Spìcciola gli lambì una mano con la lingua. Era la prima volta che leccava la mano di un amico, e gli sembrò la cosa più dolce del mondo.
— Ed io che stavo per gettarmi sotto un tram — pensò. — Stavo addirittura per morire sotto la carrozza di Francesco.
Chiuse gli occhi per la felicità, ma subito li riaprì, per non perdere di vista Francesco che dormiva. La coda di Spìcciola batteva allegramente il velluto dei cuscini. Le diede un'occhiata distratta e qualcosa lo colpì nella coda, come poco prima nella pozzanghera.
— Strano, mi sembra diversa dalla coda di prima. Eppure nessuno me n'ha attaccata una nuova, che io sappia.
Nel tentativo di afferrarsi la coda rotolò due o tre volte su se stesso e finì addosso a Francesco, che si svegliò.
Aprì gli occhi e subito li richiuse: la luce del mattino entrava nelle sue palpebre come una cascata d'argento.
Non ricordava più quello che gli era accaduto e si chiedeva stupito:
— Dove sono?
Il rumore degli zoccoli del cavallo gli fece tornare in mente tutti gli avvenimenti di quella notte movimentata. Riaprì gli occhi e vide Spìcciola che lo guardava scodinzolando, pronto a scattargli in braccio al primo cenno.
— Un cane! —esclamò allegramente Francesco. — Da dove verrà?
Si mise a sedere, e ancora non osava allungare una mano per accarezzare Spìcciola.
— Forse me l'ha regalato la Befana. Forse è questo il suo dono per quest'anno.
Ma poi si mise a ridere. La Befana regala giocattoli, non cani veri. E quello che gli stava davanti non era un giocattolo, ma un cane vero, con gli occhi umidi e affettuosi, con la coda viva che danzava nell'aria come una bandiera quando passa il vento. Capite? Spìcciola non era più un cane-giocattolo: era un cane vero.
Francesco lo accarezzò dolcemente sul dorso, prima con una mano sola, timidamente, poi con tutt'e due le mani. Spìcciola non attendeva che quell'invito: gli balzò sulle ginocchia, svelto come una trottola e abbaiò allegramente.
Proprio così: abbaiò. Per la prima volta nella sua vita Spìcciola si sentì uscire dalla gola un suono strano, forte e vigoroso, ben diverso dai suoi soliti lamenti: un suono che sembrava un canto, e che gli rintronava nella testa come una campana.
— Io sto abbaiando, — ebbe appena il tempo di pensare Spìcciola. Poi non pensò più, ma si abbandonò a quella gioia nuova e mai provata. Abbaiava con tutte le sue forze, tanto che Francesco si mise a ridere.
— Sembra che tu non abbia mai abbaiato in vita tua.
Spìcciola non era più un giocattolo di pezza: un cuore vero batteva, nel punto giusto, entro il suo corpo vibrante. Ad accarezzarlo, non era freddo e indifferente come i giocattoli: era tiepido e vivo, e tremava per l'emozione.
Tutto questo perché aveva trovato un vero amico e non era più solo al mondo.
A sentire quei latrati il vetturino si voltò. Vide il ragazzo ed il cane che si rotolavano allegramente sui vecchi e stinti cuscini della carrozza: i cani ed i ragazzi non fanno molta differenza tra i prati ed i cuscini, e appena trovano spazio sufficiente si rotolano come trottole.
— E da dove salta fuori, quello? — domandò il vetturino ridendo.
— Non so. Quando mi sono svegliato l'ho trovato che mi leccava una mano.
— Dev'essere un cane randagio. Sarà saltato nella carrozza per ripararsi dal freddo.
— Forse era triste e cercava qualcuno per stare in compagnia.
— Già. forse è stato così.
Il vetturino tossì e cominciò a raccontare una lunga storia:
— Una volta trovai un cane. Mi ricordo che venivo dalla stazione ed avevo la carrozza carica di passeggeri e di valigie. Il cavallo quel giorno non voleva camminare. Pioveva, sai, e anche i cavalli hanno i loro capricci. Tanto è vero che un proverbio dice…
Ma Francesco e Spìcciola non sapranno mai che cosa dice il proverbio, né come andò a finire la storia del vetturino. Il vecchio parla, parla, parla, e i due amici — stavo per dire i due ragazzi — hanno già scoperto che in due si può giocare, ridere e divertirsi, e tutto sembra più bello.
