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La guardia notturna la raccolse, l'appese al manubrio e lì, in mezzo alla strada, si provò a riparare la molla. Che cosa non sanno fare due mani abili? Dopo qualche minuto il cip cip del Canarino echeggiava di nuovo, un poco velato, non più così allegro e spensierato, forse, perché il Canarino l'aveva vista brutta. Ma era pur sempre un suono vivo.

— Piacerà al mio bambino — pensò la guardia notturna. — Gli dirò che me l'ha dato la Befana. Gli dirò che l'ho vista, perché io lavoro di notte: che gli manda tanti saluti e gli ordina di stare allegro.

Questo pensò la guardia notturna, mentre pedalava nella neve, e quando doveva svoltare, invece di schiacciare il campanello della sua bicicletta agitava la gabbia, e faceva risuonare i cip cip del Canarino. Un bel sistema anche questo.

Il Monumento parlante

Il viaggio del Pilota Seduto fu assai movimentato, e del resto c'era da aspettarselo, con quel tempaccio.

Mentre si sforzava di tenersi in mezzo alla strada, di non urtare nei fili del tram, di non andare a sbattere contro qualche gronda, e infine di vederci un palmo più in là del suo naso, con la neve che si ammonticchiava sui vetri della cabina, il-Pilota Seduto pensava con invidia alla Befana:

— Chissà come fa quella vecchia signora, a cavarsela senza guai con una semplice scopa mentre io, che pure volo con un apparecchio modernissimo, rischio di precipitare da un momento all'altro.

— Inoltre — proseguì fra sé il valoroso aviatore — vorrei sapere da che parte dirigermi, adesso. Non credo che Francesco possa avere lasciato tracce fra le nuvole. Che fare? Dovrei abbassarmi, immagino.

Si abbassò lentamente, ma dovette riprendere quota più che in fretta, per non finire in testa a una guardia notturna che pedalava faticosamente sulla sua bicicletta. (Forse si tratta della stessa guardia che poi trovò il Canarino.)

Dopo un poco gli parve che la notte diventasse più chiara.

— Ho capito — si disse. — Debbo trovarmi in una piazza assai grande. Tenterò di nuovo la discesa.

Stavolta un'ombra oscura e gigantesca gli venne incontro dal basso. E dall'ombra una grossa voce gli gridò:

— Ehi. signor Pilota, da questa parte, prego.

Il Pilota Seduto pensò in fretta:

— Mi conviene fingere di non aver sentito. Non conosco nessuno da queste parti, e non vorrei fare un cattivo incontro.

Ma non aveva ancora finito il pensiero che una mano spaventosa afferrò l'apparecchio tra le dita e lo trascinò con sé.

— Sono fritto — esclamò il Pilota Seduto ad alta voce.

— Non sono mai stato né una stufa né un fornello — disse il padrone della mano e dell'ombra misteriosa. — Adesso, poi, non sono che un pacifico monumento di bronzo, sempre fermo al centro della piazza e non ho nessuna intenzione di metterti a friggere.

Il Pilota Seduto tirò un respiro di sollievo e osò finalmente guardare dalla parte da cui veniva la voce. Vide un volto enorme ma bonario, con un sorriso sottile che scivolava tra la barba e i baffi.

— Chi è lei?

— Te l'ho detto. Sono un Monumento. Prima invece ero un patriota, e guidavo i guerrieri dall'alto del mio cavallo verso la liberazione della patria.

— Anche adesso sta su un cavallo?

— Sì, ed è abbastanza grosso. Com'è che non l'hai visto?

— Volavo in alto. Adesso, se permette, vorrei ripartire. Ne approfitterò per farle un giretto intorno e per osservare anche il cavallo.

— Non c'è fretta — sorrise il Monumento. — Resta ancora un minuto e facciamo due chiacchiere. Mi succede così di rado che ormai ho la lingua intorpidita e faccio fatica ad aprire le labbra. Ti sentivo ronzare da un bel po'. Anzi, non credevo alle mie orecchie: un moscone di questa stagione? Che storia è questa? Ti giuro che non ho mai veduto un aeroplano così piccolo, se non nelle mani dei bambini.

Il Pilota Seduto ammise sinceramente che il suo apparecchio era un giocattolo e in due parole mise al corrente il Monumento dei casi suoi e della Freccia Azzurra.

