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Con l’umore del tutto amareggiato, si schermò gli occhi per controllare a che altezza fosse il sole. Therava si era limitata a dire che avrebbe gradito che tornasse prima del buio, e rimanevano due ore buone di luce, ma sospirò dal rimpianto e fece voltare immediatamente Rapida giù per il pendio, attraverso gli alberi diretta al campo. La Sapiente godeva nel trovare modi per costringere all’obbedienza senza comandi diretti. Mille modi per farla strisciare. Per sicurezza, anche la minima raccomandazione della donna doveva essere presa come un ordine. Arrivare in ritardo di pochi minuti causava punizioni che facevano rannicchiare Galina dalla paura al solo ricordo. Rannicchiare e spronare la giumenta ad andare a un passo più veloce attraverso gli alberi. Therava non accettava scuse.

All’improvviso un Aiel sbucò di fronte a lei da dietro un albero spesso, un uomo molto alto con indosso un cadin’sor e le lance conficcale nell’imbracatura che reggeva la custodia del suo arco sulla schiena e il velo che gli pendeva sul petto. Senza parlare, afferrò le sue briglie.

Per un istante lei lo fissò a bocca aperta, poi si mise dritta con aria indignata. «Sciocco!» sbottò.

«Ormai devi riconoscermi. Lascia andare il mio cavallo oppure Therava e Sevanna faranno i turni per toglierti la pelle!»

Questi Aiel di solito lasciavano trasparire poco dalle loro facce, eppure a lei parve che i suoi occhi verdi si fossero sgranati un poco. E poi urlò quando lui afferrò il davanti della veste e la strattonò giù di sella.

«Fa’ silenzio, gai’shain» disse, ma come se non gli importasse nulla se lei avrebbe obbedito o no.

Un tempo avrebbe dovuto, ma una volta che si erano accorti che lei obbediva agli ordini di chiunque, c’erano stati fin troppi che avevano goduto nel mandarla in giro a svolgere compiti sciocchi che la tenevano occupata quando Therava e Sevanna la volevano. Ora doveva obbedire solo a certe Sapienti e a Sevanna, perciò scalciò, si dibatté e urlò nella vana speranza di attirare qualcuno che sapesse che lei apparteneva a Therava. Se solo le fosse stato permesso di portare un coltello. Perfino quello sarebbe stato un aiuto. Come poteva non riconoscerla quell’uomo o perlomeno sapere cosa significavano la sua cintura e il collare ingioiellati? L’accampamento era immenso, pieno di persone quanto molte grandi città, eppure sembrava che tutti sapessero riconoscere l’abitante delle terre bagnate che era l’animaletto di Therava. Quella donna avrebbe sicuramente fatto scuoiare quel tipo, e Galina intendeva godersi ogni minuto ad assistere.

Fin troppo presto apparve evidente che un coltello non sarebbe stato di alcuna utilità. Malgrado si dibattesse, il bruto non fece fatica a imporsi, tirandole il cappuccio sopra la testa impedendole di vedere e poi ficcandone più che poteva nella sua bocca prima di legarlo lì. Poi la mise a testa in giù e le legò stretti polsi e caviglie. Con la stessa facilità che avrebbe avuto con una bambina! Lei si dimenava, ma era fatica sprecata.

«Voleva dei gai’shain che non fossero Aiel, Gaul... ma una gai’shain con seta e gioielli, e fuori a cavalcare?» disse un uomo, e Galina si irrigidì. Non era un Aiel. Quello era un accento del Murandy! «E questa non è certo una delle vostre usanze, vero?»

«Shaido.» La parola venne proferita come un’imprecazione.

«Be’, abbiamo ancora bisogno di trovarne qualche altro, in modo che lui possa apprendere qualcosa di utile. Forse più di qualche altro. Ci sono decine di migliaia di persone in bianco laggiù, e lei potrebbe essere ovunque in mezzo a loro.»

«Penso che forse questa possa dire a Perrin Aybara quello che gli serve sapere, Fager Neald.»

Se Galina prima si era irrigidita, ora era rimasta immobile. Nel suo stomaco parve formarsi del gelo, così come nel suo cuore. Perrin Aybara aveva mandato quegli uomini? Se lui avesse attaccato gli Shaido per cercare di liberare sua moglie, sarebbe stato ucciso, distruggendo l’influenza che lei aveva su Faile. A quella donna non sarebbe importato quello che poteva rivelare su di lei, se suo marito fosse morto, e le altre non avevano segreti che temevano venissero allo scoperto. Con orrore, Galina vide dissolversi le speranze di ottenere la verga. Doveva fermarlo. Ma come?

