L’anticamera della sua stanza da letto era decorata secondo la sgargiante moda di Ebou Dar, un soffitto azzurro con nubi dipinte, pareti dorate e piastrelle verdi e gialle. Perfino rimpiazzare il mobilio con i suoi alti paraventi, tutti tranne due dipinti dagli artisti più raffinati con uccelli o fiori, era servito a poco per attenuare quella vistosità. Mugugnò piano alla vista della porta esterna, apparentemente lasciata aperta da Liandrin nella sua fuga, ma lei scacciò dalla mente la da’covale per quel momento e si concentrò sull’uomo che se ne stava lì a esaminare il paravento sul quale era rappresentato un kori, un grosso gatto a macchie dal Sen T’jore. Snello e brizzolato, in un’armatura a strisce blu e gialle, si voltò in modo armonioso al lieve rumore dei suoi passi e si mise in ginocchio, anche se era un comune cittadino. L’elmo sotto il suo braccio recava tre esili piume azzurre, perciò il messaggio doveva essere importante. Era ovvio che doveva essere importante, per disturbarla a quell’ora. Gli avrebbe concesso una dispensa. Per quella volta.
«Generale di stendardo Mikhel Najirah, Somma Signora. Il capitano generale Galgan ti porge i suoi omaggi, e ha ricevuto comunicazioni da Tarabon.»
Suroth sollevò le ciglia senza volere. Tarabon?, si disse. Tarabon era sicura quanto Seandar. Le sue dita si contrassero in modo istintivo, ma lei non aveva ancora trovato un rimpiazzo per Alwhin. Doveva parlare con quell’uomo di persona. L’irritazione per questo fatto le indurì la voce e lei non fece alcuno sforzo per ammorbidirla. Si era inginocchiato invece di prostrarsi! «Che comunicazioni? Se sono stata svegliata per notizie degli Aiel, non sarò compiaciuta, generale di stendardo.»
Il suo tono non riuscì a intimidire l’uomo. Lui arrivò perfino a sollevare gli occhi fin quasi a incontrare i suoi. «Non Aiel, Somma Signora» disse con calma. «Il capitano generale Galgan desidera dirtelo di persona, in modo che tu possa udire ogni dettaglio in modo corretto.»
A Suroth si mozzò il fiato per un istante. Che Najirah fosse solo riluttante a riferirle i contenuti delle comunicazioni o che gli fosse stato ordinato di non farlo, questo non lasciava presagire nulla di buono. «Fai strada» gli ordinò, poi uscì dalla stanza senza aspettarlo, ignorando come meglio poteva la coppia di Sorveglianti della Morte immobili come statue nel corridoio da entrambi i lati della porta. L’onore di essere sorvegliata da quegli uomini in armatura rossa e verde le faceva accapponare la pelle. Fin dalla scomparsa di Tuon, lei cercava di non vederli affatto.
Il corridoio, fiancheggiato da lampade su sostegni dorati le cui fiamme tremolavano per refoli passeggeri che agitavano arazzi di navi, era vuoto tranne per pochi servitori di palazzo in livrea che si affrettavano per compili mattutini, i quali ritenevano sufficienti profondi inchini e riverenze. E la guardavano sempre in modo diretto! Forse doveva scambiare qualche parola con Beslan? No, si disse. Il nuovo re dell’Altara era suo pari adesso, per la legge quantomeno, e Suroth dubitava che lui avrebbe fatto in modo che i suoi servitori si comportassero in modo appropriato. Tenne lo sguardo fisso davanti a sé mentre camminava. In quel modo non era costretta a vedere gli insulti dei servitori.
Najirah la raggiunse rapidamente, con gli stivali che risuonavano sulle piastrelle di un azzurro troppo vivido, e procedette al suo fianco. In realtà a lei non serviva alcuna guida. Sapeva dove Galgan doveva trovarsi.
