Robert J. Sawyer
La genesi della specie
Per Marcel Gagné e Sally Tomasevic
Dude e l'altra Dude
Splendide persone, grandi amici
Il messaggio che ci arriva dalla vita nelle foreste australi è che non doveva andare così, che sulla terra c'è posto anche per specie animali con tratti morali innati che, ironicamente, ci piace chiamare 'umani': rispetto per i propri simili, equilibrio individuale, ripudio della violenza quale soluzione delle conflittualità. La presenza di queste caratteristiche nei bonobo suggerisce implicitamente come sarebbe potuto essere l'Homo sapiens se la storia dell'evoluzione avesse avuto un corso lievemente diverso.
La privacy non esiste più. Scordiamocela.
1
Era buio fitto.
La ventottenne Louise Benoit, ricercatrice di Montreal dai folti capelli castani raccolti, secondo le regole, in una retina, vegliava nelle tenebre dell'angusta sala di controllo, sepolta due chilometri sotto la superficie terrestre, o 'un miglio e un quarto,' come le capitava di spiegare con un accento che i visitatori americani trovavano affascinante.
La sala di controllo era situata accanto alla piattaforma collocata nell'ampia caverna buia nella quale era stato costruito anche l'Osservatorio di neutrini di Sudbury. Sospesa al centro della cavità si trovava la sfera di acrilico più grande del mondo, dodici metri di diametro, che conteneva mille e cento tonnellate di acqua pesante fornita dalla società per l'energia atomica del Canada. Il globo trasparente era avvolto da una rete geodetica di montanti di acciaio inossidabile che sostenevano 9.600 tubi fotomoltiplicatori, ognuno dei quali terminava con una parabola riflettente rivolta verso il centro della sfera. Tutto questo — l'acqua pesante, il globo di acrilico che la conteneva e la struttura geodetica che lo avvolgeva — era raccolto in una cavità a forma di botte alta dieci piani, scavata nella norite. La gigantesca caverna era riempita sin quasi alla sommità di acqua normale, purissima.
Louise sapeva bene che i due chilometri di roccia dello scudo canadese che separavano la caverna dalla superficie servivano a proteggere l'acqua pesante dall'azione dei raggi cosmici, mentre lo strato di acqua normale assorbiva le radiazioni naturali emanate dalle piccole quantità di uranio e di torio presenti nella roccia circostante, evitandone così il contatto con l'acqua pesante. In realtà, a parte i neutrini, particelle subatomiche infinitesimali che Louise stava studiando, nulla poteva penetrare sino all'acqua pesante. Ogni secondo trilioni di neutrini piombavano sulla terra, e di fatto soltanto un neutrino poteva passare attraverso un blocco di piombo dello spessore di un anno-luce e avere solo il cinquanta per cento di possibilità di entrare in collisione con qualcosa.
Eppure, poiché il sole emana un'enorme quantità di neutrini, potevano verificarsi sporadiche collisioni, e in tal caso l'acqua pesante era un bersaglio ideale. Infatti ogni nucleo di idrogeno di acqua pesante contiene un protone (il costituente ordinario di un nucleo d'idrogeno) e un neutrone. Quando un neutrino entra in collisione con un neutrone questo decade, rilasciando a sua volta un protone, un elettrone e un lampo di luce che può essere rilevato dai tubi fotomoltiplicatori.
Quando scattò l'allarme del sistema preposto alla localizzazione dei neutrini, le brune sopracciglia arcuate di Louise non si mossero. Sebbene questa fosse la cosa più elettrizzante che potesse accadere laggiù, l'evento si verificava almeno una dozzina di volte al giorno, per cui la giovane ricercatrice non alzò gli occhi dalla rivista che stava leggendo. Ma quando l'allarme suonò di nuovo, e poi ancora, stabilizzandosi infine in un suono solido, breve e acuto come il bip dell'ecocardiogramma di un moribondo, Louise si alzò dal tavolo di lavoro e si avvicinò al quadro di controllo, su cui era stata posta una foto di Stephen Hawking, che qualche anno prima, nel 1998, aveva visitato l'Osservatorio in occasione della sua inaugurazione. Louise batté leggermente le dita sulle casse del sistema di allarme per accertarsi che non si fosse verificato qualche guasto, ma il lamentoso segnale continuò a risuonare.
