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— Ecco — disse Spìcciola, quando fu tornata la calma — sappiamo il suo nome, sappiamo il suo indirizzo: perché non andiamo tutti quanti da lui?

— Da chi? — domandò una delle bambole.

— Da Francesco.

Ci fu un attimo di silenzio, poi scoppiò una discussione ani-matissima: ciascuno parlava e gridava per conto suo, senza stare a sentire quello che dicevano gli altri.

— Ma questa è una rivolta, — esclamava il Generale — io non posso assolutamente permettere una cosa simile. Bisogna ubbidire agli ordini.

— Ossia?

— Ossia niente. Bisogna rimanere disciplinati.

S

— E andare dove ci porterà la Befana? Così a Francesco non toccherà nulla nemmeno quest'anno, perché il suo nome è segnato sul librone dei poveri…

— Corpo di mille balene…

— Piuttosto. — intervenne il Capostazione — conosciamo l'indirizzo, ma non la strada per arrivarci.

— Io ci ho pensato — mormorò timidamente Spìcciola. — Io posso seguire una pista col fiuto, lo sapete?

— E io sapere leggere tracce in terra — disse Penna d'Argento. — Io d'accordo andare tutti da Francesco. Chi viene?

Stavolta non si trattava di far chiacchiere, ma di decidere. Tutti guardarono dalla parte del Generale d'artiglieria.

Egli stette un pezzo a grattarsi il mento, passeggiò su e giù davanti ai suoi cannoni schierati in ordine di battaglia, poi concluse:

— Va bene. Proteggerò la marcia con le mie truppe. Confesso che anche a me non piace molto l'idea di farmi comandare da una vecchia Befana.

— Urrà! — gridarono gli artiglieri.

La fanfara dei bersaglieri intonò una marcetta che avrebbe fatto fare i salti mortali ad un morto, il Macchinista si attaccò al fischio della locomotiva e dovette accorrere il Capotreno a zittirlo.

La data del viaggio fu fissata per la sera seguente, vigilia dell'Epifania. A mezzanotte la Befana sarebbe venuta in negozio per riempire di giocattoli la cesta e avrebbe trovato la vetrina vuota, ecco tutto.

— Chissà che faccia farà, chissà che zampillo, corpo di mille balene in fuga! — ghignò il Capitano Mezzabarba, sputando oltre il parapetto del suo veliero.

Partenza!

Problema numero uno: come uscire dalla bottega? L'Ingegnere Capo del Meccano escludeva, purtroppo, che si potesse forare la robusta saracinesca.

— Ho pensato anche a questo — disse Spìcciola, che non riusciva a parlare senza arrossire.

Tutti guardarono con ammirazione il piccolo cucciolo di pezza che per un anno intero aveva continuato a pensare senza dire una parola.

— Sentiamo.

— Vi ricordate del magazzino? Vi ricordate di quel mucchio di scatoloni vuoti in un angolo? Ebbene, io ci sono stato, lì dietro, ed ho scoperto un buco nel muro. Dietro quel muro c'è una cantina, e da quella cantina si esce in un vicolo stretto e buio, fatto apposta per chi deve nascondersi.

— Ma come fai a sapere tante cose?

— Noi cani abbiamo il vizio di mettere il naso dappertutto. Qualche volta è un difetto utile.

— Sarà — esclamò gravemente il Generale — ma non vedo come si possa far scendere l'artiglieria in magazzino con tutte quelle

scale. E la Freccia Azzurra. Avete mai visto un treno scendere le scale?

— Questa sarà la prima volta, — strepitò il Capostazione — poseremo i binari sui gradini.

Penna d'Argento si levò la pipa di bocca. Tutti tacquero per ascoltare.

— Uomini bianchi litigare sempre — disse — e dimenticare Pilota Seduto.

— Che cosa vuoi dire, Gran Capo?

— Pilota Seduto trasportare tutti con aeroplano.

A pensarci bene non c'era altro mezzo per scendere in magazzino. Pilota Seduto fu subito entusiasta del progetto:

— Una decina di viaggi e il trasporto sarà terminato.