La stanza era stata adibita inizialmente al ballo, un quadrato di trenta passi di lato, col soffitto dipinto con pesci e uccelli fantastici che saltellavano in maniera spesso confusa tra nuvole e onde. Restava solo il soffitto a ricordare la funzione iniziale di quella stanza. Adesso lampade da specchi su sostegni e scaffali pieni di rapporti custoditi in cartelle di cuoio fiancheggiavano le pareti rosso chiaro. Funzionari in giacca marrone si affrettavano negli spazi tra i lunghi tavoli ricoperti di mappe che ricoprivano la pista da ballo a piastrelle verdi. Una giovane ufficiale, un sottotenente senza nessuna piuma sul suo elmo rosso e giallo, superò di corsa Suroth senza nemmeno accennare a prostrarsi. I funzionari si limitavano a togliersi dalla sua strada. Galgan dava troppa corda ai suoi. Affermava che quelle che lui definiva eccessive cerimonie ‘nel momento sbagliato’ ostacolavano l’efficienza; lei la chiamava sfacciataggine.
Lunal Galgan, un uomo alto con una veste rossa riccamente ornata con uccelli dal piumaggio sgargiante, i capelli della sua cresta di un bianco candido e poi intrecciati in uno stretto ma disordinato codino che gli pendeva sulla spalla, se ne stava a un tavolo vicino al centro della stanza, con un gruppetto di altri ufficiali di alto rango, alcuni dei quali indossavano le corazze, altri le vestaglie ed erano scompigliati quasi quanto lei. Pareva che Suroth non fosse la prima a cui lui aveva mandato un messaggero. Si sforzò di tenere lontana la rabbia dal suo volto. Galgan era arrivato con Tuon e con il Ritorno, e così Suroth sapeva poco di lui tranne che possedeva un’ottima reputazione come soldato e generale e che i suoi antenati erano stati fra i primi a garantire il loro sostegno a Luthair Paendrag. Be’, la reputazione e la verità a volte combaciavano. Lei lo disprezzava del tutto per quello che era.
Galgan si voltò quando lei si avvicinò e le appoggiò formalmente le mani sulle spalle, baciandola su entrambe le guance, cosicché lei fu costretta a restituire quel saluto cercando al contempo di non arricciare il naso per il forte odore muschiato. Il volto di Galgan era liscio quanto le sue rughe gli consentivano, ma a lei parve di notare un accenno di preoccupazione nei suoi occhi azzurri. Parecchi uomini e donne dietro di lui, perlopiù basso Sangue e comuni cittadini, mostravano un evidente cipiglio.
La vasta mappa di Tarabon stesa sul tavolo di fronte a lei e tenuta agli angoli da quattro lampade era un sufficiente motivo di preoccupazione. Era coperta di indicatori, punte rosse per forze seanchan in movimento e stelle rosse per forze stanziate in un posto, ciascuna che sorreggeva una bandierina di carta su cui erano segnati i loro numeri e la composizione. Sparpagliati per la mappa, per l’intera mappa, c’erano dischi neri che contrassegnavano gli scontri, e ancora più dischi bianchi per le forze nemiche, molti dei quali senza bandierine. Come potevano esserci dei nemici a Tarabon? Era sicura quanto...
«Cos’è successo?» domandò lei.
«Sono cominciati ad arrivare dei raken con rapporti dal tenente generale Turan circa tre ore fa» esordì Galgan in tono colloquiale. Appositamente per non presentare un rapporto di persona. Esaminava la mappa mentre parlava, non guardando mai nella sua direzione. «Non sono completi — ogni nuovo rapporto va a contribuire alla lista, e mi aspetto che questo non cambierà per un po’ —, ma quello che ho visto procede in questo modo. Dall’alba di ieri, sette campi di rifornimento principali sono stati sopraffatti e bruciati, assieme a più di due dozzine di accampamenti più piccoli. Venti convogli di provviste sono stati attaccati, i loro carri e i loro contenuti incendiati. Diciassette piccoli avamposti sono stati spazzati via, undici pattuglie non si sono presentate a rapporto e ci sono state altre quindici schermaglie. Anche alcuni attacchi contro i nostri coloni. Solo una manciata di vittime, perlopiù uomini che cercavano di difendere i loro averi, ma un bel po’ di carri e magazzini sono stati incendiati assieme ad alcune case in via di costruzione, e lo stesso messaggio è stato recapitato dappertutto. Via da Tarabon. Tutto ciò è stato compiuto da bande di duecento a forse cinquecento uomini. Le stime parlano di un minimo di diecimila, forse il doppio, quasi tutti Tarabonesi. Ah, sì» terminò in tono disinvolto «e molti di loro indossano armature dipinte a strisce.»