Da un altro ambiente dell'enorme complesso sotterraneo, Paul Kiriyama, uno studente magrissimo, irruppe nella sala di controllo. Con Louise nei paraggi, Paul si trovava sempre in grande imbarazzo, ma questa volta non gli mancarono le parole: «Che diavolo succede?» Sul quadro dei comandi tutte le lucette della griglia di novantotto per novantotto diodi fotoemittenti, che indicavano i tubi fotomoltiplicatori, erano illuminate.
«Forse qualcuno ha acceso per sbaglio le luci nella caverna» ipotizzò Louise senza crederci troppo.
Finalmente il bip prolungato cessò. Paul pigiò un paio di pulsanti, attivando cinque monitor collegati ad altrettante telecamere subacquee poste all'interno della camera di rilevamento. Gli schermi erano rettangoli neri perfetti. «Be', se le luci sono state accese, adesso sono spente. Mi chiedo cosa…»
«Una supernova!» gridò Louise battendo le dita affusolate delle mani. «Dobbiamo chiedere priorità assoluta all'ufficio centrale dei telegrammi.» Anche se l'osservatorio era stato costruito con l'intento di studiare i neutrini provenienti dal sole, era possibile localizzare anche dei neutrini provenienti da altre fonti.
Paul annuì, sedette davanti a un computer e si collegò al sito dell'Ufficio dei telegrammi. Louise sapeva che ogni evento andava comunque segnalato, anche se non si aveva la certezza della sua esatta natura.
Un nuova serie di bip risuonò dal pannello di controllo. Louise guardò il quadro dei comandi: centinaia di piccole luci illuminavano la griglia. Strano, pensò. Il sistema dovrebbe rilevare una supernova come una fonte direzionale…
«Forse c'è qualche problema nel sistema di rilevamento» ipotizzò Paul, che evidentemente era giunto alle stesse conclusioni. «O magari è saltata una delle connessioni ai fotomoltiplicatori e le altre chiudono il circuito.»
Ad un tratto s'udì un cigolio stridente, proveniente dalla porta che dava sulla piattaforma posta al di sopra della gigantesca camera di rilevamento. «Forse dovremmo accendere le luci» disse Louise. Quella specie di gemito continuava a riverberarsi nell'aria, come una bestia che brancola nel buio.
«E se si trattasse davvero di una supernova?» si chiese Paul. «Il rilevatore magnetico non funziona con le luci accese, e…»
Si udì un forte schiocco, simile al colpo secco di una pallina colpita da un giocatore di hockey. «Accendi la luce!»
Paul sollevò il coperchio posto a protezione dell'interruttore e lo azionò. Le immagini sui monitor tremolarono per un istante prima di stabilizzarsi e mostrare…
«Mon dieu!» esclamò Louise.
«C'è qualcosa nella vasca dell'acqua pesante!» disse Paul. «Ma come…»
«Lo vedi?» gli chiese Louise. «Si muove e… mio Dio, è un uomo!»
Nell'aria risuonava sempre quel gemito stridente, finché…
Lo videro nei monitor e lo sentirono al di là del muro.
Improvvisamente le giunture dell'enorme sfera acrilica cedettero. «Maledizione!» imprecò Louise, rendendosi immediatamente conto che l'acqua pesante si sarebbe mescolata con quella normale all'interno della caverna a forma di botte. Il cuore le batteva come un martello pneumatico. Per una frazione di secondo non seppe se a preoccuparla fosse più la distruzione del rilevatore o l'uomo che stava annegando lì dentro.