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«Certo che no, Suprema Padrona» disse Suroth, sollevandosi per sedere sui talloni. «Mai, Suprema Padrona.» Alzò lo sguardo fino alla bocca dell’altra donna, ma non riuscì a costringersi a salire di più. Di certo doveva bastare.

«Meglio» mormorò Semirhage. «Ora. Ti piacerebbe governare su queste terre? Una manciata di morti — Caigan e pochi altri — e potresti riuscire a nominare te stessa imperatrice, col mio aiuto. Non ha molta importanza, ma le circostanze forniscono una tale opportunità, e tu saresti di sicuro più disponibile di quanto lo è stata finora l’imperatrice attuale.»

Lo stomaco di Suroth si contrasse. Temeva di vomitare. «Suprema Padrona,» disse in tono smorto «il castigo per questo consiste nell’essere portati di fronte alla vera imperatrice, che possa vivere per sempre, ed essere privati di tutta la pelle, mantenuti in vita per l’intero processo con estrema cura. Dopodiché...»

«Originale, per quanto primitivo» la interruppe Semirhage con voce beffarda. «Ma senza alcuna importanza. L’imperatrice Radhanan è morta. Notevole quanto sangue ci sia in un corpo umano. Abbastanza da coprire l’intero Trono di Cristallo. Accetta l’offerta, Suroth. Non te la proporrò di nuovo. Renderai certe faccende un po’ più comode, ma non abbastanza perché io mi esponga una seconda volta.»

Suroth dovette costringersi a respirare. «Allora Tuon è l’imperatrice, che possa vivere...» Tuon avrebbe assunto un nuovo nome, da pronunciare di rado al di fuori della famiglia imperiale. L’imperatrice era l’imperatrice, che potesse vivere per sempre. Avvolgendo le braccia attorno a sé, Suroth iniziò a singhiozzare, scossa oltre ogni sua capacità di fermarsi. Almandaragal sollevò la testa e uggiolò verso di lei in tono interrogativo.

Semirhage rise, come una musica di cupi rintocchi. «Sei afflitta per Radhanan, Suroth, oppure è il tuo disprezzo per il fatto che Tuon sia diventata imperatrice a essere così profondo?»

Con esitazione, a sprazzi di tre o quattro parole rotte da un pianto incontrollabile, Suroth spiegò. Come erede designata, Tuon era diventata imperatrice nel momento stesso in cui sua madre era morta. Sennonché, se sua madre era stata assassinata, doveva essere opera di una delle sue sorelle, il che voleva dire che Tuon stessa era sicuramente morta. E nulla di tutto ciò faceva la minima differenza. I protocolli dovevano essere rispettati. Lei sarebbe dovuta tornare a Seandar e scusarsi per la morte di Tuon, per la morte dell’imperatrice a quel punto, con la stessa donna che l’aveva disposta. La quale, naturalmente, non sarebbe salita al trono finché la morte di Tuon non fosse stata annunciata. Suroth non riusciva a indurre sé stessa ad ammettere che si sarebbe uccisa prima; era troppo umiliante da pronunciare. Le parole morirono mentre singhiozzi gementi la squassavano. Non voleva morire. Le era stato promesso che sarebbe vissuta per sempre!

La risata di Semirhage fu così sconcertante da far cessare le lacrime di Suroth. La sua testa di fuoco venne gettata all’indietro, emettendo grandi scrosci di ilarità. Alla fine riacquistò il controllo, asciugandosi fiammelle di lacrime con dita infuocate. «Vedo che non mi sono spiegata. Radhanan è morta, così come le sue figlie, i suoi figli e metà della corte imperiale. Non esiste nessuna famiglia imperiale tranne Tuon. Non esiste nessun impero. Seandar è nelle mani di rivoltosi e saccheggiatori, così come una dozzina di altre città. Almeno cinquanta nobili si stanno contendendo il trono, con eserciti sul campo. La guerra imperversa dai monti Aldael a Salaking. Ragion per cui sarai perfettamente al sicuro sbarazzandoti di Tuon e proclamando te stessa imperatrice. Ho perfino fatto in modo che presto giunga una nave per recare notizia del disastro.» Rise di nuovo e pronunciò qualcosa di strano. «Che il Signore del Caos governi.»

