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— Quali principii?

— Ti tieni nell’ombra. Non ti metti in vista. Non attiri l’attenzione. Diventi vigliacco. Non fai mai l’eroe. Non corri rischi. Lasci che siano gli altri a fare le cose pericolose. Non ti offri mai volontario. T’imboschi e scappi e ti nascondi. Acquisisci la pelle dura: te ne infischi di quel che gli altri pensano di te. Abbandoni tutti gli attributi nobili, la coscienza sociale. Dimentichi la devozione alla tribù o al popolo o al paese. Non sei un patriota. Vivi solo per te stesso. Sei un osservatore e non partecipi mai. Giri al largo. E diventi così egocentrico che finisci per convincerti che non ti si possa rimproverare nulla, che stai vivendo nell’unico modo logico in cui può vivere un uomo. Qualche giorno fa sei andato a Roncisvalle, ricordi?

— Sì, ti ho detto che c’ero andato. E tu hai risposto che ne avevi sentito parlare.

— Sentito parlare. Diavolo, ero lì, il giorno che successe… il 15 agosto 778. Osservatore, non partecipante. Un piccolo bastardo vigliacco accodato alla nobile banda di guasconi che fregò Carlomagno. Guasconi un corno. È un nome di fantasia. Erano baschi, puri e semplici. Le carogne più carogne che siano mai esistite sulla faccia della terra. Certi baschi sono nobili e valorosi, ma quelli non lo erano. Non erano tipi di guerrieri capaci di affrontare i franchi a viso aperto. Si nascosero in alto, sul passo, e fecero rotolare le pietre addosso a quei possenti cavalieri. Ma a loro non interessavano i cavalieri. Era il convoglio dei carri. Non si erano mossi per combattere una guerra o vendicare un torto. Volevano il bottino. Anche se non gli servì a molto.

— Perché?

— Andò così — disse Luis. — Sapevano che il resto dell’esercito franco sarebbe tornato, quando la retroguardia non fosse comparsa, e non avevano nessuna voglia di affrontarlo. Spogliarono i cavalieri morti degli speroni d’oro, delle armature e delle sopravvesti lussuose, presero i sacchi del denaro e li caricarono sui carri e se ne andarono. Qualche miglio più avanti, in mezzo alle montagne, si rintanarono in una gola profonda, dove pensavano che sarebbero stati al sicuro. Ma se li avessero scoperti, avevano una specie di fortezza. Mezzo miglio più in basso del punto dove si accamparono, la gola si restringeva e deviava bruscamente. In quel punto erano precipitati parecchi massi, e formavano una barricata che un pugno d’uomini poteva difendere contro qualunque assalto. Io, ormai, ero molto lontano. Avevo fiutato qualcosa che non andava. Sapevo che stava per succedere qualcosa di molto spiacevole. È un’altra caratteristica della sopravvivenza. Ti spunta un sesto senso. E così riesci a fiutare i guai prima che succedano, molto prima. Più tardi venni a sapere com’era andata.

Luis alzò la bottiglia e bevve un altro sorso, poi la passò a Boyd.

— Non tenermi sulle spine — disse Boyd. — Raccontami.

— Durante la notte scoppiò un temporale — disse Luis. — Uno di quei temporali estivi, improvvisi e violenti. Fu un nubifragio. I miei valorosi guasconi morirono tutti. È il prezzo del coraggio.

Boyd bevve un sorso, abbassò la bottiglia e la tenne stretta al petto.

— Questo lo sai tu — disse. — Tu e nessun altro. Forse nessuno si è mai chiesto che fine fecero i guasconi che avevano causato quel guaio a Carlomagno. Devi sapere tante altre cose. Cristo, tu hai visto la storia. Non sei sempre rimasto in questa zona.

— No. Certe volte me ne andavo in giro. Lo spirito vagabondo. C’erano tante cose da vedere. E dovevo continuare a spostarmi. Non potevo fermarmi troppo a lungo in un dato posto, altrimenti qualcuno avrebbe notato che non invecchiavo.

— Sei vissuto durante la Morte Nera — disse Boyd. — Hai visto le legioni romane. Hai sentito parlare di quello che stava facendo Attila. Ti sei accodato ai crociati. Hai girato per le vie dell’antica Atene.

