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Non ricordava l'ultimo uomo che aveva visto piangere. Forse era stato Colm, ma non certo per il dolore del matrimonio fallito. Oh, no, quello era stato affrontato con un silenzio spietato. Era successo alla morte della madre. E comunque anche in quell'occasione aveva fatto il duro, concedendosi solo qualche lacrima. Ponter invece stava piangendo senza vergogna per il mondo, l'amore e i figli che aveva perduto. Lasciò che si sfogasse, senza parlare.

Quando smise, alzò la testa e la guardò negli occhi. Parlò nella sua lingua. Mary si aspettava che Hak avesse tradotto qualcosa del tipo 'Scusami.' Non è quello che dice un uomo dopo aver pianto, dopo aver abbassato la guardia ed essersi lasciato andare? Ma non fu quella la parola. Disse solo 'grazie.' Mary gli sorrise affettuosamente, e lui le restituì il sorriso.

Quella mattina Jasmel si recò dalla donna di Adikor, Lurt.

Come aveva immaginato, la trovò nel suo laboratorio, intenta al lavoro. «Buongiorno» la salutò entrando.

«Jasmel! Cosa fai qui?»

«Adikor mi ha chiesto di venire da te.»

«Sta bene?»

«Oh, sì, sta bene. Ma ha bisogno di un favore.»

«Dimmi pure. Per lui farei qualsiasi cosa.»

Jasmel sorrise. «Speravo che avresti risposto così.»

Per accompagnare Ponter fin lì, avevano impiegato più tempo di quanto Mary avesse previsto. Quando tornarono alla macchina, erano da poco passate le sette di sera.

Dopo tutto quel cammino erano entrambi molto affamati. Mary propose di fermarsi da qualche parte a mangiare qualcosa. Sulla strada incrociarono una locanda che serviva carne di daino.

«Che te ne pare?» gli chiese accostando.

«Non saprei» rispose Ponter. «Che cibo fanno?»

«Carne di daino.»

Bip.

«Che roba è?»

«Cervo.»

«Cervo!» esclamò Ponter. «Sì, il cervo mi piace.»

«Io non l'ho mai assaggiato.»

«Ti piacerà, vedrai» la incoraggiò Ponter.

La locanda aveva solo sei tavoli, tutti vuoti. Si sedettero l'uno di fronte all'altra, con al centro una candela accesa. Ci volle quasi un'ora prima che arrivasse il piatto che avevano ordinato, e nel frattempo Mary si accontentò di qualche fetta di pane di segale con burro. Avrebbe preso volentieri anche una bella insalata Caesar, ma se l'aglio dava problemi agli esseri umani, figuriamoci a una persona con l'olfatto di Ponter. Quindi ripiegò su un'insalata della casa, con pomodori essiccati all'aceto, che anche Ponter assaggiò. Sembrava gli fosse piaciuto tutto a parte i crostini, che aveva lasciato intatti nel piatto.

Mary aveva ordinato anche un bicchiere di rosso della casa, che si rivelò tutt'altro che malvagio. «Posso provarlo?» chiese Ponter quando vide il bicchiere pieno di liquido scuro.

Mary ne fu sorpresa, perché a casa di Reuben non aveva voluto assaggiarne. «Certo.»

Prese un piccolo sorso, subito seguito da una smorfia. «Ha un sapore aspro» fu il suo commento.

Mary annuì. «Vedrai, ti piacerà.»

Ponter le restituì il bicchiere. «Non credo.» Mary pasteggiò allegramente, soddisfatta del delizioso ambiente rustico che aveva scelto, in compagnia di un uomo così garbato.

Naturalmente il locandiere aveva immediatamente riconosciuto Ponter. D'altra parte, uno così non passava certo inosservato, e poi aveva notato che parlava piano in una lingua sconosciuta, e che qualche strumento arcano traduceva in inglese le sue parole. Alla fine l'uomo ruppe gli indugi, e avvicinandosi al tavolo fece la sua richiesta: «Mi scusi signor Ponter, mi farebbe un autografo?»

