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— Io non mi lamento — borbottava fra sé la povera vecchia. — Non mi hanno fatto nulla di male, dopo tutto. Ma che cosa credono? Che non porterei a tutti dei bei regali se ne avessi abbastanza? E che cosa credono, che forse la mia padrona sia davvero così avara come sembra? Non può regalare nulla, perché deve campare anche lei. Se fosse ricca ricca come la Befana delle fiabe ne avrebbe per tutti, e anche senza quattrini. Ma lei non è la Befana delle fiabe: è la Befana vera. E la Befana vera deve servire i clienti che pagano.

E zoppicando, per via della caduta di poco prima, la vecchie-rella si diresse verso il negozio della Befana, per preparare il caffè alla sua padrona.

— Ci metterò tre cucchiaini di rum, così sarà contenta e non mi sgriderà troppo. E se mi sgriderà farò la sorda.

Spìcciola, intanto, correva sempre più veloce.

Ormai non aveva più bisogno di curvarsi per sentire l'odore di Francesco: esso era così forte che lo avrebbe sentito anche controvento.

L'odore guidò Spìcciola verso una straducola stretta, stretta, nella quale la neve si era ammonticchiata al punto che la Freccia Azzurra dovette mettere lo spazzaneve davanti alla locomotiva per poter proseguire.

Spìcciola si fermò davanti a una porticina, e il Macchinista tirò i freni appena in tempo per non investirlo.

— Siamo arrivati? — chiedevano i passeggeri. — È qui?

— È qui — confermò Spìcciola, mentre il cuore gli batteva in gola e nelle orecchie come un martello: tum… tum… tum…

— Allora entriamo — disse il Capostazione, guardando la porta con curiosità.

Era una porta come tutte le altre, con una sola differenza: che le altre erano chiuse, e questa era aperta.

— Che gente! — esclamò il Capostazione. — Dormono con la porta aperta nel mese di gennaio, con questa tempesta di neve. Ma non sentono il freddo?

Spìcciola era scomparso nel vano della porta. Tutti aspettavano che tornasse a portare le notizie.

— Chissà come sarà contento Francesco di vederci — dissero le Tre Marionette, che dovevano parlare soltanto quando tutti gli altri stavano zitti, per riuscire a farsi ascoltare. Ma la loro osservazione fu accolta da un grande silenzio.

Spìcciola era là, nella penombra della soglia, con gli occhi abbassati che gli arrivavano ai piedi. Guardava per terra, come se ci vedesse chissà che cosa. Invece vedeva soltanto le proprie lagrime. Spìcciola piangeva.

— Non c'è nessuno, — disse — la casa è disabitata.

Il cuore delle Tre Marionette

I passeggeri della Freccia Azzurra si guardarono l'un l'altro, desolati. Soltanto le bambole non guardarono nessuno: da un pezzo dormivano, cullate dal dondolio placido del treno.

— Povero ragazzo — sospirò il Macchinista. — Chissà che cosa gli sarà successo?

— Abbiamo fatto tanta strada per nulla — borbottò invece il Capotreno.

Spìcciola si riscosse, tornò ad annusare per terra, ma senza speranza.

L'odore finiva proprio lì, in quella stanza vuota. Spìcciola riuscì a distinguere altri odori: forse quelli dei genitori o dei fratelli di Francesco, perché si assomigliavano come parenti.

— Corpo di mille balene disperse! — si udì brontolare, — credevamo di essere giunti in porto, ed invece eccoci di nuovo in alto mare.

Le bambole si svegliarono, si affacciarono ai finestrini, scesero dal treno piene di agitazione, ma vi risalirono più che in fretta per non bagnarsi i piedini nella neve. I cavalli dei cow-boys scalpitavano. La pipa di Penna d'Argento rosseggiava furiosamente.

— Non ci resta che tornare alla bottega della Befana — mormorò tristemente il Capostazione.

— Mai! — esclamò con forza Mezzabarba. — Piuttosto mi metto a navigare nei tombini, mi do alla pirateria.