Le bambole pregustavano già il piacere di una gita in aeroplano, ma Penna d'Argento diede loro una delusione:

— Chi avere piedi non avere bisogno di ali.

Così tutti quelli che avevano piedi dovettero scendere con i medesimi, e l'aeroplano servì per trasportare l'artiglieria, i vagoni e il veliero.

Capitano Mezzabarba però non si staccò dal suo parapetto neanche durante il volo, con grande invidia del Generale e del Capostazione, che se lo videro passare sopra la testa mentre si calavano giù per i ripidi gradini della scala.

Mezzabarba ebbe anche il cattivo gusto di sottolineare il suo successo personale sputando fuori bordo proprio a un centimetro dai loro nasi.

L'ultimo a scendere fu un Motociclista Acrobata: per lui fare le scale in motocicletta era come bere un'aranciata.

Non era ancora arrivato in fondo che si udì un grande strepito in bottega.

— Aiuto, aiuto! — strillava la serva della Befana. — Signora baronessa, ai ladri, agli assassini!

— Che c'è? che succede? — rispose la voce della padrona.

— I giocattoli sono scomparsi! La vetrina è vuota!

— Misericordia!

Ma i fuggitivi non ebbero misericordia: fecero sprangare la porta del magazzino dall'Ingegnere Capo del Meccano e corsero verso l'angolo degli scatoloni vuoti. Quasi subito si udirono i passi delle due vecchie che scendevano ciabattando le scale e venivano a sbattere il naso contro la porta chiusa.

— Presto, la chiave! — gridò la Befana.

— Non funziona, signora baronessa.

— Hanno chiuso dal di dentro. Bene, di lì i ladri non potranno scappare. Non abbiamo che da sederci qui e aspettare che si arrendano.

La Befana era una vecchietta coraggiosa. Ma il suo coraggio, stavolta, non le potè servire a nulla. I fuggiaschi, seguendo il cane che conosceva la strada, avevano già attraversato la montagna degli scatoloni vuoti e uno dopo l'altro, infilandosi nel buco del muro, passavano nella cantina vicina. La Freccia Azzurra era abituata ad attraversare le montagne: il Capostazione ed il Capotreno presero posto accanto al Macchinista, le bambole più piccole, che cominciavano ad essere stanche, si arrampicarono sui vagoni e con un leggero fischio lo splendido treno entrò in galleria.

Più difficile fu far passare il veliero, perché non c'era acqua. Ci pensarono gli operai del Meccano, che costruirono un carrello su otto ruote e vi caricarono sopra la nave e il suo capitano.

Appena in tempo.

La Befana, infatti, stanca di aspettare, con un martello aveva fracassato la serratura, aveva sfondato il piccolo sbarramento che teneva chiusa la porta e aveva fatto irruzione nel magazzino. Dove, naturalmente, rimase come una statua di gesso.

— Che storia è questa? — mormorò, rabbrividendo.

— Non c'è nessuno, signora baronessa — bisbigliò la serva, aggrappandosi alle sottane della padrona per la paura.

— Lo vedo. E non c'è bisogno di tremare a quel modo.

— Io non tremo, signora baronessa. Forse sarà colpa del terremoto.

— La Freccia Azzurra è scomparsa — mormorò tristemente la Befana. — Scomparsa senza lasciare traccia.

— Forse i ladri erano dei fantasmi, signora baronessa…

— Forse sì e forse no — rispose la Befana. — Una cosa è certa: che tu sei una gran fifona.

Orso Giallo scende alla prima fermata

Le sorprese cominciarono subito dall altra parte del muro.

Il Generale fu il primo a dare l'allarme. Egli aveva un temperamento assai focoso, e andava continuamente in cerca di brighe e di guai.

— I miei cannoni — soleva dire, arricciandosi i baffetti — i miei cannoni arrugginiscono. Per lucidarli, ci vorrebbe una piccola guerra. Magari una guerra d'un quarto d'ora…