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Una voce disse:

— È abbastanza piccolo, ce la farà.

— Ora vedremo — sussurrò qualcun altro.

Le voci risuonavano stranamente soffocate. Quando i suoi occhi si furono un poco assuefatti al buio, Francesco vide che i due tipi avevano una maschera nera sulla faccia, dal naso al mento.

— I ladri — pensò Francesco. Tutta la paura che aveva provato al cinema svanì di colpo, per lasciare il posto ad un'altra paura. Che cosa volevano fare di lui quei tipacci?

Uno di loro gli teneva sempre tappata la bocca con la mano, perché non gridasse, e Francesco non si provò nemmeno a mordere. Non avrebbe potuto far nulla, contro due uomini. Forse erano anche armati.

Uno dei ladri gli mostrò un finestrino strettissimo.

— Lo vedi quello?

Francesco accennò di sì.

— Non siamo riusciti ad aprire la porta del negozio. Entrerai da quel finestrino e ci aprirai dal di dentro. Capito? E bada di non farci qualche brutto scherzo, altrimenti ce la paghi.

— Su, non perdiamo altro tempo — interruppe l'altro compare.

Francesco si provò ad opporre resistenza, ma un vigoroso pugno sul braccio gli consigliò di star quieto. Non gli restava che ubbidire.

Uno dei ladri lo afferrò per la vita e lo alzò fino al finestrino.

— È stretto — bisbigliò Francesco — non ci passo.

Sentì solo una mano che gli tappava la bocca…

— Metti prima la testa. Dove passa la testa passa tutto il corpo. Sbrigati.

L'ordine fu accompagnato da un altro pugno, stavolta sulle gambe.

Francesco mise la testa nel finestrino. Era tutto buio là dentro. Un negozio, avevano detto. Chissà che genere di negozio?

I ladri lo tenevano per le gambe, mentre si introduceva penosamente nel finestrino. Ad un certo punto uno di loro fece scaletta all'altro perché continuasse a sorreggere Francesco per i piedi.

Francesco scivolò a testa in giù lungo il muro, fin che sentì il pavimento. Allora agitò le gambe perché lo lasciassero libero e ruzzolò a terra.

Rimase lì immobile per qualche secondo, fin che la voce di uno dei ladri gli ingiunse con un aspro sussurro:

— Che fai ora? Spicciati. La porta è a destra. Ci dev'essere un catenaccio. Toglilo, poi solleva la saracinesca di due palmi. Muoviti, lumaca.

Francesco si alzò e strisciò con le mani lungo la parete. Ecco la porta. Sentì il freddo del catenaccio sulle dita. In quel momento la paura che lo aveva paralizzato, di colpo cessò. Gli venne un'idea.

— Io qui sono al sicuro — pensò. — Qui non mi possono raggiungere. Farò così: non aprirò la porta. Se ne dovranno pure andare, se non vogliono essere sorpresi da qualche guardia notturna.

Dal finestrino gli giungeva la voce concitata del ladro che gli ordinava di far presto, ma Francesco non si mosse. Si mise perfino a sorridere.

— Arrabbiatevi pure — diceva fra sé. — Non potete certo entrare a prendermi. L'avete detto voi stessi che non ci passate.

Ma un altro pensiero venne a rubargli la calma.

— I ladri se ne andranno, ma io come uscirò? Mi vedranno. Mi sorprenderanno qua dentro, o mentre me la svigno. Penseranno che io sia un ladro. Se vado a raccontare che mi hanno spinto dentro dal finestrino nessuno mi crederà.

Non sapeva che fare. Furono i ladri stessi a dargli l'idea. Ad un tratto li udì bussare, cautamente ma con concitazione, alla saracinesca.

— Apri — sussurrava una voce gonfia d'ira — apri subito o te la passerai male.

— Bussate, bussate, vi sentiranno e sarete sorpresi — pensò Francesco. E subito dopo: — Ecco quello che devo fare: far rumore, svegliare qualcuno, dare l'allarme. Allora capiranno che io non facevo parte della banda.

E con le mani strette a pugno cominciò a battere sulla lamiera con tutte le sue forze, gridando:

— Aiuto! Aiuto! Ai ladri, ai ladri!