Mary sentì il bip, e vide le sopracciglia del Neandertal inarcarsi. «Un autografo» gli spiegò «è il tuo nome scritto su un foglio. La gente colleziona autografi delle celebrità.» Un altro bip. «Celebrità. Persone famose. Come te.»

Ponter guardò l'uomo, sbalordito. «Io… ne sarei onorato» disse infine.

L'uomo gli porse una penna e gli mise davanti la copertina di cartoncino bianca su cui prendeva le ordinazioni.

«Di solito con il nome si scrive qualche frase» lo informò Mary. «Con simpatia, o qualcosa del genere.»

Il locandiere annuì. «Sì, grazie.»

Ancora sbalordito, Ponter scrollò le spalle, tracciò una serie di segni nella sua lingua e restituì il blocchetto con la penna all'uomo, che sgambettò via soddisfatto.

«Lo hai reso felice.»

«Perché?»

«Ricorderà per sempre questo giorno, grazie a te.»

«Ah» disse Ponter sorridendole da dietro la fiamma della candela. «E io ricorderò per sempre questo giorno grazie a te.»

41

Se Lurt fosse riuscita a fare quanto le aveva chiesto, Adikor sarebbe tornato nel suo laboratorio l'indomani. Ma prima doveva preparare alcune cose.

Benché Saldak fosse una grande città, conosceva quasi tutti gli scienziati e gli ingegneri che vivevano in periferia, e buona parte di quelli che vivevano in centro. In particolare, era amico di uno degli ingegneri addetti al controllo dell'attività dei robot impiegati nella miniera, Dern Kord, un uomo grasso e allegro. Adikor decise di andarlo a trovare la sera, dopo il lavoro.

La casa di Dern era ampia e aveva una forma irregolare; il legno con cui era stata costruita doveva essere molto antico, forse dell'epoca in cui era nata l'arboricoltura moderna.

«Buonasera» lo salutò. Dern era seduto sulla veranda a leggere un quaderno fluorescente. Una rete che si estendeva dal soffitto al pavimento teneva lontani gli insetti.

«Adikor!» esclamò l'uomo. «Entra, ma stai attento a non far entrare gli insetti. Prendi qualcosa da bere? Un po' di carne?»

Adikor scosse la testa. «No, grazie.»

«Allora, come mai da queste parti?»

«Come vanno gli occhi? Ci vedi bene?»

Dern allargò le narici alla strana domanda. «Certo. Ovviamente porto gli occhiali, ma non per leggere… per lo meno questo quaderno: mi basta ingrandire i caratteri.»

«Prendi gli occhiali, ho qualcosa da mostrarti.»

Dern sembrò perplesso, ma fece come gli era stato detto. Tornò quasi subito, con un paio di lenti attaccate ad un largo nastro di stoffa elasticizzata. Si passò il nastro dietro la testa, sistemandolo nel solco dietro la protuberanza. Le lenti erano montate su piccoli cardini; le sistemò davanti agli occhi e guardò l'amico, in attesa.

Adikor mise una mano nella tasca sinistra dei pantaloni e tirò fuori un sottile foglio di plastica su cui aveva scritto qualcosa, in caratteri piccolissimi. Dall'epoca in cui era stata registrata la sua aggressione a Ponter, la qualità delle immagini era molto migliorata, ma l'inquadratura dei dettagli era ancora limitata. Gli erano venuti i crampi per scrivere così piccolo, in modo che nessuno all'archivio degli alibi potesse capire il contenuto.

«Che roba è questa?» disse Dern prendendo in mano il foglietto. «Oh!» esclamò dopo aver letto qualche riga. «Però! Credi che… Bene, bene… naturalmente posso fartene avere uno nuovo, se ne hai bisogno. Ne ho anche parecchi vecchi in attesa di essere ritirati; uno di loro potrebbe fare al caso nostro.»

Adikor annuì. «Grazie.»

«Allora, dove e quando ne hai bisogno?»

Adikor stava per zittirlo, ma malgrado la sua esuberanza, Dern non era uno stupido. Infatti, lesse sul foglietto la risposta alla sua domanda e annuì. «Sì, va bene. Ti aspetterò lì.»