«Allora?» chiese Reuben con impazienza. «Qual è il verdetto?»
Mary si appoggiò alla spalliera della sedia, sbigottita. «Il DNA di Ponter differisce in sette punti da quello del fossile» rispose. Alzò una mano e proseguì: «Ci possono essere alcune variazioni individuali, e naturalmente c'è da considerare qualche mutazione genetica nel corso del tempo, ma…»
«Ebbene?»
Mary alzò le spalle: «Sì, è un Neandertal.»
«Wow!» fece Reuben squadrando Ponter come se lo vedesse per la prima volta.
Il Neandertal parlò nella sua lingua, e la voce maschile dell'impianto tradusse: «La mia specie scomparsa?»
«Qui?» chiese Mary. «Sì, la tua specie è scomparsa da… almeno da ventisettemila anni.»
Ponter abbassò la testa, costernato per l'incredibile notizia.
Anche Mary rifletteva. Fino alla comparsa di Ponter, i parenti più prossimi all'Homo sapiens erano i due membri della specie Pan: lo scimpanzé e il bonobo, entrambi molto affini agli esseri umani, con cui avevano in comune il 98,5 per cento del DNA. Mary non aveva ancora terminato di analizzare il DNA di Ponter, che molto probabilmente aveva in comune con quello dell'Homo sapiens addirittura il 99,5 per cento.
E quello 0,5 spiegava tutte le differenze esistenti. Se quello che aveva davanti era un tipico rappresentante dei Neandertal, era molto probabile che quella specie avesse la scatola cranica più sviluppata di quella di un Homo sapiens normale. Inoltre, Ponter era fisicamente più prestante di qualunque uomo avesse mai conosciuto: aveva le braccia grosse quanto le cosce di un individuo medio. Gli occhi erano di uno strabiliante bruno dorato, e la genetista si chiese se nella loro specie esistessero altre variazioni di colore.
Aveva molti capelli, anche se il loro colore tenue lo rendeva meno evidente. Gli avambracci erano piuttosto pelosi, e così probabilmente la schiena e il torace. Portava la barba, e una folta chioma con una riga nel mezzo.
Ecco dove l'aveva già visto: i bonobo, quella specie di agili scimmie antropomorfe senza coda, denominate anche scimpanzé nani, avevano la stessa acconciatura. Affascinante. Chissà se tutti i componenti di quella specie portavano i capelli in quella foggia o se si trattava di una sua peculiare pettinatura.
Ponter parlò di nuovo nella sua lingua, a voce bassa, tra sé e sé. L'impianto tradusse le sue parole: «La mia specie sparita.»
Mary rispose più delicatamente che poté: «Sì, mi dispiace.»
Dalla bocca di Ponter vennero fuori altri frammenti di parole, che il suo Companion rese: «Io… nessun altro. Io… tutto…» Scosse la testa, continuando il triste monologo. Il Companion parlò con la voce femminile: «Non conosco le parole per tradurre quello che sta dicendo Ponter.»
Mary annuì piano, mestamente. «La parola che cerchi» disse con dolcezza «è 'solo'.»
Il dooslarm basadlarm di Adikor Huld si tenne nell'edificio del Consiglio dei Grigi, situato alla periferia del Centro. I maschi potevano recarvisi senza attraversare il territorio delle femmine, e queste potevano entrarvi senza tecnicamente lasciare la loro zona. Adikor non sapeva se il fatto che l'inchiesta preliminare a suo carico fosse tenuta durante il periodo degli Ultimi Cinque potesse nuocergli, ma il giudice, una donna il cui nome era Komel Sard, doveva essere della generazione 142, quindi da tempo in menopausa.
La sua accusatrice, Daklar Bolbay, stava sproloquiando nell'ampia sala quadrata. Alcuni ventilatori spostavano l'aria verso il giudice, che, seduto nella parte meridionale della sala, ascoltava impassibile l'arringa dell'accusa, il volto dall'espressione saggia solcato dalle rughe. Lo spostamento d'aria aveva una duplice funzione: spingeva verso il giudice i feromoni dell'accusato, spesso rivelatori quanto le parole pronunciate, e manteneva i suoi — che avrebbero potuto rivelare le sue sensazioni — lontani da accusato e accusatrice, entrambi posizionati nella parte settentrionale della sala.
