— Almeno gli occhi, li dovevi lasciare a me — protestò il Verde, che si era specializzato per anni a colorare gli occhi dei gatti.
Per Franco, fu una notte indimenticabile. I pastelli, uno dopo l'altro, gli mostrarono quello che sapevano fare. Per esempio, gli disegnarono e dipinsero tante bandiere, che la stanza sembrava un giorno di festa nazionale.
Fecero la bandiera tricolore e la bandiera rossa, si accapigliarono perché ciascuno voleva che la propria bandiera fosse la più bella, poi fecero la pace e disegnarono tutti insieme una bandiera di sette colori.
— Ecco qui, ci siamo tutti e sette, e non si fa torto a nessuno. Ora andremo veramente d'accordo.
Il casello n. 27
Fila nella notte la Freccia Azzurra verso l'ultimo indirizzo. Il Macchinista, il Capotreno e il Capostazione si sono riuniti nella cabina del locomotore per tenersi compagnia. Le vetture sono deserte.
La neve ha cessato di cadere, finalmente. Un vento gelato ha disperso le nuvole, e nel cielo terso come uno specchio nero scintilla qualche stella.
Scintillerà per poco, ormai. L'alba è vicina. Già i primi tram sono usciti dalle rimesse e percorrono con un rumore soffocato le rotaie coperte di neve. Il Macchinista deve stare molto attento per non farsi investire da quei mostri enormi.
— Il posto più sicuro — dice il Capotreno — sarebbe il marciapiedi.
— Non dimentichiamo i regolamenti, — ribatte il Capostazione — i marciapiedi sono riservati ai passeggeri e ai portabagagli.
— Potremmo correre entro i binari, tra le due rotaie — suggerisce il Macchinista. — I tram ci passeranno sopra senza toccarci: ho calcolato a occhio le misure.
I tram passano sopra la Freccia Azzurra senza nemmeno sfiorarla. Si avvicinano alle sue spalle, le incombono sopra come spaventose gallerie per qualche attimo e filano via davanti al locomotore.
Gallerie che camminano. Danno un po' di batticuore, ma ci si fa l'abitudine.
La casa di Roberto, l'ultimo dei bambini rimasti senza doni, è fuori porta, in aperta campagna. Questo almeno dice il taccuino.
La casa di Roberto non era una casa, ma un casello: il casello n. 27.
Il Macchinista, il Capotreno ed il Capostazione non volevano credere ai propri occhi. Il taccuino li aveva condotti dritti dritti fino ad una vera ferrovia!
Una finestra era illuminata. Il guardiano vegliava, usciva ad ogni treno per fare le segnalazioni, dava un'occhiata alla neve dondolando la sua lanterna, si ripuliva le scarpe e rientrava.
Davanti al casello, a destra e a sinistra, i binari si allungavano all'infinito, come serpenti d'acciaio.
Che rotaie! I ferrovieri della Freccia Azzurra non ne avevano mai viste né sognate di simili. E i treni? La terra cominciava a tremare quando ancora erano lontani. Poi un rumore terribile ingigantiva, si avventava come un uragano: bisognava tapparsi le orecchie per resistere.
Ecco il treno, come una città in corsa: le carrozze grandi come case, con centinaia di finestre illuminate. Quando il treno era passato, i tre piccoli ferrovieri restavano a lungo con la testa intronata. Il rumore era entrato nelle loro teste e non ne voleva uscire. Dovevano scrollarsi e battersi le tempie, come fanno i nuotatori per far uscire l'acqua dalle orecchie e finalmente, gridando abbastanza forte, riuscivano a sentirsi.
— Che ne dite? — domandava il Capotreno, con gli occhi che brillavano per la paura e per l'entusiasmo. — È un treno, no?
— Piuttosto! — gridava il Macchinista. — Mai visto niente di più bello in vita mia.
— Ragazzi, siamo fortunati — gridò a sua volta il Capostazione. — Roberto dev'essere il figlio del casellante. Abiteremo qui e potremo vedere centinaia di treni tutti i giorni.
— Vogliamo entrare, allora? — chiese il Macchinista, preparandosi ad avviare il motore.