Udì uno scalpiccio affrettato. Forse i ladri avrebbero fatto in tempo a scappare. Francesco raddoppiò i colpi e gridò con tutta la voce che aveva in gola. Aveva di nuovo una terribile paura, ma gridava che l'avrebbero sentito ad un chilometro di distanza. Si udì il trillo di un fischietto e subito un altro gli rispose. Le guardie notturne, allarmate dal frastuono, si chiamavano per accorrere sul posto.

Francesco non smise di picchiare sulla saracinesca fin che non udì i loro passi, le voci forti e minacciose che intimavano:

— Alto là! Fermi o sparo! Non fate un passo di più o siete morti.

— Per fortuna li hanno presi — mormorò Francesco lasciandosi cadere a terra.

Poco dopo qualcuno bussò alla saracinesca.

— Chi c'è lì dentro? Aprite e venite fuori: ormai non avete scampo.

Francesco sollevò di qualche centimetro la saracinesca e subito una mano vigorosa la spinse in alto. Apparve sulla porta una guardia notturna con una pistola in pugno. Fuori, in mezzo alla strada, altre guardie stavano ammanettando i ladri.

— Ma è un bambino — esclamò la guardia, afferrando Francesco per una spalla.

— Io non c'entro… — mormorò Francesco con un fil di voce. — Sono loro che…

— Ah, non c'entri? E come mai ti trovi nella bottega allora? Forse volevi prenderti un regalino per la Befana?

Francesco guardò il negozio, illuminato dalla lampadina tascabile della guardia. Soltanto allora lo riconobbe, e il sangue gli diede un tuffo. Era il negozio dei giocattoli, il negozio della Freccia Azzurra! Ma i ladri non andavano certo in cerca di treni elettrici: essi miravano alla cassaforte, che stava nel retrobottega.

— Io non capisco…

— Ma bene, non capisci. Forse sei venuto fin qui in sogno, no? Presto, seguici e non fare storie. Spiegherai tutto al commissario.

Intanto era giunta una vettura della polizia. Francesco venne caricato in mezzo ai due ladri ammanettati, i quali si affrettarono a vendicarsi, dandogli con i gomiti colpi dolorosi al petto ed alle spalle.

— Non la passerai liscia, — sibilò uno dei compari — diremo alla polizia che eri d'accordo con noi. Anzi, le diremo che sei stato tu ad indicarci "il negozio della Befana. Ci penserà la polizia a fare la nostra vendetta.

— Silenzio, là dietro — ordinò un poliziotto — o vi farò cucire la bocca.

— Signore, — pregò Francesco — le dico che io non c'entro. Io non ne so nulla.

— Va bene, va bene. Ma adesso sta' zitto. Guarda un po', nemmeno per l'Epifania ci lasciano riposare.

— Per noi non ci sono feste — ghignò uno dei ladri. — Per noi è sempre giorno di lavoro.

— Vorrai dire notte di lavoro — ribatté il poliziotto. — Ma ora sta' buono e tieni i tuoi scherzi per i topi.

Mezz'ora più tardi Francesco sedeva su una panca in un corridoio del commissariato, guardato a vista da un poliziotto. Non l'avevano messo nella stessa cella dei due ladri perché era un bambino, ma era in arresto anche lui, come un delinquente.

Francesco avrebbe voluto raccontare la sua storia, spiegare come erano andate le cose, ma nessuno lo stava a sentire. Il poliziotto, anzi, si mise perfino a fargli la predica:

— Vergogna, alla tua età! Dovresti essere a nanna a sognare la Befana, ed eccoti in giro a rubare per le botteghe, in compagnia dei peggiori malviventi della città. Se avessi un figlio come te, gli avrei già staccato le orecchie a furia di schiaffi, te lo dico io, e gli avrei consumato a pedate il fondo dei pantaloni.

Francesco inghiottì le lagrime senza parlare: erano amare e salate.

— Piangi, adesso: proprio come i coccodrilli.

Un altro poliziotto venne invece a offrirgli un goccio del suo caffè, e sbuffò come se qualcosa gli desse noia.

Francesco appoggiò la testa alla parete e si addormentò.