Gli ritorno in mente un pensiero che gia aveva formulato: Come Sansone e le colonne del Tempio!
Un angolo della sua mente si domando, angosciato: Quanti Eterni avevano mai sentito parlare di Sansone? Quanti sapevano in quale modo era morto?
Rimanevano solo venticinque minuti. Non sapeva con certezza quanto tempo gli sarebbe stato necessario. Non sapeva neppure se l'idea avrebbe funzionato.
Ma aveva altra scelta? Le sue dita madide di sudore per poco non lasciarono cadere l'arma, mentre tentavano di aprire l'impugnatura.
Comincio a lavorare rapidamente, completamente assorbito da quello che faceva. Tra tutti gli aspetti del suo piano, la possibilita di passare nella non-esistenza era quella che meno occupava la sua mente, e meno la preoccupava.
Quando mancava un minuto, Harlan si mise davanti ai comandi.
Indifferente, distaccato, penso: L'ultimo minuto di vita?
Non vedeva nulla intorno a lui, nulla di quello che avveniva nella sala, solo il movimento retrogrado dell'indicatore rosso che segnava il passare dei secondi.
Meno trenta secondi.
Penso: Non fara male. Non e la morte.
Cerco di pensare soltanto a Noys.
Meno quindici secondi.
Noys!
La mano sinistra di Harlan abbasso un interruttore, verso il punto del contatto. Non troppo in fretta!
Meno dodici secondi.
Contatto!
Ora il generatore automatico avrebbe assunto il controllo delle operazioni. La spinta sarebbe giunta esattamente al momento dello zero. E questo lasciava ad Harlan un'ultima possibilita di azione. Sansone che afferrava le colonne del tempio!
La sua mano destra si mosse. Non guardo la sua mano destra.
Meno cinque secondi.
Noys!
La sua mano destra si mos… ZERO… se di nuovo, spasmodicamente. Non la guardo neppure questa volta.
Era questa la non-esistenza?
Non ancora. Non era ancora la non-esistenza.
Harlan guardo fuori della finestra di osservazione. Non si mosse. Il tempo passava, e lui non se ne accorgeva.
La sala era vuota. Nel punto in cui c'era il gigantesco cronoscafo chiuso non si vedeva nulla. I blocchi di metallo che gli avevano fatto da basamento erano vuoti, e sollevavano nell'aria vuota le loro braccia di ormai inutile forza.
Twissell, che appariva stranamente piccolo e minuto nella sala che era diventata una caverna in attesa, era l'unica cosa che si muoveva, camminando nervosamente su e giu.
Gli occhi di Harlan lo seguirono per qualche istante, poi lo abbandonarono. E poi, senza alcun suono ne alcun movimento, il cronoscafo ritorno nel punto esatto che aveva occupato prima della partenza. Il suo passaggio attraverso il confine tra il passato e il presente non aveva agitato neppure una molecola d'aria.
Twissell era nascosto dalla massa del cronoscafo, ora, ma poi il vecchio giro intorno alla gigantesca sfera, correndo.
Un guizzo della sua mano grinzosa fu sufficiente ad attivare il meccanismo che apriva la porta della sala di comando. Twissell entro come un fulmine, gridando con un'eccitazione quasi lirica:
«E fatta! E fatta! Abbiamo chiuso il circolo!» Non gli rimaneva il fiato per dire altro.
Harlan non rispose.
Twissell guardo fuori della finestra di osservazione, appoggiando le mani sul vetro. Harlan noto le vene bluastre, le innumerevoli rughe, e il tremito che agitava quelle mani. Era come se la sua mente non fosse stata piu in grado di filtrare le cose essenziali da quelle irrilevanti… era come se lui fosse stato solo in grado di osservare, senza discernimento, in maniera completamente casuale e caotica.
Stancamente, penso: Che cosa importa? Nulla ha piu importanza, ormai.
Twissell disse, con voce che ad Harlan apparve lontanissima, e quasi indistinta:
«Adesso posso confessarti di essere stato piu in ansia di quanto non abbia voluto far credere. Una volta, Sennor aveva detto che l'intera faccenda era impossibile. Affermava che sarebbe accaduto qualcosa, per fermare il progetto… Cosa c'e?»
Si era voltato, nell'udire lo strano gemito strozzato di Harlan.
Harlan scosse il capo, riusci a mormorare un «Niente» indistinto, e Twissell non fece altre domande. Continuo a parlare… non tanto ad Harlan, quanto all'aria che lo circondava. Era come se lunghi anni di ansie si stessero finalmente sfogando in parole.
«Sennor era il dubbioso,» disse. «Abbiamo ragionato e discusso con lui. Abbiamo usato la matematica, presentando i risultati di generazioni e generazioni di ricerche che avevano preceduto il nostro lavoro nell'Eternita. Lui respingeva tutte queste argomentazioni, e presentava la sua tesi citando il paradosso dell'uomo che incontra se stesso. L'hai sentito tu stesso, quando ne ha parlato. E il suo argomento preferito.