Anche una giornata d'inverno, in una città sepolta sotto la neve, diventa lieta e serena come una giornata d'estate al mare.
Che cos'è e un amico
Il giorno dopo Francesco andò a lavorare nel negozio della Befana. Spìcciola, naturalmente, lo seguì. Non potevano separarsi un minuto solo. Francesco se lo era portato con sé a letto, ed era stato Spìcciola a svegliarlo, il mattino presto, con un latrato impaziente che voleva dire:
— Su, non sciupare tutto il tempo a dormire. Dobbiamo fare mille cose. Dobbiamo fare insieme le capriole nella neve, dobbiamo correre fino al muro della fabbrica per vedere chi arriva primo, dobbiamo saltare dal sesto gradino per vedere chi arriva più lontano. Su, sveglia, sveglia!
Per tutta la strada continuarono a giocare.
La Befana, a dire la verità, fece una certa smorfia e disse:
— Un cane? Vuoi tenerlo in negozio con te?
— Se lei permette, signora baronessa.
— Hm… non avrà le pulci, per caso?
— No, signora. È un cane pulito.
— Già, già… Mi pare di averlo già visto da qualche parte. Teresa, da' un'occhiata a questo cane. Ti ricordi dove l'abbiamo visto?
— No, signora baronessa… Però… aspetti… Sa a chi assomiglia? A quel cagnolino che avevamo in vetrina la settimana scorsa.
— Hai ragione, gli somiglia proprio. Però quello era più piccolo.
— Sì, signora baronessa, era più piccolo.
Spìcciola abbaiò, per farsi riconoscere. Ma la Befana disse ridendo:
— E poi, quello non abbaiava.
— No, signora baronessa, non abbaiava.
Francesco ebbe il permesso di tenersi il cane, purché non sporcasse per terra e non facesse disastri.
Spìcciola imparò in un giorno più cose che in un anno.
Imparò ad abbaiare per avvertire che entrava un cliente. Imparò a stare ritto sulle zampe posteriori, reggendo con i denti una ciotolina dove i clienti mettevano la mancia per Francesco. Imparò a giocherellare con i bambini piccoli, per tenerli buoni mentre le loro mamme discutevano con la Befana su questo e su quello, e magari sul tempo, che era sempre brutto.
Nelle ore più tranquille, quando non c'erano clienti, Francesco e Spìcciola si divertivano insieme con i giocattoli nuovi, che la Befana aveva fatti arrivare per la stagione. Era tutta gente nuova, che Spìcciola non conosceva: aeroplani a reazione, fucili ad aria compressa, transatlantici con centinaia di passeggeri affacciati ai finestrini.
— Povero Mezzabarba — pensava Spìcciola — se fosse qui, che figura ci farebbe il suo veliero!
Con tutta quella gente Spìcciola non s'intendeva. Era un popolo silenzioso e immobile, che non gli dava confidenza. Forse tra loro parlavano e discutevano, come Spìcciola aveva fatto con i suoi amici. Ma Spìcciola non era più uno di loro, ormai: apparteneva al mondo della gente vera, che ha un cuore vero, e non un cuore dipinto come quello delle Tre Marionette.
Anche Francesco non si divertiva più tanto con i giocattoli. Preferiva rotolarsi per ore con Spìcciola, dargli la mano da mordere, fare alla lotta con lui.
— Tutti i giocattoli del mondo non valgono un amico — diceva Francesco in un orecchio a Spìcciola.
E Spìcciola abbaiava: —Sì! Sì!
— Non ci lasceremo mai, vero?
— Mai! Mai! — abbaiava Spìcciola.
La Befana si affacciava dalla porta del retrobottega e guardando al di sopra degli occhiali esclamava:
— Ma che cos'ha da abbaiare tanto, quel demonio?
— È contento, signora baronessa. È contento di stare al mondo.