Scattando in piedi, Narnra sferrò un calcio al terreno per cercare di scagliare una pietra… una qualsiasi… nell’acqua. La polla era simile a vetro, la sua immagine vi si rifletteva come in uno specchio, e nel guardarla lei si mise in posa per un momento. L’Ombra di Seta, come no!
Furente, vibrò un altro calcio al terreno, sollevando erba e terra e facendo rimbalzare un piccolo ciottolo, che finì nell’acqua.
Per qualche tempo, osservò i cerchi che si allargavano da dove esso era caduto, sedendosi per guardarli meglio. Quel posto era splendido, come rifletté nel sollevare infine lo sguardo per osservare i dintorni. Una rocca, dalla forma stranamente distorta, sorgeva dalla parte opposta del prato, sulla sua sinistra c’era una strada di terra battuta, sulla quale stavano transitando alcuni carretti tirati da muli, mentre alla sua destra una roccia alta il doppio del Castello di Waterdeep si levava dall’erba, dietro la torre.
E su di essa erano visibili alcune teste coperte da elmo e qualche lancia. La stavano sorvegliando, come sempre.
Razza di vecchio bastardo, sospettoso, vecchio… ma no, lassù sventolavano delle bandiere ma non si stava muovendo nessuno, tranne per indicare verso la strada. Stavano sorvegliando la strada.
Suppongo che ci sarà sempre qualcuno a sorvegliarmi, dovunque vada, rifletté.
Si stava levando una brezza gentile, fresca e odorosa di fiori selvatici, e Narnra sollevò il viso per assaporarla nel lasciar scorrere lo sguardo sugli alberi fruscianti e sull’erba oscillante.
Quello era un bel posto, doveva essere piacevole viverci, dovunque si trovasse.
Qualche tempo dopo, Elminster si venne a sedere in silenzio accanto a Narnra, mettendole fra le mani un’altra tazza di tè appena fatto.
«Hai… ecco, hai gettato via l’opportunità di finire l’altra», le disse, con gentilezza.
Narnra lo fissò con occhi arrossati dal pianto e dopo un lungo momento accettò il tè senza dire nulla, affrettandosi a distogliere lo sguardo e a riprendere a contemplare la polla, la tazza fra le mani.
Dopo un po’, cominciò distrattamente a sorseggiarne il contenuto.
Trascorsero altri minuti, e alla fine lei arrischiò un’occhiata sulla sua destra: Elminster le sedeva accanto in silenzio, lo sguardo rivolto verso la polla e non appuntato su di lei, la pipa spenta che gli fluttuava accanto nell’aria.
Quel vecchio impiccione aveva semplicemente intenzione di restarsene lì seduto, magari in attesa che lei implorasse perdono, gli chiedesse di accettarla, dicesse che gli voleva bene? E questo sapendo che non sarebbe potuta fuggire da lui, che non sapeva neppure dove fuggire e che comunque lui avrebbe potuto annientarla quando e come avesse voluto?
Gli ho gettato il tè in faccia, gli ho urlato contro… perché non mi ha già distrutta? si chiese. Di cosa ha paura?
Nel lanciare un’altra occhiata in tralice a suo padre, non le parve che avesse paura di nulla, almeno a giudicare dal modo in cui stava assaporando il profumo della brezza, con il naso sollevato e un mezzo sorriso che gli aleggiava sul volto.
Non sembra spaventato, pensò. Pare compiaciuto di sé, accidenti a lui.
Oh, già, troppo tardi per questo o per quello… che grandi paroloni, quante tranquille asserzioni. Dannato vecchio sicuro di sé.
Traendo un respiro singhiozzante, distolse lo sguardo e bevve un altro sorso: il tè si era raffreddato, ma nel momento stesso in cui lei accennò a ritrarsi con una smorfia, tornò a essere caldo.
«Stai usando la tua magia per questo?» chiese, scoccando un’occhiataccia a Elminster.
«Naturalmente», fu la gentile risposta. «Lo preferisci caldo, giusto?»
Narnra lo scrutò per un momento, sollevando la tazza come se stesse pensando di scagliargliene addosso il contenuto, di nuovo.
«Usi sempre la magia per fare ciò che le altre persone preferiscono?» chiese invece.
