Non fu così che mise la faccenda, naturalmente. «È stata lei a dare inizio alla caccia, Yukiri; merita di concluderla. Per la Luce, tutto quello che abbiamo scoperto finora è stato per puro caso, e adesso siamo a un punto morto. Ci serve l’autorità dell’Amyrlin Seat a spalleggiarci se vogliamo poter andare avanti.»
«Non lo so» disse l’altra donna, titubante. «Tutt’e quattro loro dicono che la Nera conosce ogni cosa che avviene nello studio di Elaida.» Si morse il labbro e fece spallucce. «Forse se possiamo incontrarla da sola, lontano dal suo studio...»
«Eccovi qua. Vi ho cercato dappertutto...»
Pevara si voltò con calma alla voce improvvisa dietro di loro, ma Yukiri ebbe un sussulto e borbottò qualcosa di caustico quasi sottovoce. Se continuava così, sarebbe diventata sboccata quanto Doesine. O Tsutama.
Seaine si affrettò verso di loro con la frangia del suo scialle che dondolava e le sue folte sopracciglia nere si sollevarono dalla sorpresa per l’occhiataccia di Yukiri. Tipico di una Bianca, logica in tutto e per tutto e spesso cieca nei confronti del mondo attorno a sé. La metà del tempo, Seaine pareva del tutto ignara che fossero in pericolo.
«Tu ci stavi cercando?» quasi ringhiò Yukiri, piantando i pugni sui propri fianchi. Malgrado la sua taglia minuta, dava una buona impressione di imponenza e ferocia. Senza dubbio parte di ciò era dovuto all’essere stata colta di sorpresa, ma credeva ancora che Seaine dovesse essere sorvegliata attentamente per la sua stessa protezione, qualunque cosa avesse deciso Saerin, e invece eccola lì, ad andare in giro tutta sola.
«Voi Saerin, chiunque» rispose Seaine con calma. Le sue precedenti paure che l’Ajah Nera potesse essere al corrente del compito che Elaida le aveva assegnato erano quasi svanite. I suoi occhi azzurri avevano in sé del calore, tuttavia in tutti gli altri aspetti era tornata a essere una tipica Bianca, una donna dalla serenità glaciale. «Ho notizie urgenti» disse come se fosse proprio il contrario. «La meno urgente è questa: stamattina ho visto una lettera da Ayako Norsoni arrivata diversi giorni fa. Da Cairhien. Lei, Toveine e tutte le altre sono state catturate dagli Asha’man e...» Inclinando la testa da un lato, le squadrò una alla volta. «Non siete minimamente sorprese. Ma certo. Anche voi avete visto delle lettere. Be’, ora non si può fare nulla al riguardo, comunque.» Pevara si scambiò delle occhiate con Yukiri, poi disse: «Questa è la meno urgente, Seaine?»
La compostezza dell’Adunante Bianca lasciò il posto alla preoccupazione, indurendole la bocca e facendo comparire delle rughe agli angoli degli occhi. Le sue mani si serrarono in pugni stretti sullo scialle. «Per noi lo è. Torno appena adesso da un incontro con Elaida. Mi ha convocato per sapere come stavo procedendo.» Seaine trasse un profondo respiro. «Nello scoprire prove che Alviarin stava intrattenendo un’infida corrispondenza col Drago Rinato. Sul serio, all’inizio è stata così circospetta, così indiretta, che non c’è da stupirsi che io abbia mal interpretato quello che voleva.»
«Penso che la volpe stia camminando sulla mia tomba» mormorò Yukiri.
Pevara annuì. L’idea di avvicinare Elaida era scomparsa come rugiada estiva. La loro unica assicurazione che Elaida stessa non fosse dell’Ajah Nera proveniva dal fatto che era stata lei a istigarle alla caccia, ma dal momento che non aveva fatto nulla del genere... Almeno l’Ajah Nera non sapeva di loro. Almeno avevano ancora quello. Ma per quanto tempo ancora?
«Anche sulla mia» disse piano.
Alviarin procedeva lungo i corridoi della Torre inferiore con una manifesta aria di serenità a cui si aggrappava con forza. La notte pareva avvinghiarsi alle pareti nonostante le lampade a specchio, con tracce di ombre che danzavano dove non avrebbe dovuto essercene nessuna. Immaginazione, di certo, eppure danzavano ai bordi della sua visuale. I corridoi erano quasi del tutto vuoti, anche se il secondo turno della cena era appena terminato. Parecchie Sorelle preferivano farsi portare il cibo nelle loro stanze, in quei giorni, ma le più coraggiose e audaci si avventuravano fino alle sale da pranzo di tanto in tanto, e poche consumavano ancora molti dei loro pasti laggiù. Non avrebbe rischiato che le Dorelle la vedessero con aria sconvolta o frettolosa; si rifiutava di lasciar credere loro che si aggirava lì attorno in modo furtivo. In realtà, non le piaceva affatto che chiunque la guardasse. In apparenza calma, ribolliva all’interno.
