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Le attività minerarie principali si svolgevano attorno al cratere di origine meteoritica di Sudbury, dove, un milione e ottocentomila anni fa, un asteroide da uno e tre chilometri di diametro aveva impattato il suolo ad una velocità di quindici klick al secondo.

Le sue fortune avevano seguito quelle della domanda di nickel; la società forniva un terzo della produzione mondiale. In tutti quegli anni, la Inco aveva cercato di diventare una società per azioni attenta alle istanze sociali, e quando nel 1984 Herbert Chen, della California University, aveva proposto la miniera Creighton, di proprietà della Inco, quale sede ideale dove costruire il rilevatore di neutrini più avanzato al mondo, per via dei bassi livelli di radioattività e per la disponibilità di grosse quantità di acqua pesante accumulate per l'uso dei reattori CANDU del Canada, la Inco aveva accettato con entusiasmo l'idea di cedere liberamente il sito, accordandosi sul fatto che avrebbe recuperato solo le spese per i lavori di scavo di ulteriori dieci piani sotto il livello della miniera, dove avrebbe preso posto la camera di rilevamento, e per la costruzione di una galleria di collegamento lunga un chilometro e duecento metri.

Sebbene l'Osservatorio di Sudbury fosse il frutto di un progetto congiunto di cinque università canadesi, di due americane, di Oxford, dell'America's Los Alamos, della Lawrence Berkeley e dei Brookhaven National Laboratories, la denuncia a carico dell'uomo di Neandertal, quel tal Ponter, spettava legalmente alla proprietà della miniera, quindi alla Inco.

«Buongiorno, signore» salutò Reuben quando il presidente rispose al telefono. «La prego di perdonarmi per averla disturbata a casa. Sono il dottor Reuben Montego, il medico del…»

«So chi è lei» rispose una voce educata e profonda.

Reuben entrò in agitazione, ma continuò: «Signore, vorrei pregarla di chiamare la polizia militare per informarla che la Inco non ha intenzione di sporgere denuncia contro l'uomo trovato nell'Osservatorio.»

«La sto ascoltando.»

«Ho insistito affinché l'ospedale non lo dimettesse. Secondo la letteratura medica, l'ingestione di grosse quantità di acqua pesante può far aumentare la pressione osmotica tra le membrane cellulari, causando la morte. Ora, quell'uomo non dovrebbe aver ingerito quantità tali da provocare dei danni, ma stiamo usando questa motivazione come pretesto per non farlo dimettere. Altrimenti, a quest'ora sarebbe già in galera.»

«In galera» ripeté il presidente divertito.

Reuben si sentì ancora più confuso. «Comunque, come le ho già detto, non credo che quell'uomo debba finire in prigione.»

«Mi dica perché.»

E Reuben lo fece.

Il presidente della Inco era un uomo risoluto: «Farò quella telefonata.»

Ponter giaceva su… be', supponeva che fosse un letto, anche se era sistemato su una struttura di metallo rigida e sollevata dal pavimento. Il cuscino era un sacchetto informe pieno di… non sapeva cosa, ma certo non erano pinoli secchi, come nel cuscino del suo letto.

L'uomo senza capelli — Ponter aveva notato della peluria sullo scalpo, deducendo che la calvizie non era congenita ma una scelta — aveva lasciato la stanza. Si era messo comodo, le mani intrecciate dietro la testa. La posizione non interferiva con l'antenna del suo Companion, che percepiva tutto entro il raggio di un paio di metri. Solo nel caso di oggetti più lontani avrebbe dovuto puntare le lenti direzionali.

«È notte» disse Ponter nella stanza vuota.

«Sì» rispose Hak. Con la testa poggiata sul braccio, poteva sentire le lievi vibrazioni dell'impianto cocleare.

«Ma fuori non è buio. La stanza ha una finestra, e mi sembra di percepire delle luci artificiali. Mi chiedo che funzione abbiano.»

Ponter si tirò su — era davvero strano far penzolare i piedi da un lato del letto per potersi alzare — e si avvicinò rapido alla finestra. C'era troppa luce per vedere le stelle, ma…

«Eccola» disse, puntando il polso verso l'alto in modo che anche Hak la vedesse.

