Poiché la porta del laboratorio era a vetri, si mise in un angolo dove non era visibile dal corridoio e si abbassò i pantaloni. Al suono della lampo che si apriva il cuore cominciò a battere forte. Prese una provetta di vetro e un tampone di cotone, e soffocando le lacrime raccolse un campione della porcheria che l'uomo le aveva lasciato dentro. Sigillò la provetta, sull'etichetta scrisse con una penna rossa la data, il suo nome e il numero più adatto a indicare un mostro come quello, 'Vaughan 666.' Poi si sfilò le mutandine e le pose in una vaschetta di vetro opaco, su cui scrisse le stesse cose. Quindi mise entrambe le provette nel congelatore dove conservava i campioni, accanto ai DNA di una colomba migratrice, di una mummia egiziana e a un campione di pelo di mammut.
7
«Dove mi trovo?» chiese Ponter con voce tremante, che malgrado ogni sforzo non riusciva a controllare. Era ancora seduto su una strana sedia che si muoveva su delle piccole ruote; meglio così, non era sicuro di riuscire a stare in piedi.
«Calmati, Ponter» disse il Companion «la frequenza cardiaca è…»
«Calmarmi!» scattò, come se Hak avesse detto un'assurdità. «Ti ho chiesto: dove mi trovo?»
«Non lo so. Non riesco a intercettare il segnale dalla torre di controllo. E per di più non riesco a connettermi con la nostra rete di informazioni planetarie, e dall'archivio centrale non risponde nessuno.»
«Sei danneggiato?»
«No.»
«Allora… non siamo sulla Terra, vero? Altrimenti capteresti dei segnali e…»
«Sono sicuro che questa è la Terra» disse Hak. «Hai fatto caso al sole mentre ti trasportavano su quel veicolo bianco?»
«Cosa?»
«Ha la stessa temperatura e posizione astronomica di Sol, rispetto all'orbita terrestre. E poi ho riconosciuto quasi tutte le piante e gli alberi che ho visto sinora. No, questa è proprio la Terra.»
«Ma questa puzza! L'aria è schifosa.»
«Be', per questo mi devo fidare della tua parola.»
«È possibile che… abbiamo viaggiato nel tempo?»
«Mi sembra improbabile» rispose Hak. «Ma se stanotte riuscirò a vedere le costellazioni ti saprò dire se abbiamo viaggiato avanti o indietro nel tempo per un periodo apprezzabile, e se individuo gli altri pianeti e la fase lunare sarò in grado di calcolare la data esatta…»
«Ma come facciamo a tornare a casa? Come…»
«Ponter, devo nuovamente raccomandarti di mantenere la calma. Stai quasi per iperventilare. Inspira profondamente. Così. Adesso espira lentamente. Bene, così. Rilassati. Adesso un altro respiro…»
«Che creature sono quelle?» disse Ponter puntando il dito verso la figura ossuta scura di pelle e senza capelli, e l'altra dalla pelle più chiara e con un pezzo di stoffa arrotolato sulla testa.
«Tiro a indovinare: sono Gliksins.»
«Gliksins!» esclamò Ponter, così forte che i due esseri si voltarono a guardarlo. E in tono più basso aggiunse: «Gliksins? Oh, andiamo…»
«Guarda laggiù quelle radiografie di cranii.» Hak comunicava con Ponter attraverso un paio di impianti cocleari, ma direzionando la voce a destra o a sinistra era in grado di indicare una posizione come se l'avesse puntata con un dito. Ponter si mise in piedi, malfermo sulle gambe, e attraversò la stanza nella direzione opposta a dove si trovavano quegli strani esseri, avvicinandosi a un pannello illuminato simile a quello che i due stavano esaminando, con sopra attaccate le radiografie di alcuni cranii.
«Guarda!» esclamò indicando le figure di quelle ossa sconosciute. «Sembrano proprio Gliksins, no?»
«Direi di si. Nessun altro primate ha l'osso frontale così poco prominente, o quella sporgenza tra la fronte e la mandibola.»
«Gliksins! Ma saranno estinti da… be', da quanto?»
«Almeno da quattrocentomila mesi» rispose Hak.
«Ma questa non può essere la Terra di quel periodo» rifletté Ponter. «Voglio dire, è impossibile che la civiltà che abbiamo visto venendo qui non abbia lasciato tracce fino a noi. I Gliksins al massimo facevano armi rudimentali scheggiando la pietra, vero?»
