«In primo luogo, tornerai a Tarabon e continuerai i tuoi buoni lavori. In pratica, ti ordino di raddoppiare gli sforzi.»
Bors, perplesso, fissò Ba’alzamon; ma poi le lingue di fiamma avvamparono di nuovo dietro la maschera e lui trovò la scusa d’un inchino per distogliere lo sguardo. «Sarà come comandi, Sommo Signore.»
«In secondo luogo, con i tuoi seguaci terrai gli occhi aperti, nel caso ti accadesse di vedere i tre giovani. Stai attento: quei tre sono pericolosi.»
L’uomo che si faceva chiamare Bors lanciò un’occhiata alle tre figure librate davanti a Ba’alzamon. Com’era possibile che riuscisse a vederle, se vedeva soltanto la faccia di Ba’alzamon? Si sentì scoppiare la testa. Aveva le mani sudate, sotto i guanti leggeri, e la camicia appiccicata alla schiena. «Pericolosi, Sommo Signore? Ragazzi di campagna? Uno di loro è forse il...»
«Una spada è pericolosa per chi si trova dalla parte della punta, non per chi è dalla parte dell’elsa. A meno che chi regge la spada non sia uno sciocco, o un imprudente, o un incapace, nel qual caso è doppiamente pericoloso, tanto per se stesso quanto per gli altri. Basta che t’abbia detto di conoscerli. Basta che tu mi ubbidisca.»
«Sarà come comandi, Sommo Signore.»
«In terzo luogo, a nessuno farai parola di coloro che sono sbarcati a Capo Toman e dei domanesi. Quando tornerai a Tarabon...»
Bors ascoltò a bocca aperta le istruzioni. Non avevano senso. “Se conoscessi gli ordini dati a qualcun altro” si disse “forse riuscirei a cavare un significato anche dai miei."
All’improvviso si sentì afferrare la testa come da una mano gigantesca che gli schiacciasse le tempie, si sentì sollevare e vide il mondo suddividersi in migliaia di esplosioni, dove ciascun lampo di luce diveniva un’immagine che gli saettava nella mente o roteava e rimpiccioliva in lontananza senza dargli il tempo di scorgerla con chiarezza. Vide un cielo irreale di nuvole striate, rosse e gialle e nere, in corsa come sotto la spinta del vento più potente mai visto al mondo. Una donna — una ragazza? — vestita di bianco rimpicciolì nel buio e svanì con la repentinità con cui era comparsa. Un corvo lo fissò negli occhi, lo riconobbe e sparì. Un uomo in armatura, con un orrido elmo sagomato e dipinto a forma d’insetto mostruoso, alzò la spada e si gettò di lato, fuori vista. Un corno ricurvo, d’oro massiccio, giunse a gran velocità; mandò una nota penetrante, mentre s’avvicinava a lui come un lampo e gli strattonava l’anima; all’ultimo istante si mutò in un accecante anello di luce dorata che passò attraverso di lui e lo gelò più della morte. Un lupo balzò dall’ombra e gli lacerò la gola. Lui non poté urlare. Il torrente d’immagini continuò a travolgerlo, lo annegò, lo seppellì. Ricordava a stento chi era. Dai cieli piovve fuoco; caddero luna e stelle; fiumi si riempirono di sangue e i morti camminarono; la terra si spaccò e schizzò roccia fusa...
L’uomo che si faceva chiamare Bors si ritrovò accovacciato nella sala, con gli altri, quasi tutti intenti a fissarlo, tutti silenziosi. Da qualsiasi parte guardasse, la maschera rossa di Ba’alzamon gli confondeva gli occhi. Le immagini che gli avevano invaso la mente ormai sbiadivano; parecchie, ne era sicuro, erano già svanite dalla memoria. Con esitazione si raddrizzò, sempre sotto gli occhi di Ba’alzamon.
«Sommo Signore, cosa...»
«Alcuni ordini sono troppo importanti perché siano a conoscenza anche di colui che li esegue.»
Bors si piegò in un profondo inchino. «Come vuoi, Sommo Signore» mormorò con voce rauca.
Quando si raddrizzò, si ritrovò di nuovo nel silenzio. Un altro, il Gran Signore di Taren, annuì e s’inchinò a una presenza invisibile. Con mano incerta Bors si toccò la fronte e tentò di conservare qualcuna delle immagini che gli erano turbinate nella mente, pur non essendo sicuro di voler ricordare. Gli ultimi residui svanirono e a un tratto lui si trovò a domandarsi che cosa cercasse di ricordare. Si strofinò le mani, con una smorfia alla sensazione di sudore sotto i guanti, e rivolse l’attenzione alle tre figure sospese davanti a Ba’alzamon.