«E perché mai pensi questo, Gaul?»

«Lei è Aes Sedai. E un’amica di Sevanna, pare.»

«Ma davvero?» disse il Murandiano in tono pensieroso. «Lo è proprio?»

Stranamente nessuno dei due uomini sembrava minimamente a disagio per aver messo le mani su una Aes Sedai. E l’Aiel a quanto pare lo aveva fatto con la piena consapevolezza di chi lei fosse. Anche se quello era uno Shaido rinnegato, doveva ignorare il fatto che lei non poteva incanalare senza permesso. Solo Sevanna e una manciata di Sapienti lo sapevano. Quella situazione stava diventando più confusa ogni momento che passava.

All’improvviso venne sollevata in aria e appoggiata sulla pancia. Sulla sua stessa sella, si rese conto, e il momento dopo stava rimbalzando sul duro cuoio, con uno degli uomini che usava una mano per impedirle di cadere mentre la giumenta cominciava a trottare.

«Andiamo dove puoi farci usare uno dei tuoi buchi, Fager Neald.»

«Appena dall’altro lato del pendio, Gaul. Insomma, sono stato qui così spesso che potrei creare un passaggio praticamente ovunque. Voi Aiel andate sempre di corsa?»

Un passaggio?, pensò. Cosa stava blaterando quell’uomo? Accantonando quelle sciocchezze, Galina valutò le sue opzioni e non ne trovò nessuna valida. Legata come un agnello per il mercato, imbavagliata in modo che non l’avrebbero potuta sentire a dieci passi di distanza anche se avesse strillato a pieni polmoni, le sue possibilità di scappare erano inesistenti a meno che qualcuna delle sentinelle shaido non intercettasse coloro che l’avevano catturata. Ma lei lo voleva proprio? A meno di raggiungere Aybara, non aveva modo per impedirgli di rovinare tutto. D’altro canto, a quanti giorni di distanza si trovava il suo accampamento? Non poteva essere molto vicino, altrimenti gli Shaido lo avrebbero già trovato. Galina sapeva che gli esploratori effettuavano ricognizioni fino a dieci miglia dal campo. Qualunque fosse il numero di giorni necessari per raggiungerlo, ce ne sarebbero voluti altrettanti per tornare. Non sarebbe arrivata in ritardo di qualche minuto, ma di giorni interi.

Therava non l’avrebbe uccisa per questo. Le avrebbe solo fatto desiderare di essere morta. Galina poteva spiegare. Raccontare di essere stata catturata da alcuni briganti. No, solo un paio: era già abbastanza difficile credere che due uomini fossero giunti così vicino all’accampamento, tanto meno una banda di briganti. Incapace di incanalare, le era occorso tempo per fuggire. Poteva rendere quel racconto convincente. Poteva persuadere Therava. Se avesse detto... Era inutile. La prima volta che Therava l’aveva punita per essere arrivata tardi, era stato perché il suo straccale si era rotto e lei era dovuta tornare a piedi guidando il suo cavallo. La donna non aveva accettato quella scusa, cosi come non avrebbe creduto alla storia del rapimento. Galina voleva piangere. In effetti si rese conto che stava piangendo, lacrime disperate che era incapace di fermare.

Il cavallo si arrestò e, prima che lei potesse pensare, si dibatté in modo incontrollato, cercando di gettarsi giù dalla sella, gridando con quanta forza il suo bavaglio le permetteva. Di certo stavano cercando di evitare le sentinelle. Therava avrebbe sicuramente capito se le sentinelle fossero tornate con lei e quelli che l’avevano catturata, perfino se fosse stata in ritardo. Di sicuro poteva trovare un modo per gestire Fai le perfino se suo marito fosse morto.

Una mano dura la colpì rudemente. «Fa’ silenzio» disse l’Aiel, poi ripartirono al trotto.

Le lacrime ricominciarono e il cappuccio di seta che le copriva la faccia si inumidì. Therava l’avrebbe fatta gemere. Ma perfino mentre piangeva, iniziò a pensare a quello che avrebbe detto ad Aybara. Perlomeno poteva mettere al sicuro le sue possibilità di ottenere la verga. Therava l’avrebbe... No. No! Era necessario che si concentrasse su quello che lei poteva fare. Immagini della Sapiente dagli occhi crudeli che teneva in mano un frustino, una cinghia o delle corde per legarla si sollevarono nella sua mente, ma ogni volta lei le ricacciava giù mentre ripeteva tutte le domande che Aybara avrebbe potuto porle e le risposte che lei gli avrebbe fornito. Su quello che lei avrebbe detto per indurlo a lasciare nelle sue mani la sicurezza della moglie.