Adikor aveva incontrato Klast parecchie volte, e tra loro non c'era mai stato nessun problema. Ma Bolbay, che era stata la compagna di Klast, non sembrava avere né la cordialità né il senso dell'umorismo di quest'ultima.
Quel giorno Bolbay indossava un pantalone e un top arancio scuro; l'arancione era il colore dell'accusatore. Adikor invece vestiva in blu, il colore dell'accusato. Centinaia di spettatori, equamente divisi tra maschi e femmine, sedevano ai due lati della sala; era evidente che valesse la pena assistere a un dooslarm basadlarm per omicidio. Erano presenti anche Jasmel Ket e la sorellina Megameg Bek; Lurt, la compagna di Adikor, che appena arrivata lo aveva abbracciato forte; e accanto a lei il figlio di Adikor, Dab, coetaneo di Megameg.
E naturalmente c'erano tutti gli Esibizionisti di Saldak, poiché quel dibattimento era l'evento più interessante in programma. Nonostante la situazione, Adikor era contento di vedere dal vivo Hawst, che in passato si era interessato spesso a lui. Tra la folla riconobbe anche Lulasm, il preferito di Ponter, Gawlt, Talok, Repeth e un altro paio di loro. Era facile individuare gli Esibizionisti: portavano abiti color argento per segnalare che le trasmissioni del loro impianto erano accessibili a tutta la comunità.
Adikor sedeva su una panca, e Bolbay vi girava intorno scagliando le sue accuse, cosa che faceva con plateale soddisfazione: «Allora, scienziato Huld, parlaci del vostro esperimento. Ha avuto successo? Siete riusciti a fattorizzare il numero che vi eravate prefissi?»
«No» rispose Adikor scuotendo la testa.
«Un tale esperimento sotto la superficie della terra non poteva riuscire. Di chi è stata l'idea di fare il tentativo di fattorizzazione a quelle profondità?» disse Bolbay con voce poco femminile, che risuonò con un cupo rimbombo.
«Eravamo d'accordo.»
«Sì, ma chi è stato il primo a suggerire l'idea? Sei stato tu o lo scienziato Boddit?»
«Non lo ricordo.»
«Sei stato tu, vero?»
Adikor si strinse nelle spalle. «Potrebbe essere.»
Adesso Bolbay gli si stagliava di fronte. Ne sentiva la presenza fastidiosa, ma evitò di guardarla. «Allora, scienziato Huld, spiegaci perché hai scelto proprio quel posto.»
«Non ho detto che l'ho scelto io. Ho detto solo che potrei essere stato io.»
«Bene. Allora spiegaci perché è stato deciso di tentare l'esperimento proprio in quel luogo.»
Adikor aggrottò la fronte, riflettendo sui dettagli appropriati per spiegare una cosa così complessa. «La terra» cominciò «è costantemente bombardata da raggi cosmici.»
«Che sarebbero?»
«Radiazioni ionizzanti provenienti dallo spazio. Un flusso di protoni, nuclei di elio e di altri elementi, che quando entrano in collisione con i nuclei presenti nella nostra atmosfera producono radiazioni secondarie, per lo più pioni, mioni, elettroni e raggi dutar.»
«Sono pericolosi?»
«No, per lo meno non nelle piccole quantità prodotte dai raggi cosmici. Ma interferiscono con le strumentazioni più delicate, e per questo abbiamo deciso di installare le nostre attrezzature in qualche luogo al riparo dai raggi cosmici. Be', la miniera di nickel a Debral era il posto più adatto nelle vicinanze.»
«Non potevate scegliere un altro sito?»
«Immagino di sì. Ma Debral è unica non solo per la sua profondità — è la miniera più profonda del mondo — ma anche per il basso tasso di radiazioni delle sue rocce. L'uranio e altri materiali radioattivi presenti in altre miniere emanano particelle dotate di carica elettrica che avrebbero pregiudicato la funzionalità delle nostre strumentazioni.»
«Quindi laggiù eravate ben schermati.»
«Sì, da tutte le particelle ma non dai neutrini, suppongo.» Adikor colse l'espressione del giudice Sard, e precisò: «Minuscole particelle che riescono ad attraversare la materia solida; per loro non c'è schermatura che tenga.»
«Ora, non eravate anche al riparo da altro, laggiù?» chiese Bolbay.