«Sì.»
Ponter si sforzò di non lasciar trasparire la vena isterica nella sua voce: «E allora te lo chiedo di nuovo: Dove ci troviamo?»
Reuben Montego stentava a credere alle parole del medico del pronto soccorso. «Cosa intende con 'Sembra proprio un Neandertal'?»
«Le caratteristiche anatomiche del cranio sono inequivocabili» rispose Singh. «Mi creda, sono specializzato in craniologia.»
«Ma come è possibile, dottor Singh? La specie dei Neandertal è estinta da milioni di anni.»
«Per la verità solo da ventisettemila anni o giù di lì.»
«Ma allora…»
«Non so cosa dirle.» Singh indicò con la mano le lastre fissate sul pannello illuminato. «Quello che so è che l'insieme delle caratteristiche del cranio che abbiamo davanti ai nostri occhi sono inequivocabili. Una o due di esse potrebbero comparire nel cranio dell'Homo sapiens dei nostri giorni, ma tutte insieme è impossibile.»
«Quali caratteristiche?» chiese Reuben.
«L'osso frontale, ovviamente» rispose Singh. «Faccia caso a come è diverso da quello degli altri primati: ha una doppia arcata, con un solco al centro. Siamo in presenza di un caso di cospicuo prognatismo facciale: osservi la prominenza delle mandibole, l'assenza del mento, la cavità retromolare» aggiunse indicando il rispettivo spazio. «Vede quelle protuberanze triangolari nella cavità nasale? Non si trovano in nessun altro mammifero, tanto meno negli altri primati.» Quindi, tamburellando con le dita sulla parte posteriore del cranio, continuò: «Vede questa sporgenza qui dietro? Si chiama chignon occipitale, ed è un altro tratto distintivo dei Neandertaloidi.»
«Mi sta prendendo in giro?»
«Non mi permetterei mai.»
Reuben si voltò a guardare lo sconosciuto, che nel frattempo si era alzato dalla sedia a rotelle e fissava con aria stupita le lastre di un paio di cranii fissate a un pannello sul muro. Quando il radiologo aveva portato le lastre, lui e Singh non si trovavano nella stanza, quindi qualcuno, per chissà quale motivo, poteva averle sostituite, anche se…
No, quelle erano lastre autentiche, di un essere vivente e non di un fossile: si vedeva chiaramente la cartilagine nasale e il contorno della carne attorno alle ossa. Eppure nella mandibola c'era qualcosa di strano. Alcune parti erano di un grigio più chiaro, levigate e regolari come fossero formate da una materia meno compatta e apparentemente uniforme.
«Si tratta di un'imitazione» disse Reuben indicando la parte anomala della mascella. «Secondo me è un impostore. Si è fatto fare una plastica per sembrare un Neandertal.»
Singh sbirciò appena la lastra. «È vero, questa parte sembra ricostruita, ma solo qui, sotto la mandibola. Il resto del cranio apparentemente è naturale.»
Reuben lanciò un'occhiata allo sconosciuto, che stava ancora osservando le lastre e borbottando qualcosa tra sé. Cercò di immaginarne il cranio: era proprio quello che Singh gli stava mostrando?
«Ha parecchi denti artificiali,» continuò Singh che stava ancora studiando la lastra «tutti fissati alla sezione mandibolare ricostruita. Gli altri sembrano naturali, anche se hanno le radici taurodonti, altro tratto caratteristico dei Neandertaloidi.»
Reuben tornò a osservare la lastra. «Senza cavità» commentò tra sé, distrattamente.
«Giusto» confermò Singh, che esaminò l'immagine ancora per qualche secondo prima di formulare la diagnosi: «Ad ogni modo, la lastra non evidenzia alcuna frattura, né ematomi subdurali. Non vedo nessuna ragione per trattenerlo in ospedale.»
Ancora una volta Reuben studiò lo sconosciuto. Chi diavolo poteva essere? Tutto quel che sapevano era che aveva subito un intervento chirurgico piuttosto serio di ricostruzione mandibolare, e che parlava una lingua ignota. Era forse membro di qualche setta bizzarra? Era quella la ragione per cui aveva fatto irruzione nell'osservatorio? Poteva anche essere, ma…