Suroth senza volere fissò l’altra donna a bocca aperta. L’impero... distrutto? Semirhage aveva ucciso? L’assassinio non era insolito fra il Sangue, Alto o basso, né all’interno della famiglia imperiale, eppure che qualcun altro colpisse al cuore la famiglia imperiale in quel modo era ripugnante, inconcepibile. Perfino uno dei Da’coneion, dei Prescelti. Ma diventare lei stessa imperatrice, proprio lì... Provò una sensazione di vertigini e un impulso isterico di ridere. Poteva chiudere il cerchio, conquistando quelle terre e poi rimandando gli eserciti a rimpossessarsi di Seanchan. Con uno sforzo riuscì a riprendere il controllo di sé stessa.

«Suprema Padrona, se Tuon è davvero viva, allora... allora ucciderla sarà difficile.» Dovette sforzarsi per pronunciare quelle parole. Uccidere l’imperatrice... anche solo pensarlo era difficile. Diventare imperatrice. Si sentiva come se la testa potesse fluttuarle via dal resto del corpo. Avrà con sé le sue sul’dam e damane, e alcuni dei suoi Sorveglianti della Morte.» Difficile? Ucciderla sarebbe stato impossibile in quelle circostanze. A meno che Semirhage non potesse essere indotta a farlo di persona. Sei damane potevano essere pericolose perfino per lei. Inoltre fra i comuni cittadini c’era un detto: ‘I potenti ordinano agli inferiori di scavare nel fango e tengono le proprie mani pulite.’ Lo aveva sentito per caso e aveva fatto punire l’uomo che l’aveva pronunciato, ma era vero.

«Rifletti, Suroth!» I gong risuonarono forti, imperiosi. «Il capitano Musenge e gli altri sarebbero partiti la notte stessa in cui Tuon e la cameriera se ne sono andate, se avessero avuto un qualche sentore delle sue intenzioni. La stanno cercando. Devi concentrare tutti i tuoi sforzi per trovarla per prima, ma anche se questo fallisse, i Sorveglianti della Morte saranno una protezione inferiore di quello che sembrano. Ogni soldato nel tuo esercito ha udito che almeno alcuni dei Sorveglianti sono coinvolti con un’imbrogliona. Pare che l’opinione comune sia che l’imbrogliona e chiunque sia collegato a lei dovrebbe essere squartato e i pezzi sepolti sotto un cumulo di letame. In silenzio.» Labbra di fuoco si arricciarono in un sorrisetto beffardo. «Per evitare all’impero la vergogna.»

Poteva essere fattibile. Un contingente di Sorveglianti della Morte sarebbe stato facile da localizzare. A Suroth sarebbe servito scoprire con esattezza quanti Musenge aveva portato con sé, e mandare Elbar con cinquanta per ciascuno di loro. No, cento, per tenere conto delle damane. E poi...

«Suprema Padrona, comprendi che sono riluttante a proclamare qualunque cosa finché non sarò certa della morte di Tuon?»

«Ma certo» disse Semirhage. I gong erano divertiti ancora una volta. «Ma ricorda: se Tuon riesce a tornare sana e salva, per me avrà poca importanza, perciò non indugiare.»

«Non lo farò, Suprema Padrona. Intendo diventare imperatrice, e per farlo devo uccidere l’imperatrice.» Questa volta dirlo non fu affatto difficile.

Secondo la valutazione di Pevara, le stanze di Tsutama Rath erano arredate oltre il livello di stravaganza, e quest’opinione non era influenzata dalle sue origini di figlia di macellaio. Il salotto la metteva semplicemente a disagio. Sotto una cornice dorala e intagliala con rondini in volo, alle pareti pendevano due grandi arazzi di seta, uno che raffigurava rose sanguigne di un rosso intenso, l’altro un cespuglio di kaf ma ricoperto di boccioli scarlatti più grandi delle sue due mani messe assieme. I tavoli e le sedie erano pezzi delicati, se si riusciva a ignorare doratura e intagli che sarebbero bastati per qualunque trono. Anche le lampade erano pesantemente dorate, così come la mensola del caminetto di marmo striato di rosso, decorata con cavalli al galoppo. Su diversi tavoli campeggiavano porcellane rosse del Popolo del Mare, fra le più rare, quattro vasi e sei coppe, una piccola fortuna di per sé, assieme a un gran numero di intagli in giada o avorio, nessuno dei quali piccolo, e una figura di donna danzante, alta una mano, che pareva intagliata da un rubino. Un’ostentazione gratuita di lusso, e lei sapeva per certo che oltre al dorato orologio a cilindri sulla mensola, ce n’era un altro nella stanza da letto di Tsutama e perfino uno nel suo spogliatoio. Tre orologi! Questo andava oltre la stravaganza, anche senza considerare la doratura e i rubini.