— No, Atene no — disse Luis. — Atene non è mai stata di mio gusto. Ma passai qualche tempo a Sparta. Sparta, te l’assicuro, era davvero qualcosa.

— Sei istruito — disse Boyd. — Dove hai studiato?

— A Parigi, per qualche tempo, nel secolo decimoquarto. Più tardi a Oxford. E poi in altri posti. Sotto nomi diversi. Non cercare di seguire le mie tracce attraverso le scuole che ho frequentato.

— Potresti scrivere un libro — disse Boyd. — Stabilirebbe nuovi primati di vendita. Diventeresti milionario. Basterebbe un libro per farti diventare milionario.

— Non posso permettermi d’essere milionario. Non posso mettermi in mostra, e i milionari sono in mostra. Non sono in miseria. Non sono mai stato in miseria. C’è sempre qualche tesoro che uno come me riesce a scovare. Ho i miei nascondigli qua e là. Tiro avanti benissimo.

Luis aveva ragione, si disse Boyd. Non poteva diventare milionario. Non poteva scrivere un libro. Non poteva diventare famoso, mettersi in vista. Doveva restare sempre nascosto, sempre anonimo.

I principii della sopravvivenza, aveva detto. E questa era una parte, anche se non era tutto. Aveva accennato all’arte di fiutare i guai, l’intuizione. E dovevano esserci anche la furberia, l’astuzia pratica, il cinismo acquisito con il tempo, la capacità di giudicare i caratteri, la conoscenza delle reazioni umane, e qualche nozione circa l’uso del potere, ogni genere di potere, economico, politico, religioso.

Era ancora umano, si chiese, oppure in ventimila anni era diventato qualcosa di sovrumano? Era avanzato di quel passo decisivo che l’avrebbe posto oltre l’umanità, facendolo diventare quel tipo di essere che sarebbe venuto dopo l’uomo?

— Ancora una cosa — disse Boyd. — Perché quei dipinti alla Disney?

— Li dipinsi diverso tempo dopo gli altri — rispose Luis. — Avevo dipinto qualcosa, nella caverna principale. L’orso che pesca è mio. Sapevo della piccola grotta. La scoprii e non dissi niente a nessuno. Non c’era motivo per tenerla segreta. Era soltanto una di quelle piccole cose che uno tiene per sé per sentirsi importante. Io so qualcosa che tu non sai… una sciocchezza così. Più tardi tornai per dipingere la piccola grotta. L’arte dei cavernicoli era così maledettamente seria. Una magia terribilmente stupida. Così mi dissi che la pittura doveva essere divertente. E tornai indietro, dopo che la tribù si era trasferita, e dipinsi semplicemente per divertirmi. Come t’è sembrato, Boyd?

— Straordinario — disse Boyd.

— Avevo paura che non trovassi la piccola grotta, e non potevo aiutarti. Sapevo che avevi notato le incrinature nella parete: un giorno ti ho visto mentre le osservavi. Contavo sul fatto che le avresti ricordate. E che avresti visto le impronte digitali e avresti trovato il flauto. Tutte coincidenze, naturalmente. Non avevo in mente nulla di particolare quando lasciai il colore con le impronte e il flauto. Il flauto, certo, era l’indizio decisivo, e speravo che ti saresti almeno incuriosito. Ma non potevo essere sicuro. Quando abbiamo cenato quella sera, qui accanto al fuoco, tu non hai parlato della piccola grotta, e io ho avuto paura che non l’avessi scoperta. Ma poi, quando ti sei portato via la bottiglia vuota, ho capito che ce l’avevo fatta. E adesso la domanda più importante. Farai sapere al mondo dei dipinti nella grotta piccola?

— Non lo so. Dovrò pensarci bene. Tu cosa ne dici?

— Preferirei che non lo raccontassi.

— D’accordo — disse Boyd. — Almeno per il momento. C’è qualcosa d’altro che posso fare per te? C’è qualcosa che vorresti?

— Hai già fatto il meglio — disse Luis. — Sai chi sono, che cosa sono. Non so perché per me sia tanto importante, ma lo è. Una questione d’identità, suppongo. Quando morirai, e ti auguro che sia fra molto tempo, allora non ci sarà più nessuno a sapere. Ma la conoscenza che un uomo sapeva, e soprattutto capiva, mi sosterrà per secoli. Un momento… ho qualcosa da darti.