— Molto interessante — disse il Monumento, dopo aver ascoltato attentamente il racconto. — Molto davvero. Ho anch'io molta stima per i bambini. Ce ne sono sempre a dozzine a giocare tra le gambe del mio cavallo, quando è bel tempo. Adesso, con la neve mi lasciano solo, ma è naturale e io non mi arrabbio. Però ce n'è uno che viene spesso a trovarmi anche di questi tempi. Se venga proprio per far visita a me non te lo saprei dire. E' un ragazzetto bruno, con un ciuffo in mezzo agli occhi. Arriva, si siede sui gradini, rimane lì a pensare a qualcosa e poi se ne va. Se avesse la coda, direi che se ne va con la coda tra le gambe.

— Se si chiamasse Francesco — sospirò il Pilota Seduto — potrebbe essere il nostro amico. Che cosa ne pensa?

— Purtroppo non l'ho mai inteso chiamarsi per nome. Sai, in generale la gente aspetta che siano gli altri a chiamarla. Ma questo bambino mi sembra un solitario, e da queste parti nessuno lo conosce.

— Se si chiamasse Francesco… — sospirò di nuovo il Pilota Seduto.

All'improvviso gli venne un'idea.

— Soltanto Spìcciola può risolvere il problema. Lui annuserà i gradini e ci dirà se il bambino era proprio Francesco.

— Ben detto e ben fatto. Così avrò il piacere di conoscere tutta la compagnia.

— Già — disse il Pilota Seduto ridiventando triste — ma come può essere arrivato fin qui? E le tracce che sparivano in mezzo alla strada?

Il Monumento ridacchiò sotto i baffi.

— Vedo che non hai molta pratica di ragazzi — disse gentilmente — altrimenti sapresti che talvolta essi amano viaggiare sui respingenti del tram. Non dovrebbero, perché è proibito. Ma lo fanno. Adesso che ci penso: proprio ieri quel ragazzetto bruno è arrivato qui su un respingente, ed è stato un vigile a farlo scendere.

— Allora non c'è dubbio: era Francesco — esclamò allegramente il Pilota Seduto.

— In questo caso non perdere tempo. Corri a prendere gli altri.

Un quarto d'ora dopo l'intera comitiva, meno, si sa, il Generale e il Canarino, si trovava ai piedi del Monumento, anzi, ai piedi del cavallo, e aspettava con ansia che Spìcciola desse il suo responso.

Spìcciola si aggirò nervoso sui gradini, annusando come se avesse voluto tirarseli su nel naso, anche se erano di marmo. Annusò per un bel pezzo, perché voleva essere ben sicuro. In realtà, aveva già riconosciuto l'odore delle suole sfondate di Francesco.

— Ti abbiamo ritrovato, finalmente — gongolava dentro di sé.

— Dunque? — sbottò infine Mezzabarba che non stava più nel veliero dall'impazienza.

— È Francesco — sentenziò Spìcciola.

— Urrà, corpo di mille balene a cavallo!

Chissà che cosa intendeva il capitano Mezzabarba, inneggiando alle balene a cavallo, che non esistono e non esisteranno mai. Nel suo entusiasmo, egli non sapeva più quello che si dicesse.

Anche il Monumento era felice. Lo si sentiva ridere, lassù, lassù, in alto nella neve e nella notte, e la risata scendeva giù per le zampe del cavallo facendole tremare.

— Bene, perbacco — diceva il Monumento — bene, benone, arcibenissimo.

Il Colonnello dei bersaglieri decise di festeggiare l'avvenimento con un concertino della sua fanfara. E allora successe un'altra cosa straordinaria. Quando le trombe dei bersaglieri attaccarono una delle loro indiavolate marcette, le zampe di bronzo si staccarono dal piedistallo del Monumento e fecero un magnifico balletto.

Le bambole applaudirono, saltando dalle carrozze. Saltarono a terra tutti quanti: soldati, indiani, cow-boys, ferrovieri, ognuno si prese una bambola per ballare. Ma la Bambola Nera non ballò, perché il Pilota Seduto non poteva invitarla, e lei non poteva ballare con nessun altro.

— Bravi, bravissimi — approvava il Monumento, col suo vocione di bronzo — mi sembra il 25 aprile!