«Berelain, potresti chiacchierare più tardi?» disse Aybara con impazienza, e non era un consiglio. Tamburello sul foglio di carta con un grosso dito. «Alyse, vuoi dare un’occhiata a questo?» Nemmeno quello era un consiglio. Chi sì credeva di essere quell’uomo, per dare ordini a una Aes Sedai?
Tuttavia, avvicinarsi al tavolo la fece allontanare un poco da Neald. La portò più vicina a quell’altro, che la stava squadrando assorto, ma era dall’altra parte del tavolo. Una flebile barriera, tuttavia lei poteva ignorarlo guardando il foglio di carta sotto il dito di Aybara. Impedire alle sue sopracciglia di sollevarsi fu difficile. Lì era delineata la cittadina dì Malden, completa dell’acquedotto che portava l’acqua da un lago a cinque miglia di distanza, e anche un contorno approssimativo dell’accampamento shaido che circondava la città. La vera sorpresa erano dei segni che parevano indicare l’arrivo di sette fin da quando gli Shaido avevano raggiunto Malden, e i numeri di quelle significavano che i suoi uomini osservavano il campo da diverso tempo. Un’altra mappa, sommariamente abbozzata, pareva mostrare la città stessa in un certo dettaglio.
«Vedo che hai appreso quant’è vasto il loro accampamento» disse lei. «Devi sapere che non ci sono speranze di salvarla. Perfino se avessi cento di quegli uomini non sarebbe abbastanza.» Parlare di loro non era facile e lei non riuscì a trattenere del tutto il disprezzo dalla propria voce. «Quelle Sapienti contrattaccheranno. A centinaia. Sarebbe un massacro, con migliaia di morti, e forse tua moglie fra essi. Te l’ho detto, lei e Alliandre sono sotto la mia protezione. Quando le mie faccende saranno terminate, le porterò io al sicuro. Mi hai sentito dirlo, perciò per i Tre Giuramenti sai che è vero. Non commettere l’errore di pensare che il tuo legame con Rand al’Thor ti proteggerà se interferisce in quello che sta facendo la Torre Bianca. Sì, so chi sei. Pensavi che tua moglie non me l’avrebbe detto? Lei si fida di me, e se vuoi tenerla al sicuro, devi farlo anche tu.»
L’idiota la guardò come se le sue parole gli fossero volate sopra la testa senza toccargli le orecchie. Quegli occhi erano davvero sconcertanti. «Dove dorme? Lei e tutte quelle che sono state catturate con lei. Mostramelo.»
«Non posso» rispose lei in tono pacato. «I gai’shain di rado dormono nello stesso posto due notti di fila.» Con quella menzogna, per lei scomparve l’ultima possibilità di lasciare in vita Faile e le altre. Oh, non aveva mai avuto intenzione di aumentare il rischio della propria fuga aiutandole, ma quello poteva essere sempre spiegato successivamente per un cambio delle circostanze. Non poteva rischiare che un giorno potessero davvero scappare e scoprire la sua diretta menzogna, però.
«Io la libererò» borbottò lui, quasi troppo piano perché lei udisse. «A ogni costo.»
I suoi pensieri si fecero frenetici. Non sembrava esserci modo per distoglierlo, ma forse poteva ritardarlo. Dovevi fare almeno quello. «Ritarderesti almeno il tuo attacco? Potrei essere in grado di concludere le mie faccende entro pochi giorni, forse una settimana.» Una scadenza avrebbe intensificato gli sforzi di Faile. Prima sarebbe stato pericoloso: una minaccia non messa in pratica perdeva tutta la sua forza e le probabilità che la donna non riuscisse a ottenere la verga in tempo erano troppo elevate. Ora quel rischio diventava necessario. «Se posso farlo e porto fuori tua moglie e le altre, non ci sarà motivo perché tu muoia senza scopo. Una settimana.»
Con la frustrazione dipinta sul volto, Aybara sbatté il pugno tanto forte sulla tavola da farla rimbalzare. «Puoi avere qualche giorno,» ringhiò «forse perfino una settimana o più, se...» Si rimangiò quello che era stato sul punto di dire. Quegli strani occhi si fissarono sul suo volto. «Ma non posso promettere quanti giorni» proseguì lui. «Se potessi fare a modo mio, attaccherei ora. Non lascerei Faile prigioniera un giorno più del dovuto standomene ad aspettare che i piani delle Aes Sedai per gli Shaido diano frutti. Dici che è sotto la tua protezione, ma quanta protezione puoi davvero fornirle, indossando quella veste? Ci sono segni di ubriachezza nel campo. Perfino alcune delle loro sentinelle bevono. Anche le Sapienti si abbandonano al vino?»