Il giovane ricciuto e muscoloso; il paesano con la spada; il ragazzo con l’aria maliziosa. Nella sua mente li aveva già soprannominati il Fabbro, lo Spadaccino e il Burlone. Quale posto avevano, nell’enigma? Di sicuro erano importanti, altrimenti Ba’alzamon non li avrebbe posti al centro della riunione. Ma, solo dai suoi ordini, potevano morire in qualsiasi momento; ed era indotto a pensare che alcuni dei presenti avessero ordini altrettanto micidiali al loro riguardo. Fino a che punto i tre erano importanti? Gli occhi celesti di uno di loro significavano forse l’appartenenza alla nobiltà dell’Andor (poco probabile, con quelle vesti), ma anche alcune persone delle Marche di Confine avevano occhi chiari, e certi tarenesi, per non parlare di alcuni ghealdanesi e ovviamente degli... No, quell’indizio non gli avrebbe rivelato niente. Ma gli occhi gialli? Chi erano, quei tre? Cos’erano?
Sobbalzò, perché gli avevano toccato il braccio; scoprì d’avere al fianco un servitore vestito di bianco, un ragazzo. Anche gli altri servitori erano ricomparsi, in numero superiore a prima, uno per ogni ospite. Bors batté le palpebre. Ba’alzamon era svanito. Anche il Myrddraal era scomparso: dove prima si apriva la porta, c’era solo pietra scabra. Le tre figure però erano sempre librate a mezz’aria. Bors ebbe l’impressione che fissassero proprio lui.
«Se non ti spiace, milord Bors, ti mostrerò la tua stanza.»
Evitando quegli occhi morti, Bors diede un’ultima occhiata alle tre figure e seguì il servitore, domandandosi come mai il ragazzo sapesse quale nome usare. Solo quando i battenti bizzarramente scolpiti si chiusero alle sue spalle e lui ebbe percorso una decina di passi, si rese conto d’essere da solo nel corridoio. Aggrottò sospettosamente le ciglia, ma il servitore anticipò la sua domanda.
«Anche gli altri sono stati accompagnati nella propria stanza, milord» spiegò. «Prego, milord. Il tempo è scarso e il nostro Padrone è impaziente.»
L’uomo che si faceva chiamare Bors digrignò i denti, sia per la mancanza d’informazioni, sia per l’implicazione d’uguaglianza fra lui stesso e il servitore, ma lo seguì in silenzio. Solo uno sciocco si arrabbia con i servitori; e poi, pensando allo sguardo vacuo del giovane, non era sicuro di ottenere risultati. Ma come faceva a sapere che cosa lui stava per domandargli? Il servitore sorrise.
Bors non si sentì per niente a suo agio, finché non fu di nuovo nella stanza in cui aveva atteso, appena arrivato. E non fu più tranquillo nemmeno nel vedere che le chiusure delle bisacce della sella non erano state manomesse.
Il servitore si fermò nel vano della porta, senza entrare. «Puoi rimetterti i tuoi vestiti, se lo desideri, milord» disse. «Nessuno assisterà alla tua partenza, né al tuo arrivo a destinazione; ma forse è meglio arrivare già vestiti in modo corretto. Fra poco verrà un incaricato a mostrarti la via.»
Mossa da mani invisibili, la porta si chiuse.
L’uomo che si faceva chiamare Bors rabbrividì senza volerlo. Si affrettò ad aprire le bisacce e a prendere il suo solito mantello. In fondo alla mente, una vocina gli domandò se il potere promesso, e perfino l’immortalità, valessero un’altra riunione come quella; ma lui si affrettò a tacitarla con una risata. Per tutto quel potere, avrebbe riverito il Sommo Signore delle Tenebre anche nella stessa Cupola della Verità. Ricordandosi degli ordini ricevuti da Ba’alzamon, toccò il sole d’oro e il pastorale rosso dietro il sole, ricamati sul petto del mantello bianco e simbolo della sua carica nel mondo degli uomini; quasi si mise a ridere. Aveva del lavoro, lavoro importante, a Tarabon e nella Piana di Almoth.
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La fiamma di Tar Valon
La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l’Epoca che lo vide nascere. In un’Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza — un’Epoca ancora a venire, un’Epoca da gran tempo trascorsa — il vento si alzò nelle Montagne di Dhoom. Il vento non era l’inizio. Non c’è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio.