Questo era il suo pensiero fisso: gli stava piantato in testa come un chiodo. Appena giunto dall'altra parte del muro, il Gè nerale sguainò la spada e gridò:
— All'armi! All'armi!
— Che c'è? Che succede? — si domandavano l'un l'altro i soldati, che non si erano ancora accorti di nulla.
— C'è il nemico, non lo vedete? Tutti ai pezzi! Caricate i cannoni! Pronti a far fuoco.
Successe una grande confusione. Gli artiglieri schieravano i pezzi in ordine di battaglia, i bersaglieri caricavano i fucili, gli ufficiali gridavano i comandi con voce tonante, arricciandosi i baffi come avevano visto fare dal Generale.
— Corpo di mille balene corazzate! — tuonò il Capitano Mezzabarba dall'alto del suo veliero — fate subito portare qualche cannone a bordo della mia nave, altrimenti mi coleranno a picco.
Il Macchinista della Freccia Azzurra tolse il berretto e si grattò in testa:
— Non capisco come farebbe ad affondare. Per conto mio, tutta l'acqua che vedo è quella del catino.
Il Capostazione lo guardò severamente:
— Se il signor Generale dice che c'è il nemico, così deve essere. Che ne sapete voi di guerre e di nemici?
— Lo vedo, lo vedo anch'io — gridò il Pilota Seduto, facendo volteggiare il suo aeroplano sopra la prima linea.
— Che cosa hai veduto?
— Il nemico, vi dico che l'ho visto con questi occhi.
Le bambole, terrorizzate, si nascondevano dietro i vagoni della Freccia Azzurra. La Bambola Rosa si lamentava:
— Oh, Signore, adesso scoppia la guerra. Ho appena fatto la permanente, e chissà dove andranno a finire i miei riccioli.
Il Generale fece suonare una tromba.
— Fate tutti silenzio — strepitò — altrimenti non si sentiranno i miei comandi.
E stava già per ordinare il fuoco quando si udì la voce sgraziata di Spìcciola, qualcosa a metà strada fra il miagolio di un gatto e il cigolio di una porta arrugginita:,
— Fermi, fermi per carità!
— Chi va là? Da quando in qua i cani danno ordini all'esercito? Fucilatelo! — ordinò il Generale.
Ma il cane non si spaventò:
— Per favore, vi prego di sospendere le operazioni. Vi assicuro che il nemico non è affatto un nemico.
— Questa è bella — osservò sarcasticamente il Generale — ora i cani fanno anche politica.
— Ma guardatelo meglio, per cortesia — continuò Spìcciola, senza perdersi di coraggio. — Sono andato a dargli un'occhiata da vicino. Non è che un bambino, un bambino addormentato.
— Un bambino? — ribatté il Generale, sicuro del fatto suo. — E che cosa ci fa un bambino sul campo di battaglia?
— Ma, signor Generale, non siamo su un campo di battaglia: è proprio questo l'errore. Ci troviamo in una cantina, non vedete? Signori e signore, vi prego di guardarvi in giro. Ci troviamo, come vi avevo detto, in una cantina dalla quale potremo uscire sulla strada. C'è soltanto una cosa che non sapevo: la cantina è abitata, e laggiù in fondo, dove brilla quel lumicino, c'è una branda, e nella branda un bambino che dorme. Volete forse svegliarlo a cannonate?
Si udì la voce di Penna d'Argento, che per tutto quel tempo aveva continuato tranquillamente a fumare la pipa:
— Cane avere ragione. Io vedere bambino e non vedere nemico.
— Si tratta certamente di un'astuzia — tentò di tener duro il Generale, che vedeva sfumare la guerra, — il nemico vuol farsi passare per una creatura innocente e disarmata.
Ma ormai, chi gli dava retta?
Perfino le bambole uscirono dai loro nascondigli e aguzzarono gli occhi nella penombra della cantina.
— È proprio un bambino — diceva l'una.
— È biondo, lo vedo — aggiungeva una seconda.
— È un bambino maleducato — sentenziava una terza. — Non vedete che dorme con un dito in bocca?
