutto il resto, perché se fossi rimasto sarei stato sottomesso, oppure Maerjanthra sarebbe stata consumata dal desiderio da parte di Shar di corrompermi. Invece di generare te, tua madre sarebbe stata ridotta a un guscio vuoto e avvizzito.»
«E così te ne sei andato, e mia madre ha avuto me», riepilogò Narnra, fissandolo. «Stai dicendo che io sarei consacrata a Shar… che sarei dalla nascita una creatura della Signora della Notte?»
«No», replicò Elminster, in tono grave, «altrimenti ti avrei ridotta in cenere la prima volta che ti ho letto nella mente. Soltanto le creature create, quelle che nascono dagli dei o dai loro avatar, o ancora esseri la cui mente viene abbondantemente manipolata dagli dei quando sono ancora nel grembo materno, nascono “appartenendo” a questa o quella divinità. Il resto di noi è libero di fare le sue scelte di fede… che possono ovviamente essere influenzate da chiunque cerchi di fuorviarci. Tu sei Narnra Shalace, libera di scegliere. Shar… o anche Mystra, se è per questo… potrebbe possedere e controllare il tuo corpo, ma lo distruggerebbe nell’arco di ore, o al massimo di giorni, a causa dell’enorme potere della sua manifestazione. Tu sei quindi libera di fare le scelte che preferisci. Io invece non sono libero, perché sono legato a Mystra… ma Mystra desidera che tutte le creature mortali possiedano la libertà che deriva loro dall’utilizzare personalmente la magia».
«Una spada in ogni mano, che porta inevitabilmente a versare molto sangue», borbottò Narnra.
«Il prezzo più alto della libertà è sempre il fatto che molti la usano male», convenne Elminster, chinando il capo.
«Mia madre portava di rado quel pendente», mormorò Narnra, voltandosi verso lo scaffale dei vasetti del tè e facendo scorrere le dita su di esso come se le risposte che cercava potessero spuntare spontaneamente in mezzo ai vasetti.
Elminster rimase in silenzio, in attesa, e alla fine sua figlia si volse di nuovo a guardarlo con aria di aperta sfida.
«Padre, cosa faresti se ora io ti dicessi che intendo rifiutare la tua piccola trappola morale, che voglio andare per la mia strada, continuando a rubare, e che non intendo parlarti mai più?»
«È una tua scelta, e per grazia di Mystra sei libera di compierla. Ti darò comunque gli oggetti di cui ti ho parlato, la mia promessa che qui sarai la benvenuta ogni volta che ci vorrai venire, la mia amicizia, se sei disposta ad accettarla, e il mio affetto, anche se non dovessi volerlo».
«E se io ti scagliassi in faccia tutto questo, vecchio mago impiccione che non sei altro?»
«Sarà una mia perdita e un mio dolore», mormorò Elminster, rivolto alla tazza di tè.
«Dannazione a te, vecchio!» esplose Narnra, scagliandogli in faccia quanto rimaneva del suo tè. «Dannazione a te!»
«La mia dannazione», replicò con calma Elminster, rimanendo seduto con il tè che gli gocciolava dal naso e dalla barba, «si è verificata per la prima volta secoli fa… e dozzine di altre volte dopo di allora».
«Risparmia parole del genere per qualcuno che possa esserne impressionato!» ringhiò Narnra, attraversando la polverosa penombra in direzione della porta e spalancandola di scatto.
Florin era fermo appena oltre la soglia, a braccia conserte, e le sbarrava la strada.
A testa bassa, Narnra si lanciò alla carica contro di lui, colpendo con cattiveria, ma il ranger rimase immobile come una statua di pietra, incassando tutti i suoi colpi.
«Elminster?» chiese, con calma.
«Lascia che vada per la sua strada», fu la calma risposta. «Sta scoprendo che crescere è doloroso… mentre credeva di aver finito di crescere già da qualche tempo.»
Florin annuì e rivolse un inchino alla furente Narnra, che intanto aveva cominciato a piangere, indicandole con un cenno della mano che la via era sgombra.
In lacrime, lei l’oltrepassò con andatura rabbiosa, dirigendosi verso il punto in cui il sentiero di pietra si biforcava. Davanti a lei c’era la strada, sulla quale transitavano carretti scricchiolanti guidati da contadini di Shadowdale, che si girarono a guardarla con curiosità, mentre sulla sua destra c’era una placida polla. Per un momento, Narnra rimase ferma, tremando, poi si diresse a destra.
Sul bordo della polla c’era una larga roccia piatta, e lei si gettò su di essa, contemplando l’acqua e imprecando sommessamente.
È andato via e mi ha abbandonata. Se n’è andato, e mia madre è morta. Tutta questa solitudine, tutte le lotte per qualche moneta e un po’ di cibo, l’aver rischiato per anni la vita a Waterdeep…
E adesso sono stata strappata dalla mia casa, trasportata dall’altra parte di Faerûn senza aver modo di tornare indietro e sono vincolata a un’altra maga, e tutto per causa sua.
E lui se ne sta seduto là dentro come una vecchia gargoyle di pietra, guardandomi dall’alto dei bastioni dei suoi anni e rattristandosi perché io non ho commesso i suoi stessi errori. Bah!