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Narnra scoppiò in una breve risata sorpresa e posò la tazza.

«Potrei imparare ad amare questo posto», affermò, quasi con malinconia, poi si volse a fissare suo padre negli occhi e continuò lentamente, quasi lottando per formulare le parole: «Credo che potrei arrivare ad accettare anche te, con tutte le tue menzogne e le tue intromissioni. Un giorno».

«Mi piacerebbe», affermò lui, con gentilezza. «Per me vorrebbe dire molto.»

Narnra annuì, e rimasero a fissarsi negli occhi per quello che parve un tempo molto lungo.

* * *

Mentre osservava suo padre attraverso un velo di capelli arruffati, Narnra si rese di colpo conto di quanto essi fossero aggrovigliati e sporchi di sudore; il suo sguardo si posò con desiderio sulla polla, e dopo qualche altro istante di silenzio lei chiese:

«Ti dispiacerebbe andartene mentre faccio un bagno, se prometto di non fare guai?»

Ridacchiando, Elminster le tolse la tazza di mano e le batté un colpetto sulla spalla.

«Quando avrai finito, mi troverai nella torre intento a preparare la cena. Probabilmente, Florin a questo punto deve aver già rovinato il filo della sua spada affettando cibarie. Come famiglia non sono un granché, ragazza, ma qui sei sempre la benvenuta.»

Narnra lo guardò in modo strano e accennò alla polla.

«Là dentro… non ci sono serpenti, testuggini che mordono o altre cose del genere, vero?»

«No», la rassicurò Elminster, evocando dal nulla una veste morbida, alcuni asciugamani e un paio di pantofole, e chinandosi con un grugnito a disporre il tutto a portata di mano, su una roccia. «Quando sei arrivata, ho chiesto alla bestia che li divora di andarsene, e lo ha fatto».

Narnra lo fissò ancora, con diffidenza, tanto a lungo che alla fine lui si volse e aggiunse:

«Fidati di me.»

«Sto imparando a farlo», replicò lei, con un sorriso in tralice. «Non costringermi a pentirmene, per favore.»

«Se lasci i tuoi vestiti su quella roccia, li recupererò con un incantesimo e li farò lavare mentre sei a mollo… perché di certo ne hanno bisogno. Lascia giù coltelli e tutto il resto, bada bene… starò attento a non permettere che si arrugginiscano. Oh, anche le piccole lame che tieni nascoste fra i capelli, perché stanno cominciando a coprirsi di verderame.»

«Se mi stai ingannando…» cominciò Narnra, trapassandolo con uno sguardo sempre più perplesso.

«Sarò sopraffatto dal rimorso», sorrise lui, avviandosi con passo tranquillo, la pipa che fluttuava alle sue spalle.

Narnra lo guardò allontanarsi, poi scosse il capo: se non altro, aveva un padre interessante. Non appena sentì chiudersi la porta della torre procedette a spogliarsi, badando a mettere tutte le sue cose dove le aveva indicato Elminster… tutto tranne un coltello con il suo fodero, che depose vicino all’acqua, a portata di mano.

Sollevata la pietra che Elminster le aveva indicato, prelevò alcune scaglie di sapone ed entrò nella polla.

L’acqua era davvero splendida.

* * *

«Per gli dei, e se ci trovassero qui?» borbottò Bezrar. «Che storia inventeremo, allora

«Che stiamo pensando di importare un nuovo tipo di tegola da… da Alaghôn, e dovevamo verificare se i tetti degli alloggiamenti erano in stato tale da poterci offrire un mercato interessante», sibilò Surth. «Ma se per una volta ti decidi a tacere, forse qui non ci troveranno!»

Poi entrambi s’immobilizzarono per il terrore, là sul tetto del più grande edificio degli alloggiamenti dei Dragoni Purpurei di Marsember, quando almeno una dozzina di draghi… ciascuno più grande e impressionante di qualsiasi alloggiamento… li oltrepassò in picchiata, come se avesse una grande fretta di arrivare in un qualche punto della città!