— Allora che cosa proponete?

— Ve l'ho detto: per conto mio dalla Befana non ci torno.

Penna d'Argento si ricordò del taccuino che aveva avuto dalla serva della Befana. Lo trasse di tasca e cominciò a consultarlo.

— Qui stare molti Francesco — disse poi.

Ipasseggeri della Freccia Azzurra videro accendersi un raggio di speranza.

— C'è anche il nostro?

— Stare molti altri Francesco, e molti Piero, Anna, Marisa e Giuseppe.

— Sono i bambini che non hanno avuto doni dalla Befana, — mormorò Mezzabarba — chissà… forse… Dico giusto?

— Ma non avete ancora detto nulla — ribatté il Capostazione.

— Però voi mi avete capito lo stesso — insiste Mezzabarba.

— Sì, — ammise il Capostazione controvoglia — ho capito che cosa intendete. Se non abbiamo trovato il nostro Francesco, possiamo però far felici altri bambini. Che cosa ne dice Penna d'Argento?

Il vecchio Capo Indiano non riusciva a capacitarsi che ci fossero al mondo tanti Francesco senza regali. Forse credeva che ci fosse un solo Francesco al mondo, o al massimo due: uno ricco ed uno povero. Nel taccuino ce n'erano tanti che per contarli tutti bisognava aver fatto almeno la terza elementare, perché in prima si arriva solo al numero venti.

— Stare molti Francesco — continuava a ripetere.

Pareva che avesse scoperto solo in quel momento che il mondo è grande. E sì che avevano girato l'intera città, ed avevano visto migliaia di case, con migliaia di finestre, e dietro ogni finestra ci doveva pur essere una persona, o anche di più, e chissà quanti bambini,

diversi l'uno dall'altro, ma che in fondo si assomigliavano, perché tutti aspettavano i regali della Befana.

— Noi andare a trovare questi Francesco — disse finalmente Penna d'Argento.

— Oh, ma se è un quarto d'ora che ne stiamo parlando!

Penna d'Argento li guardò severamente: aveva forse l'obbligo

di stare ad ascoltare le loro chiacchiere?

— Allora si parte? — domandò il Capotreno.

— Tutti in vettura! — gridò il Capostazione.

Ma non ce n'era nessun bisogno: i passeggeri se ne stavano già nelle vetture, raggomitolati sui sedili, stretti l'uno all'altro per riscaldarsi.

Le Tre Marionette avevano freddo per tre. naturalmente, e battevano i denti tanto forte che nel loro scompartimento nessuno riusciva a dormire.

— Ma non potete lasciarci in pace? — brontolavano i passeggeri. — Non vedete che siamo stanchi e abbiamo bisogno di riposare? Non avete un po' di cuore?

— No, non ce l'abbiamo — risposero tristemente le Tre Marionette.

— Avete voglia di scherzare, però.

— No, davvero. Non abbiamo cuore. Siamo di legno e di cartapesta. Se avessimo il cuore, non avremmo così freddo.

Dalla scatola dei pastelli guizzò fuori il Rosso.

— Ci penso io — disse.

E con tre segni della sua punta disegnò il cuore sulle giubbe delle Tre Marionette. Disegnò tre bei cuori rossi, un po' gonfi da una parte, così grossi che occupavano tutto il petto.

— Ecco fatto — annunciò il Rosso, contemplando la sua opera con un sorrisetto di sóddisfazione.

— Grazie — dissero le Tre Marionette.

— Va meglio ora?

— Oh, sì, va molto meglio. Sentiamo già un po' di caldo nel petto, sotto il cuore.

Dopo qualche minuto sentirono caldo anche alle orecchie, alle mani e ai piedi, ossia nei punti più lontani dal cuore, dove il freddo si diverte a tormentare la povera gente.

— Ora sentiamo un bel calduccio dappertutto — dissero le Tre Marionette. — Com'è bello avere il cuore.

E contemplandosi felici il petto, dove i grossi cuori rossi sembravano tre medaglie al valore, si addormentarono pacificamente.