La cantina doveva essere abitata da una famiglia povera: si intravedevano nell'ombra pochi mobili sgangherati, un pagliericcio posato in terra, un catino slabbrato, un fornello spento, la branda in cui dormiva il bambino. I suoi genitori dovevano esser usciti per lavorare, o forse per chiedere l'elemosina, e il bambino era rimasto solo. Si era coricato senza spegnere la piccola lampada a
petrolio che brillava, posata su una sedia: forse aveva paura del buio, o forse gli piacevano le grandi ombre che la fiammella inquieta disegnava sul soffitto e sulle pareti, e guardando quelle ombre si era addormentato.
Il nostro eroico Generale, che aveva la fantasia sbrigliata come un cavallo da corsa, aveva scambiato il lumino a petrolio per i fuochi di un accampamento nemico, e aveva dato l'allarme.
— Corpo di mille balenotteri! — tuonò il Capitano Mezza-barba, lisciandosi nervosamente il suo mezzo onor del mento. — Mi avete fatto credere che ci fosse una nave corsara in vista. Quel bambino, a guardarlo nel mio cannocchiale, non ha per niente l'aria di un pirata. Non ha né un uncino al posto della mano, né una benda nera sugli occhi. Non alza bandiera nera con la testa da morto. Mi sembra proprio un pacifico brigantino che naviga nell'oceano dei sogni.
Il Pilota Seduto, ad ogni buon conto, fece un volo d'esplorazione fino alla branda, sorvolò due o tre volte il bambino, che mosse una mano come se volesse cacciare una mosca, e tornò a riferire:
— Nessun pericolo, signor Generale. Il nemico, volevo dire il bambino, è addormentato.
— Allora lo cattureremo di sorpresa — annunciò il Generale.
Ma stavolta furono i cow-boys a ribellarsi:
— Catturare un bambino? Forse che i nostri lazos sono stati fatti per questo? Noi catturiamo solo cavalli selvatici e tori della prateria. Niente bambini. E con questa corda impiccheremo al primo cactus chi si azzarderà a fargli del male.
Così dicendo spronarono i loro cavalli al galoppo e si disposero attorno al Generale, pronti ad infilargli i lazos attorno al colletto.
— Dicevo per dire — brontolò il Generale — dicevo per dire. Qui non si può mai scherzare. Siete gente di poca fantasia.
E se ne stette quieto.
La carovana dei fuggitivi si avvicinò alla branda. Non tutti i cuori, forse, battevano tranquilli. Qualche bambola, per esempio, non aveva ancora finito di digerire lo spavento, e si teneva dietro la schiena dell'Orso Giallo, che di tutto quel trambusto non aveva capito assolutamente nulla. Era un po' tonto, l'Orso Giallo, bisogna ammetterlo: il suo piccolo cervello di segatura si muoveva molto lentamente, e capiva le cose soltanto una alla volta.
Però aveva la vista buona. Aveva visto subito, lui, che il nemico era un bambino addormentato. Anzi, gli era subito venuta una gran voglia di saltare sul letto e di giocherellare con lui: senza riflettere che i bambini addormentati, di solito, non giocano con gli orsi.
Il bambino non aveva nulla di speciale. Non si poteva nemmeno sapere di che colore fossero i suoi occhi, perché erano chiusi.
Sulla sedia accanto alla lampada, c'era un foglio piegato in quattro. C'era un indirizzo scritto con una grossa scrittura tremante, su una delle facciate.
— Direi che si tratta di un messaggio speciale — suggerì il Generale, che già si sentiva disposto a considerare il bambino una spia del nemico.
— Può essere — riconobbe il Capotreno. — Però non possiamo leggerlo. Non è indirizzato a noi. Vedete? Qui dice: Alla signora Befana.
— Molto interessante — disse il Generale. — Il biglietto è indirizzato proprio alla nostra padrona. Forse il ragazzo intende mandarle informazioni sul nostro conto. Forse ci ha spiati, vi pare? Io dico che sarebbe bene leggere il biglietto.
— Non possiamo — insistè il Capotreno — commetteremmo una violazione del segreto postale. Lo lasci dire a me, che di posta ne trasporto tonnellate ad ogni viaggio.
Questa volta, caso strano. Penna d'Argento fu d'accordo con il Generale.