La carovana dei fuggitivi si avvicinò alla branda…
Disse soltanto: — Leggere subito — e si rimise la pipa in bocca. Ma questo bastò. Il Generale si arrampicò sulla sedia, spiegò il foglio, si schiarì la voce come se stesse per leggere un proclama di guerra e declamò:
Signora Befana,
ho sentito tanto parlare di lei ma non ho mai ricevuto un dono, né grande né piccolo. Questa sera lascerò la luce accesa: spero di riuscire a vederla quando lei passerà di qui, così le potrò dire a voce quello che vorrei. Siccome però ho paura di addormentarmi le scrivo questo biglietto. La prego molto, signora Befana mi accontenti: io sono un bambino buono, lo dicono tutti, e lo sarò anche di più se lei mi farà felice. Altrimenti, a che cosa mi serve essere un bambino buono?
Suo Giampaolo.
La voce del Generale, durante la lettura, era passata dai toni guerreschi a quelli teneri. Il vecchio soldato, è inutile nasconderlo, era piuttosto turbato.
La carovana dei giocattoli tratteneva il respiro. Solo una bambola sospirò tanto forte che tutti si voltarono a guardarla, e lei ebbe vergogna.
— Corpo di mille balene addormentate — si udì brontolare dalla parte del Capitano Mezzabarba. — Mi sembra che la nostra vecchia padrona abbia fatto un'ingiustizia: ecco un bambino che per colpa sua diventerà cattivo.
— Che cosa significa diventare cattivo? — domandò la Bambola Rosa.
Ma nessuno le rispose e le altre bambole le tirarono la gonna per farla star zitta.
— Bisogna fare qualcosa — disse il Capostazione della Freccia Azzurra. — Peccato che Giampaolo, per l'emozione, si sia dimenticato di scrivere cosa desidera.
— Ci vorrebbe un volontario — suggerì il Colonnello dei bersaglieri.
Il cane, che era balzato sulla brandina e si era accucciato vicino al cuscino, diventò rosso rosso e tutti capirono che doveva dire qualcosa di importante.
— Potrei restare io — disse Spìcciola. — Mi piace questo bambino. Credo che con lui sarò felice. Mi tratterà bene e io gli farò compagnia quando i suoi genitori lo lasceranno solo come questa sera.
— Bravo — disse Mezzabarba — e poi chi fiuterà la pista di Francesco?
— Io ho il naso abbastanza grosso — sospirò il Macchinista — ma se non ho dei binari davanti a me non so proprio dove andare.
— Spìcciola non può assolutamente restare — concluse il Generale.
Allora si sentì qualcuno che tossiva in uri certo modo. Quando la gente tossisce in quel modo significa che vorrebbe parlare ma non ne ha il coraggio.
— Avanti, parla — disse la voce del Pilota Seduto, che, dominando la scena dall'aria, aveva visto l'Orso Giallo fare delle strane smorfie.
— Ecco — disse l'Orso Giallo, tossendo di nuovo per nascondere il suo imbarazzo. — Io sono già stanco di andare in giro per il mondo. Potrei fermarmi qui, non vi pare?
Povero Orso Giallo! Voleva far credere di essere pigro, gli dispiaceva di mostrare il suo buon cuore. Chissà perché quelli che hanno il cuore buono davvero si sforzano sempre di non farlo sapere agli altri.
Cento occhi si posarono sull'Orso Giallo: troppi per il suo carattere.
— Non guardatemi così — disse — altrimenti diventerò un Orso Rosso. Sono pigro, ecco. Trovo che su questa branda potrò fare subito un bel sonnellino, in attesa dell'alba, mentre a voi toccherà di andarvene in giro per le strade in cerca di Francesco, col freddo che fa.
— Bene — disse Mezzabarba — resta qui tu. I bambini e gli orsi vanno d'accordo perché almeno in una cosa si somigliano: hanno il sonno duro.