Tutta un tratto si rese conto che stava tastando il punto sulla sua fronte dove Shaidar Haran l’aveva toccata. Dove il Signore Supremo in persona l’aveva marchiata come sua. A quel pensiero l’isteria gorgogliò quasi fino in superficie, ma mantenne un’espressione serena per pura forza di volontà e radunò lentamente le sue bianche gonne di seta. Quello le avrebbe tenuto le mani occupate. Il Signore Supremo l’aveva marchiata. Meglio non pensarci. Ma come evitarlo? Il Signore Supremo... All’esterno mostrava una compostezza totale, ma dentro di sé era un groviglio turbinante di mortificazione e odio, e molto vicina a un terrore farneticante. La calma esteriore era quello che contava, però. E c’era un germoglio di speranza. Anche quello contava. Una strana cosa considerare come una speranza, eppure si sarebbe aggrappata a qualunque cosa avesse potuto mantenerla in vita.
Fermandosi di fronte a un arazzo che mostrava una donna con in testa una corona che si inchinava davanti a qualche Amyrlin di molto tempo prima, fece finta di esaminarlo, lanciando nel contempo rapide occhiate a destra e a sinistra. A parte lei, il corridoio rimaneva privo di vitti, simile a una tomba abbandonata. La sua mano scattò dietro il bordo dell’arazzo e in un attimo si ritrovò di nuovo a camminare, tenendo stretto un messaggio ripiegato. Un miracolo che l’avesse raggiunta così in fretta. La carta sembrava bruciarle il palmo ma non poteva leggerlo lì. Con passo misurato, salì con riluttanza fino agli alloggi dell’Ajah Bianca. Calma e imperturbata da qualunque cosa, all’esterno. Il Signore Supremo l’aveva marchiata. Altre Sorelle l’avrebbero vista.
La Bianca era la più piccola delle Ajah, e poco più di venti delle sue Sorelle si trovavano nella Torre al momento, eppure pareva che tutte quante loro fossero nel corridoio principale. Il tragitto lungo le nude piastrelle bianche parve un passaggio lungo le alabarde.
Seaine e Ferane erano dirette fuori nonostante l’ora, con gli scialli drappeggiati lungo le braccia, e Seaine le rivolse un sorrisetto di commiserazione, cosa che le fece desiderare di uccidere l’Adunante, che ficcava sempre quel suo naso adunco dove non doveva. Ferane non mostrò alcuna compassione. La guardò torvo con furia più evidente di quanto qualunque Sorella avrebbe permesso a sé stessa di mostrare. Tutto quello che Alviarin poteva fare era ignorare quella donna dalla pelle ramata senza darlo a vedere. Bassa e tozza, con il suo volto tondo solitamente mite e una macchia d’inchiostro sul suo naso, Ferane non era affatto l’immagine di una Domanese, ma di una Domanese la Prima Ragionatrice possedeva il temperamento focoso. Era piuttosto capace di infliggere una punizione per ogni minimo errore, in particolare per una Sorella che aveva ‘disonorato’ sia sé stessa che la Bianca.
L’Ajah sentiva in modo pungente la vergogna per il fatto che lei fosse stata privata della stola della Custode degli Annali. Parecchie provavano rabbia anche per la perdita di influenza. C’erano fin troppe occhiatacce, alcune da parte di Sorelle che erano tanto inferiori a lei da dover obbedire all’istante, se lei avesse dato un ordine. Altre le voltavano di proposito la schiena.
Si fece strada attraverso quei cipigli e gesti di disprezzo a passo costante, senza affrettarsi, eppure sentì le sue guance iniziare ad accalorarsi. Cercò di immergersi nella natura tranquillizzante degli alloggi della Bianca. Alle disadorne pareti bianche, fiancheggiate da alti specchi argentati, pendevano solo alcuni semplici arazzi, con rappresentazioni di montagne coi picchi innevati, foreste ombrose, macchie di bambù col sole che li attraversava di taglio. Fin da quando aveva conseguito lo scialle, aveva usato quelle immagini per aiutarsi a trovare la serenità in momenti di tensione. Il Signore Supremo l’aveva marchiata. Serrò i pugni sulle gonne per tenere le mani ai suoi fianchi. Il messaggio pareva bruciare nella sua mano. Un passo costante, misurato.