Franco aveva parlato con tanta cordialità, che i pastelli gli si avvicinarono saltellando, contenti di sentirsi apprezzati. Con tipi come il Giallo e come il Verde, basta una buona parola e subito anche loro smettono le loro arie e diventano dei pastelli per bene.
— Se vuoi fare il pittore — disse il Marrone, il più pacifico di tutti i colori — ti consiglio di disegnare scene di campagna, così potrai adoperarmi.
— Per me fa lo stesso — disse l'Azzurro. — Un po' di cielo^ci vuole sempre.
— Ragazzi — disse il Rosso — perché stiamo a perdere tempo in chiacchiere? Io ho un'idea.
— Sentiamo.
— Dal momento che Franco non dorme, perché non lo teniamo un poco allegro? Disegniamo qualcosa per lui.
— Oh, bene, che bell'idea — esclamò Franco. — Guardate su quel tavolo: ci dovrebbe essere qualche foglio di carta bianca. Non sarà una gran bella carta: sono i fogli dove il droghiere mette il caffè, e io li tengo da parte per disegnare.
— Comincio io — sentenziò il Nero, con solennità.
Distese un foglietto sul comodino, a due palmi dagli occhi di Franco, e saltellando qua e là vivacemente disegnò il tronco ed i rami di un albero.
Subito il Marrone si gettò sul tronco e lo colorò a meraviglia, il Verde invece si mise coscienziosamente all'opera tra i rami e li riempì di foglie.
Franco applaudiva, ma il Giallo torse il naso.
— Questo è un disegno fuori stagione — disse — d'inverno gli alberi non sono verdi. Tutt'al più conservano qualche foglia gialla.
— Dimentichi i pini e gli abeti, che non perdono mai le foglie.
— Io ho un'idea migliore — annunciò l'Azzurro.
Prese un foglio, vi strisciò la punta facendo un segno bizzarro e pochi minuti dopo una bellissima mucca azzurra si levò dal foglio e batté gli zoccoli sul comodino, facendo tintinnare il campanello azzurro che portava al collo.
— Muu! — muggì graziosamente la Mucca Azzurra.
— Forse deve fare il latte, — disse Franco — quando le mucche si lamentano, debbono fare il latte. Io però non la so mungere.
Ci si provò il Marrone che era un colore campagnolo: la Mucca Azzurra faceva un bellissimo latte azzurro.
— Questa poi non l'avevo mai vista — rise Franco.
— È colpa dell'Azzurro — sentenziò il Giallo — ha voluto fare tutto da solo. Tutti sanno invece che il latte è giallo.
— Giallo? Ma che cosa ci vieni a raccontare?
— Oh, non stiamo a discutere — disse il Rosso — ora tocca a
me.
A vederlo balzare qua e là sul foglio con la velocità di un ballerino, metteva addosso un'allegria irresistibile. Ancora prima di vedere il suo disegno c'era da scommettere che sarebbe stato qualcosa di assai buffo.
— Ecco fatto — annunciò con una risatina.
Aveva disegnato uno strano ometto che non si riusciva a indovinare come facesse a stare assieme, perché era tutto a pezzetti stac-
cati. Le mani non erano attaccate alle braccia, le braccia e le gambe non erano attaccate al tronco, il naso non era attaccato alla faccia e la testa non era attaccata al collo.
— Viva l'Omino a Pezzettini! — gridò Franco.
L'omino provò a sollevarsi dal foglio e subito perdette una gamba.
Si curvò a raccoglierla e se l'attaccò con gran pena, ed ecco che una mano gli schizzò via.
— Ho perduto una mano! Dov'è la mia mano?
Si mise in ginocchio a cercare la sua mano per terra e la testa gli rotolò via come una palla. Anche rotolando, la testa non cessò di lamentarsi e di gridare:
— Aiuto, aiuto! Sono stato ghigliottinato! Sono innocente, perché volete tagliarmi la testa?
A Franco, dal gran ridere, vennero le lagrime agli occhi.
— Su, coraggio! — diceva, tentando di rimettere insieme i pezzettini. — Ecco, ora sei tutto intero: facci vedere come cammini.