— Restiamo ancora un poco qui fuori — propose il Capostazione. — Forse passerà qualche altro treno.
Fuori del casello si stendeva per qualche metro una siepe. Ripararono la Freccia Azzurra dietro la siepe e si sedettero su un ramo, dopo averne fatto cadere la neve.
Non erano passati che pochi minuti, quando si udì un rumore sordo che rapidamente si gonfiò come un tuono, per spegnersi poi sordamente come era nato.
— Questo non era un treno — osservò il Capostazione.
La porta del casello si aperse, apparve il guardiano che alzava la lanterna davanti al viso e si guardava attorno inquieto.
— Roberto! — chiamò — Roberto!
Un attimo dopo il viso assonnato di un ragazzo si affacciò alla finestra.
— Vestiti in fretta, dev'essere accaduto qualcosa. Potrebbe essere stata una frana.
— Vengo subito — gridò il ragazzo. La finestra fu richiusa con un colpo secco. Passarono pochi secondi e Roberto uscì dal casello, finendo di vestirsi. Anche lui reggeva una lanterna davanti al viso.
— Prendi una delle bandiere — gli ordinò il padre — e va' a dare un'occhiata ai binari da quella parte, mentre io vado fino al ponte. Se c'è qualcosa sui binari, corri ad avvertirmi. Abbiamo quindici minuti di tempo prima che passi il «trentasette».
E corse via. Roberto raccolse una bandierina rossa, che stava appoggiata alla porta, e si incamminò, affondando nella neve fino a mezza gamba.
Per fortuna il cielo si andava lentamente schiarendo. Roberto poteva vedere i solchi delle rotaie che nereggiavano fino alla prima curva. Ma appena passata la curva, le rotaie scomparivano sotto un enorme cumulo di neve e di terriccio franato dai fianchi scoscesi della collina.
Il primo pensiero di Roberto fu: — Meno male, il ponte non è crollato.
In quello stesso momento udì in lontananza il fischio del direttissimo numero «trentasette». La paura lo inchiodò al suolo. Chissà se il babbo dopo aver constatato che il ponte era salvo, avrebbe ugualmente pensato a fermare il treno. Le gambe gli tremavano e il cuore gli saltava in gola. Il «trentasette» lanciò un altro fischio. Allora Roberto si riscosse, si voltò e si mise a correre verso il casello, gridando: —Papà! Papà!
Cadde nella neve, si rialzò, cadde di nuovo e urtò il ginocchio nella rotaia. Gli sfuggì un lamento. Tentò di rialzarsi, ma non vi riuscì.
— Papà! Papà! —chiamò disperatamente.
Ma il padre non poteva udirlo: dalla sua parte avanzava il direttissimo, con impetuoso fragore.
Roberto gridava e piangeva, trascinandosi nella neve.
— Ferma! Ferma! — gridava, mentre il fragore del treno cresceva paurosamente. Ormai il «37» non distava che trecento metri da lui. Con un ultimo sforzo Roberto si alzò e agitò freneticamente la bandiera rossa, che non aveva abbandonato nella caduta.
— Ferma! Ferma! — urlava. Un fischio lacerante soffocò la sua voce. La locomotiva avanzava, sbarrando i due occhi luminosi davanti a sé. Non era ormai che a duecento metri, a cento…
Improvvisamente i freni stridettero sulle rotaie, con un brusco scossone il treno rallentò, si venne a fermare a pochi metri da Roberto.
Il macchinista scese dalla locomotiva, si precipitò incontro a Roberto.
— Che c'è? Cos'è successo?
— Una frana — mormorò Roberto — una frana… là…
Gli parve di affondare dolcemente nella neve soffice, ed era strano che fosse così calda e morbida. Poi non sentì più nulla.
Rinvenne nel suo letto, poco dopo
— La frana… — mormorava ancora — la frana…
— Zitto, zitto — disse con dolcezza una voce sconosciuta. — Non c'è più pericolo.
Roberto aprì faticosamente gli occhi.
La stanza era piena di gente, ed un signore con gli occhiali d'oro, curvo su di lui, gli teneva il polso fra le dita. Era un medico che viaggiava sul «trentasette» ed era stato chiamato per soccorrerlo.