I grandi draghi sorvolarono gli alloggiamenti volando così bassi che Malakar Surth, il più alto dei due furfanti, avrebbe quasi potuto toccare uno di quei vasti corpi coperti di scaglie se si fosse alzato in piedi e avesse spiccato un salto verso l’alto.

Lui però non lo fece. Svenire gli parve un’alternativa molto più ragionevole.

22.

Una piccola vittoria

A volte, tutto quello che puoi fare è accontentarti di una sia pur piccola vittoria.

Sorbraun Swordmantle
Settanta estati come Dragone Purpureo: storia di un guerriero fedele
Anno del Principe

«State tranquille», mormorò Laspeera. «Qualsiasi cosa accada, abbiamo Maghi della Guerra in numero sufficiente a tenervi entrambe al sicuro.»

Filfaeril e Alusair reagirono con un identico sospiro.

«Speera, non si tratta di questo», replicò poi la Reggente d’Acciaio. «Il problema è quante persone fedeli perderemo a causa di questo… e quante famiglie nobili ci si rivolteranno contro se abbatteremo le loro giovani teste calde. Quando Cormyr smetterà finalmente di sanguinare

«Arrivano», borbottò Caladnei, indietreggiando, mentre parecchi uomini avanzavano nella sala fiocamente illuminata, le spade snudate che scintillavano sotto la luce da lei evocata.

«Salve, dame Obarskyr», salutò uno di quegli uomini, con voce sonora dai toni colti. «La vostra presenza… sia pure con la scorta di tanti maghi… è per noi gratificante. Desideriamo discutere del futuro del nostro bel re…»

Il nobile barcollò in avanti e cadde prono con un singulto, poi giacque immobile, la spada che tintinnava sulle piastrelle, mentre dai compagni che lo attorniavano si levavano grida irose.

Molti uomini dalle lunghe vesti si stavano materializzando dal nulla… Thayani! Harnrim Starangh lasciò scorrere con freddezza lo sguardo sul salone del Palazzo Thundaerlyn.

«Uccideteli tutti… le donne per prime», ordinò quindi agli altri Maghi Rossi. «Non lasciate in vita nessuno!»

* * *

Bezrar e Surth tornarono a Marsember più o meno nello stesso momento, con l’aria umida e nebbiosa che fischiava loro intorno mentre un grande tetto, tutto guglie e lucernari, veniva loro incontro a velocità vertiginosa. Entrambi erano… oh, dei… erano stretti nella morsa di grandi artigli.

Essi appartenevano a un enorme drago dalle scaglie iridescenti di un azzurro argenteo, e occhi color turchese li stavano fissando con intensità tale da farli tremare e da tenerli entrambi desti. Proprio quando sia Surth sia Bezrar erano sul punto di svenire ancora, dalle grandi fauci scaturì una voce sibilante, simile a un tuono.

«Aprite quei lucernari, in modo che noi si possa vedere chi c’è dentro e sentire cosa succede. Non desidero provocare tutti i Maghi della Guerra e quant’altri maghi si trovino a Marsember facendo a pezzi alcuni edifici scelti a casaccio e massacrando della gente inutilmente.»

«M… m… ma», balbettò Bezrar.

«Tuttavia», aggiunse Joysil, «posso fare qualche eccezione in fatto di uccisioni, se mi provocate. Sì, questo è il tetto del Palazzo Thundaerlyn… e sì, io sono un drago, proprio come tu sei Aumun Tholant Bezrar e tu sei Malakar Surth. Aprite quei lucernari!»

I due contrabbandieri balzarono sul tetto con rapidità frenetica e presero ad armeggiare con chiavistelli che non erano stati ingrassati o mossi per decenni… decenni di nebbia, di uccelli incontinenti e di volatili stanziali che… che…

«Oh, dei!» sibilò Surth, con le dita scosse da un tremito impotente. «Non riusciremo mai…»

Bezrar, che ansimava come un tricheco e versava sudore a fiumi, estrasse il coltello e ne calò con decisione l’impugnatura sul pannello di vetro sporco che aveva davanti.

Dall’interno giunse un grido e una ruggente vampata di fuoco esplose attraverso il lucernario infranto. In alto, un drago eseguì una brusca virata, protese il collo e alitò qualcosa per tutta risposta.