Quell’improvviso cambio d’argomento le fece sbattere le palpebre. «Le Sapienti bevono solo acqua, perciò non devi pensare di poterle trovare tutte in preda allo stordimento» gli disse in tono asciutto. E in modo piuttosto veritiero. La divertiva sempre quando la verità serviva ai suoi scopi. Non che l’esempio delle Sapienti stesse dando molti frutti. L’ubriachezza era diffusa tra gli Shaido. A ogni scorreria riportavano tutto il vino che riuscivano a trovare. Dozzine e dozzine di piccoli alambicchi producevano nauseabondi distillati di grano, e ogni volta che le Sapienti ne distruggevano uno, ne apparivano due al suo posto. Rivelarglielo non avrebbe fatto che incoraggiarlo, però. «Per quanto riguarda gli altri, sono stata con degli eserciti prima di questo e ho visto più gente sbronza che tra gli Shaido. Se cento su decine di migliaia sono ubriachi, che vantaggio puoi trame? Davvero, faresti bene a promettermi una settimana. Due sarebbero ancora meglio.»
Gli occhi di lui guizzarono sulla mappa e la sua mano destra tornò a chiudersi in un pugno, ma non c’era rabbia nella sua voce. «Gli Shaido si recano molto spesso all’interno delle mura cittadine?»
Lei posò la sua coppa di vino sul tavolo e si erse più dritta. Incrociare lo sguardo di quegli occhi gialli richiedeva uno sforzo, eppure ci riuscì senza tentennamenti. «Penso che sia ora che mostri appropriato rispetto. Sono una Aes Sedai, non una servitrice.»
«Gli Shaido si recano molto spesso all’interno delle mura cittadine?» ripete esattamente nello stesso tono piatto. Galina voleva digrignare i denti.
«No» sbottò lei. «Hanno saccheggiato tutto quello che valeva la pena rubare e anche cose di nessun valore.» Si pentì di quelle parole non appena furono volate via dalla sua lingua. Erano sembrate sicure, finché non si ricordò di uomini che potevano balzare attraverso buchi nell’aria. «Ciò non vuoi dire che non vi si recano mai. La maggior parte dei giorni, alcuni vi entrano. Potrebbero essercene venti o trenta alla volta, di più in certe occasioni, in gruppi di due o tre.» Lui aveva l’intelligenza per capire cosa significava questo? Meglio assicurarsi che capisse. «Non potresti aver ragione di tutti quanti. Inevitabilmente, qualcuno scapperebbe ad avvertire l’accampamento.»
Aybara si limitò ad annuire. «Quando vedi Faile, dille che nel giorno in cui vedrà nebbia sui rilievi e sentirà i lupi ululare di giorno, lei e le altre dovranno andare alla fortezza di lady Cairen nell’estremità nord della città e nascondersi lì. Dille che l’amo. Dille che sto venendo per lei.»
Lupi?, pensò. Quell’uomo era pazzo? Come poteva assicurarsi che i lupi...? Tutt’a un tratto, con quegli occhi da lupo su di lei, Galina non fu sicura di volerlo sapere.
«Glielo dirò» mentì. Forse lui aveva solo intenzione di usare gli uomini con le giubbe nere per portare via sua moglie. Ma perché aspettare, in tal caso? Quegli occhi gialli celavano segreti che lei desiderava conoscere. Chi stava cercando di incontrare Aybara? Chiaramente non Sevanna. Avrebbe ringraziato la Luce per quello se non avesse abbandonato quell’idiozia molto tempo prima. Chi era pronto ad andare immediatamente? Era stato menzionato un uomo, ma quello poteva voler dire un re con un esercito. O al’Thor stesso? Galina pregò di non rivederlo di nuovo.
La sua promessa parve liberare qualcosa nel giovane uomo. Lui espirò lentamente e una tensione che lei non aveva notato abbandonò il suo volto. «Il problema col rompicapo di un fabbro» disse piano, picchiettando il contorno di Malden «è sempre mettere il pezzo chiave al posto giusto. Bene, questo è fatto. O lo sarà presto.»
«Rimarrai per cena?» chiese Berelain. «È quasi ora.»