«Sì, è proprio la luna terrestre» confermò Hak. «La sua fase — mezzaluna calante — corrisponde alla data di oggi, il 148/118/24.»

Ponter scosse la testa; tornò verso quello strano letto rialzato e si sedette sulla sponda. Era davvero scomodo, senza uno schienale cui poggiarsi. Si toccò la benda che l'uomo con il capo avvolto dalla stoffa gli aveva messo attorno alla testa. Si chiese se quel bendaggio nascondesse una grossa ferita. «Mi duole la testa.»

«Sì, ma hai visto anche tu le lastre che ti hanno fatto: non ci sono danni seri.»

«Già, ma stavo quasi per annegare.»

«Verissimo.»

«Quindi… il cervello potrebbe aver subito dei danni. Anossia e tutti i suoi disturbi…»

«Pensi di essere preda di allucinazioni?» gli domandò Hak.

«Be',» rispose indicando lo strano ambiente che lo circondava «come spiegare tutto questo, altrimenti?»

Hak rimase un attimo in silenzio, poi disse: «Se davvero è tutta un'allucinazione, allora il fatto che io ti contraddica sarebbe parte dell'allucinazione stessa. Pertanto è inutile cercare di convincerti, non credi?»

Ponter si sdraiò sul letto a fissare il soffitto vuoto, che non aveva orologi né decorazioni.

«Faresti meglio a dormirci su» concluse Hak. «Forse di giorno le cose avranno più senso.»

Ponter annuì impercettibilmente. «Rumore bianco» disse. Hak obbedì, e attraverso l'impianto cocleare cominciò a spandersi un sibilo dolce e piacevole. Ma il tempo che gli ci volle per addormentarsi parve un'eternità.

9

SECONDO GIORNO
SABATO 3 AGOSTO
148/118/25

Adikor Huld non riusciva a rimanere in casa. Lì dentro tutto gli ricordava il povero Ponter, così misteriosamente scomparso. La sua sedia preferita, il notes per gli appunti, le amate sculture: ovunque si posasse lo sguardo. Per questo era uscito sulla veranda, sedendosi a contemplare mestamente la natura circostante. Pabo gli si avvicinò e rimase a fissarlo a lungo; era la cagna di Ponter, che viveva lì ben prima di lui. L'avrebbe tenuta: almeno quel posto gli sarebbe sembrato meno vuoto. Pabo rientrò in casa. Sapeva che si sarebbe piazzata di fronte alla porta ad aspettare Ponter. Sin dal giorno prima, da quando era rincasato da solo, aveva fatto la spola tra i due ingressi, in attesa. Non gli era mai accaduto di tornare senza Ponter; il povero animale era sconcertato e la sua tristezza era evidente.

Anche lui si sentiva prigioniero di una tristezza invincibile. Aveva passato quasi tutto il giorno a piangere; non a piagnucolare o a lamentarsi, ma proprio a piangere, a volte persino senza accorgersene, fin quando qualche grossa lacrima non gocciolava sul braccio o sulla mano.

Le squadre di soccorso avevano cercato ovunque, senza trovare il minimo segno di Ponter. Esseri umani e cani addestrati avevano perlustrato tutte le gallerie, alla ricerca dell'odore di un uomo forse svenuto, nascosto da qualche parte. Avevano anche impiegato le apparecchiature portatili per rilevare il suo Companion.

Tutto invano. Ponter era letteralmente svanito nel nulla, senza lasciare la minima traccia.

Cambiò posizione. La sedia, intessuta di assi di pino, aveva un ampio schienale e braccioli sufficientemente larghi, su cui si potevano poggiare delle lattine: era davvero una sedia comoda. Senza dubbio chi l'aveva costruita — ne aveva dimenticato il nome, che comunque era inciso sullo schienale — aveva dato un bel contributo alla società. La gente aveva bisogno di mobili. Adikor possedeva un tavolo e due armadietti fatti dallo stesso falegname.

E a proposito di contributi, adesso quale sarebbe stato il suo senza il caro amico? Tra i due, il più brillante era Ponter: Adikor lo riconosceva e lo accettava. Come avrebbe fatto senza il suo amatissimo compagno?