«No. La maggior parte della gente non sa neppure cosa preferisce, e i più non si soffermano neppure a riflettere… non trovi?» ribatté lui, girando il capo per osservare alcuni petali portati dalla brezza.
Quella sarebbe una stoccata di qualche tipo nei miei confronti, vecchio? Credi che poche parole astute possano cambiare tutto?
Narnra tornò a volgere le spalle a suo padre, ma ogni volta che provò a guardare, scoprì che era ancora seduto là. Un paio di volte, lui le sorrise, ma Narnra rimase in silenzio, impassibile, e dopo un po’ cominciò a sua volta a osservare lui.
Se ne stava seduto a contemplare Shadowdale, e non pareva infastidito dal suo esame.
«Questo posto è splendido», mormorò infine Narnra, più tardi, quando ormai la sua tazza era vuota.
«Sì. Vengo spesso a sedermi qui. L’alba, il tramonto e il crepuscolo offrono i panorami migliori, naturalmente. Se vuoi farti un bagno, sotto quella roccia ci sono scaglie di sapone e profumo per i capelli.»
«Ti aspetti che io rimanga?» domandò Narnra, scoccandogli un’occhiata sorpresa.
«Non mi aspetto proprio nulla», replicò Elminster, scuotendo il capo, «però ti ho offerto il mio benvenuto e la mia ospitalità in qualsiasi momento tu voglia accettarli, e un giorno potresti arrivare qui desiderando di rinfrescarti, o di lavare via il sangue di qualcuno con cui hai avuto un contrasto, quindi potrebbe tornarti comodo sapere dove si trova il sapone».
«Devo supporre che ci siano degli asciugamani pronti sotto un’altra roccia?»
«No, ma se ti vai a sdraiare su quella pietra laggiù, scoprirai che scalda e asciuga al tempo stesso. Quella farfalla di velluto nero appesa laggiù è uno dei ventagli di Jhessail Silvertree, che viene qui spesso per allargare i capelli sulla roccia e asciugarli a dovere.»
«Io… non ti capisco», ammise Narnra, scuotendo il capo. «Un momento sembri tenero e gentile, proclami le tue nobili motivazioni, ribadisci che esamini sempre ogni cosa da tutti i punti di vista… e tuttavia usi le persone come se fossero animali da soma, ami le donne e le abbandoni con la stessa indifferenza con cui cambi i calzini, e… e… perché?»
«Perché sono soltanto un mortale, distorto al di là di ogni sanità mentale da ciò che ho visto e ho fatto, dal tenere una dea fra le braccia e dall’aver vissuto decisamente troppo a lungo», sussurrò Elminster. «Sono un pazzo furfante che ama interferire nella vita altrui e sono tuo padre… ma vorrei essere anche tuo amico. Io accetto la gente così com’è, e lascio i giudizi ai giovani, una cosa che spero possa imparare a fare anche tu.»
«Vecchio Mago», ribatté Narnra, con fermezza, «i giovani devono imparare a giudicare gli altri, altrimenti non sopravvivono per diventare più maturi. Ammetto tuttavia che… che in te c’è più di quanto pensassi». Poi si volse a guardarlo negli occhi e aggiunse: «Se non avessi mai appreso che sei stato tu a generarmi, saremmo già amici. Io… sto cercando di superare l’ira che provo per essere cresciuta senza padre e per essere poi stata lasciata a cavarmela da sola quando mia madre è morta. Può darsi che sia soltanto una fra le innumerevoli migliaia di orfani dimenticati e abbandonati di Faerûn, ma sono me stessa, la sola persona di cui abbia mai dovuto preoccuparmi, e…».
«Esattamente. Tu sei la sola persona di cui hai mai dovuto preoccuparti. Fatti alcuni amici… veri amici… e avrai molte più persone per cui preoccuparti.»
«E tu ne hai migliaia di cui preoccuparti, è questo che intendi?»
«Mi preoccupo e faccio qualcosa… una quantità di cose, di continuo… per loro. Piango coloro a cui sono venuto meno e quanti mi sono stati sottratti dallo scorrere degli anni. Interi regni che amavo sono scomparsi», rispose Elminster, e con calma aggiunse: «Boo hoo».