L'Omino a Pezzettini fece qualche passo, perdette mezzo braccio destro e mezza gamba sinistra e rovinò a terra miseramente.
Tutti i pastelli disegnarono qualcosa: le figurine, appena terminate, si sollevavano dalla carta e se ne andavano attorno a curiosare. L'Azzurro disegnò una barchetta con un marinaio, il quale, vedendo il latte della Mucca Azzurra, credette che fosse il mare e cominciò subito a navigare.
Ad un tratto si sentì una vocetta che chiamava:
— Ehi! Ehi!
— Chi va là? — domandò il Giallo, che conosceva tutti i regolamenti, compresi quelli delle sentinelle.
— Eh, non fare tante storie, amico. Sono un povero topo affamato, e credo che qualcuno di voi dovrà sacrificarsi a servirmi da cena. Le matite mi sono sempre piaciute, nere o colorate che fossero.
I pastelli si raggrupparono in fretta vicino a Franco, che stese una mano per difenderli.
— Dico, messerTopo, se hai intenzione di sfamarti a spese dei miei amici, ti avverto che hai sbagliato indirizzo.
— In questa casa non ci si resiste — brontolò il Topo, mostrando i dentini. — Mai una crosta di formaggio, mai un uovo da rubare, mai un fiasco d'olio da potervi intingere la coda, mai un sacchetto di grano o di farina da potervi scavare delle gallerie. In una settimana ho perso metà del mio peso.
— Mi rincresce — disse Franco — ma anch'io sono andato a letto senza cena. Non posso fare nulla per aiutarti. E i miei pastelli non sono legno per i tuoi denti.
— Almeno — gridò il Topo. — Almeno ordina loro che mi disegnino qualcosa da mangiare. Ho visto che sono così bravi.
— D'accordo, questo si può fare.
— Ci penso io — disse il Giallo. E in quattro e quattr'otto disegnò una fettina di groviera, con i buchi e la lagrima.
— Tante grazie — esclamò il Topo leccandosi i baffi. Nessuno aveva fatto in tempo a vedere la fettina sparire nella sua bocca. Era stato più svelto di un lampo.
— Alla grazia, che appetito — disse il Rosso. — Ma ora aspetta. Ti accomodo io.
Stese un foglio pulito e vi disegnò un cerchio rosso.
— Dev'essere formaggio olandese — disse il Topo. — Ricordo di averne assaggiato una volta, ed aveva proprio quella bella crosta rossa.
— Aspetta, non ho ancora finito.
Il Rosso disegnò un altro cerchio più piccolo sopra il primo e continuò per un bel pezzo a fare strani segni.
— Strano — osservò il topo — non ho mai visto del formaggio olandese con i buchi così grossi. Ci dev'essere già passata una famiglia di topi. E adesso, per favore, fatti da parte.
— Ih, che fretta, — ridacchiò il Rosso — se ho appena cominciato! Ti voglio preparare un piattino che te lo ricorderai per tutta la tua vita.
E continuando a disegnare aggiunse alla sua strana figura una specie di coda, che al topo parve un pezzo di salsiccia.
— Salsiccia? Ecco una buona idea. Non ricordo quando ne ho mangiato l'ultima volta. Forse, anzi, non ne ho mai mangiato in vita mia, e la riconosco solo perché assomiglia ai racconti di mio padre, che abitava nella bottega di un pizzicagnolo. Ma adesso, per favore, fatti in là e lascia che ci metta i denti, perché l'acquolina mi scende per la gola a cascate, e credo che finirà col soffocarmi.
— Adesso, adesso ho finito — annunciò il Rosso. E con un ultimo tocco…
Il Topo guardò inquieto la figura che si svegliava e si sollevava pigramente dalla carta.
— Ma questo… ohi, dico, che scherzo è questo… volete forse… Aiuto! Mamma mia!
E corse via così in fretta che perse la coda. Il Rosso scoppiò a ridere allegramente. Egli aveva disegnato un gatto, un terribile gat-tone rosso che si lucidava gli artigli e si leccava i baffi. Miagolò pigramente e si strofinò contro la mano di Franco, per farsi accarezzare.