Tutti furono d'accordo. Cominciarono i saluti. Ciascuno voleva stringere la zampa all'Orso Giallo per augurargli buona fortuna. Ma il Macchinista della Freccia Azzurra fece echeggiare un fischio acuto e prolungato, il Capostazione soffiò nel suo fischietto, il Capotreno prese a gridare:
— Presto signori in carrozza! Si parte! Signori, in vettura!
Le bambole per paura di perdere il treno, fecero una confusione incredibile.
Il convoglio si mosse lentamente, mentre cow-boys e indiani a cavallo facevano buona guardia ai suoi fianchi. I bersaglieri si erano accomodati sul tetto delle vetture, e il veliero di Mezzabarba era stato caricato su un vagone merci.
La porta della cantina era aperta, e dava sul vicolo stretto e buio. L'Orso Giallo, accoccolato sul cuscino della branda, accanto alla testa di Giampaolo, guardò con un poco di malinconia i suoi compagni di viaggio che si allontanavano, poi sospirò.
Anzi, sospirò così forte che i capelli del bambino ondeggiarono come se avesse soffiato il vento.
— Piano, piano, amico mio — si disse l'Orso Giallo — altrimenti lo svegli.
Il bambino non si svegliò, ma un sorriso passò da un angolo all'altro della sua bocca.
— Scommetto che sta sognando — si disse l'Orso Giallo — sta sognando che proprio in questo momento la Befana è passata accanto a lui, gli ha lasciato un dono e se n'è andata di corsa, facendo vento ai suoi capelli con la lunga sottana. Scommetto che il sogno è proprio questo. Ma nel sogno, chissà di che regalo si tratta?
L'Orso Giallo si curvò sul bambino per spiarlo meglio, ma gli occhi erano chiusi e non si poteva assolutamente indovinare quello che vedevano.
Allora l'Orso Giallo fece una cosa che a noi non sarebbe venuta in mente: si avvicinò all'orecchio del bambino e prese a parlargli dolcemente, con un soffio di voce, e gli diceva:
— La Befana è passata e ti ha lasciato un Orso Giallo di pelo. Un bellissimo Orsacchiotto, te lo dico io che lo conosco, per averlo visto tante volte nello specchio. E nella schiena ha una chiavetta per caricargli la molla, e quando si carica, l'Orso fa un balletto, come gli orsi che vanno sulle fiere e nei circhi equestri. Adesso te lo faccio vedere.
L'Orso Giallo dovette contorcersi un poco per arrivare con la zampa a toccare la chiavetta e a caricare la molla. Ma alla fine ci riuscì. La molla gli fece un effetto straordinario. Per prima cosa sentì un prurito che gli andava su e giù per la schiena e gli metteva addosso una gran voglia di essere allegro. Poi il prurito scese giù per le gambe, e quelle cominciarono a ballare da sole.
L'Orso Giallo non aveva mai ballato così bene.
Allarme sul ponte
Il vicolo era in salita, ma la Freccia Azzurra superò il dislivello senza rallentare e sbucò ben presto sulla piazza, presso la bottega della Befana.
Il Macchinista si sporse da un finestrino a chiedere ordini:
— Allora, da che parte dobbiamo andare?
— Sempre diritti — gridò il Generale — l'attacco frontale è la tattica migliore per sconvolgere il nemico.
— Ma quale nemico? — domandò il Capostazione. — Lei faccia il santo piacere di smetterla con queste storie. Lei in treno è un viaggiatore qualunque, con tutte le righe che ha sul berretto. Mi ha capito? Il treno andrà dove dirò io.
— Va bene — rispose il Macchinista — ma me lo dica subito, perché stiamo andando a cozzare contro un marciapiedi.
— A destra — guaì la voce lamentosa di Spìcciola — piegate subito a destra: ho riconosciuto la pista di Francesco. Sento l'odore delle sue scarpe rotte.
Il cane, difatti, non faceva altro che correre su e giù fiutando per terra, e non aveva faticato a trovare la pista di Francesco.
— Allora a destra — confermò il Capostazione.
Il Macchinista girò il volante e la Freccia Azzurra prese la curva in piena velocità. Il Pilota Seduto volava a mezz'aria sopra la locomotiva, per non perderla d'occhio.