«Sennor diceva che noi conoscevamo il nostro futuro. Per esempio io, Twissell, sapevo che avrei vissuto, malgrado l'eta molto avanzata, fino al giorno in cui Cooper avrebbe fatto il suo viaggio al di la del Terminale Primo. Conoscevo altri particolari del mio futuro, delle cose che avrei fatto.
«Impossibile, diceva Sennor. La Realta doveva Mutare per correggere questa mia indebita conoscenza del futuro, anche se questo significava che il circolo non si sarebbe mai chiuso, e l'Eternita non sarebbe mai stata stabilita.
«Non so perche continuasse a discutere di queste cose. Forse ne era sinceramente convinto, forse per lui era un gioco intellettuale, forse era semplicemente il desiderio di scuoterci tutti quanti, adottando un punto di vista impopolare. In ogni modo, il progetto e andato avanti, e una parte del memoriale cominciava ad avverarsi. Per esempio, trovammo Cooper, nel Secolo e nella Realta che ci erano stati forniti dal memoriale. La tesi di Sennor veniva distrutta da quel solo fatto, ma lui non si scomponeva per cosi poco, oh, no! Aveva gia trovato altri motivi d'interesse.
«Eppure, eppure…» rise, sommessamente, con una lieve traccia d'imbarazzo, e la sigaretta dimenticata si consumo, fin quasi a scottargli le dita ingiallite, «Vedi, ho sempre avuto una sensazione di disagio, di inquietudine. Qualcosa avrebbe potuto accadere. La Realta nella quale l'Eternita e stata edificata avrebbe potuto cambiare in qualche modo per evitare quello che Sennor definiva un paradosso. Avrebbe dovuto Mutare in una Realta nella quale l'Eternita non fosse mai esistita. A volte, nel buio delle mie ore di riposo, quando non riuscivo a prendere sonno, riuscivo quasi a convincermi che le cose sarebbero andate cosi… e adesso e tutto finito, e posso ridere dei miei timori come dei timori di un vecchio stupido.»
Harlan disse, a bassa voce:
«Il Calcolatore Sennor aveva ragione.»
Twissell si giro di scatto:
«Cosa?»
«Il progetto e fallito.» La mente di Harlan stava uscendo dal regno delle ombre (perche, e in quale altro mondo stesse andando, questo ancora non lo sapeva, ne gli interessava saperlo.) «Il circolo non e completo.»
«Che cosa stai dicendo?» Le vecchie mani di Twissell afferrarono le spalle di Harlan, scuotendolo con una forza insospettabile. «Non ti senti bene, figliolo. E colpa della tensione.»
«No, non sto male. Sono nauseato. Nauseato di tutto. Di voi. Di me. Non sto male. L'indicatore. Guardate voi stesso.»
«L'indicatore?» Twissell si volto. L'indicatore era fermo sul 27° Secolo, spostato all'estremita destra. «Cosa e successo?» La gioia era scomparsa dal viso del Calcolatore. Al suo posto c'era lo sgomento, che si trasformava gradualmente in orrore.
Harlan parlo in tono freddo, pratico.
«Ho fuso il meccanismo che bloccava la leva.»
«Come hai potuto…»
«Avevo una frusta neuronica. L'ho smontata, e ho usato l'energia contenuta nella micropila tutta in una volta, come una torcia. Ecco quello che ne rimane.» Con un calcio, fece spostare un mucchietto di frammenti metallici che si trovava in un angolo.
Twissell non capiva ancora.
«Nel 27°? Vuoi dire che Cooper e nel 27°…»
«Non so dove sia,» disse Harlan, con voce stanca. «Ho spostato indietro il comando, piu indietro del 24°. Non so dove. Non ho guardato. Poi l'ho riportato avanti. E non ho guardato neppure la seconda volta.»
Twissell lo fisso, attonito, pallidissimo, e il suo labbro inferiore comincio a tremare.
«Non so dove sia, adesso,» ripete Harlan. «E perduto nel Primitivo. Il circolo e spezzato. Pensavo che tutto finisse nel momento in cui ho agito, allo zero. Era un'idea sciocca: dobbiamo aspettare. Ci sara un momento, nel tempo fisiologico, nel quale Cooper si accorgera di essere nel Secolo sbagliato, nel quale fara qualcosa di diverso da quanto e scritto nel memoriale, nel quale…» Si interruppe, poi scoppio in una risata lugubre e forzata. «Che differenza fa? E solo un ritardo, poi Cooper fara l'ultima mossa che spezzera per sempre il circolo. E impossibile fermarlo. Minuti, ore, giorni. Che differenza fa? Quando finira questo ritardo, non ci sara piu l'Eternita. Mi avete sentito? Sara la fine dell'Eternita.»