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Lord Mat? Per la Luce, chi era lord Mat? «Furyk Karede» rispose lui. «Desidero parlare con l’uomo che si fa chiamare Thom Merrilin.»

«Talmanes Delovinde» si presentò l’uomo con educazione. «Vuoi parlare con Thom? Be’, non ci vedo nulla di male. Ti porterò da lui.»

Karede spronò Aldazar dietro Delovinde. Quell’uomo non aveva menzionato l’ovvio, che a lui e agli altri non poteva essere permesso di andarsene e riferire l’ubicazione di quell’esercito. Era davvero beneducato. Perlomeno, a loro non sarebbe stato permesso di andarsene a meno che il folle piano di Karede non avesse funzionato. Musenge gli aveva dato solo una possibilità su dieci di successo, una su cinque di uscirne vivo. Personalmente, lui credeva che le probabilità fossero minori, ma doveva compiere quel tentativo. E la presenza di Merrilin deponeva a favore di quella della Somma Signora.

Delovinde smontò in mezzo a uno scenario stranamente domestico in mezzo agli alberi, persone su sgabelli da campo o coperte attorno a un piccolo fuoco sotto un’ampia quercia dove un bricco si stava scaldando. Karede scese dalla sella, facendo cenno ai Sorveglianti e ad Ajimbura di smontare a loro volta. Melitene e Mylen rimasero sui loro destrieri per il vantaggio dell’altezza. Cosa sorprendente, comare Anan, che una volta era stata la proprietaria della locanda dove lui era alloggiato a Ebou Dar, era seduta su uno degli sgabelli a tre gambe leggendo un libro. Non indossava più uno di quei vestiti che lasciavano poco all’immaginazione e che a lui piaceva guardare, ma la sua stretta collana lasciava pendere ancora quel coltello ingioiellato sul suo petto notevole. Lei chiuse il libro e gli rivolse un piccolo cenno col capo, come se lui fosse tornato a La Donna Errante dopo essere stato via qualche ora. I suoi occhi nocciola erano piuttosto sereni. Forse il piano era ancora più intricato di quanto aveva pensato il cercatore Mor.

Un uomo dai capelli bianchi alto e magro con baffi lunghi quasi quanto quelli di Hartha era seduto a gambe incrociate su una coperta a strisce davanti a un tabellone di sassolini con davanti una donna snella con la chioma acconciata in trecce ornate di perline. Lui fece guizzare un sopracciglio verso Karede, scosse il capo e tornò a occuparsi della plancia a linee incrociate. Lei rivolse occhiatacce di puro odio a Karede e a quelli dietro di lui. Un tizio anziano e nodoso con lunghi capelli bianchi era steso su un’altra coperta con un giovanotto decisamente brutto, intenti in qualche gioco su un altro pezzo di stoffa rossa contrassegnato da linee nere. Si misero a sedere, col ragazzo che studiava gli Ogier con interesse e l’uomo con una mano che si librava come in procinto di afferrare un coltello sotto la sua giacca. Un uomo pericoloso e cauto. Forse era lui Merrilin.

I due uomini e le due donne seduti assieme sugli sgabelli da campo stavano conversando quando Karede si era avvicinato, ma mentre smontava di sella, una donna dal volto severo si alzò e fissò quegli occhi azzurri con uno sguardo che aveva tutta l’aria di una sfida. Portava una spada a un’ampia cinghia di cuoio obliqua davanti al suo petto, nel modo in cui facevano alcuni marinai. I suoi capelli erano tagliati corti piuttosto che nello stile del basso Sangue, le sue unghie corte e nessuna di esse laccata, ma lui era certo che si trattasse di Egeanin Tamaralh. Un uomo muscoloso con capelli corti come i suoi e una di quelle singolari barbe illianesi si mise in piedi accanto a lei, una mano sull’elsa di una spada corta, fissando Karede come se intendesse spalleggiare quella sfida. Una donna graziosa con capelli lunghi fino in vita e la stessa bocca simile a un bocciolo di rosa della Tarabonese si alzò, e per un momento parve che potesse inginocchiarsi o prostrarsi, ma poi si raddrizzò e lo guardò dritto negli occhi. L’ultimo uomo, un tizio magro con un peculiare copricapo rosso che pareva intagliato da legno scuro, proruppe in una fragorosa risata e le gettò attorno le braccia. Lo sguardo ghignante che lui rivolse a Karede poteva solo essere definito di trionfo.

«Thom,» disse Delovinde «questo è Furyk Karede. Vuole parlare con un uomo che ‘si fa chiamare’ Thom Merrilin.»

«Con me?» chiese l’uomo magro e canuto, alzandosi in modo impacciato. La sua gamba destra pareva lievemente rigida. Un vecchia ferita di guerra, forse? «Ma io non ‘mi faccio chiamare’ Thom Merrilin. È il mio nome, anche se sono sorpreso che tu lo conosca. Cosa vuoi da me?»

Karede si tolse l’elmo, ma prima che potesse aprir bocca, accorse una donna graziosa con grandi occhi marroni, seguita da altre due. Tutt’e tre avevano quelle facce da Aes Sedai, che un minuto sembravano da ventenni, quello successivo il doppio, quello dopo ancora qualcosa nel mezzo. Era davvero sconcertante.

«Quella è Sheraine!» urlò la donna graziosa fissando Mylen. «Liberatela!»

«Tu non capisci, Joline» disse con rabbia una delle donne con lei. Con le labbra sottili e un naso stretto, pareva come se potesse masticare rocce. «Lei non è più Sheraine. Ci avrebbe tradito, se le fosse stata data l’opportunità.»

«Teslyn ha ragione, Joline» disse la terza donna. Attraente piuttosto che graziosa, aveva lunghi capelli neri che le ricadevano ondulati fino in vita. «Ci avrebbe tradito.»

«Non ci credo, Edesina» sbottò Joline. «Tu la libererai immediatamente» disse rivolta a Melitene «oppure io...» All’improvviso annaspò.

«Te l’avevo detto» disse Teslyn con amarezza.

Un giovane uomo con un cappello nero a tesa larga giunse al galoppo su un sauro scuro dal muso schiacciato con un petto ampio e volteggiò giù di sella. «Cosa sta dannatamente succedendo qui?» domandò, avanzando verso il fuoco a grandi passi.

Karede lo ignorò. La Somma Signora Tuon era giunta a cavallo assieme al giovane uomo, su un destriero bianco e nero con un manto come lui non ne aveva mai visti. Selucia era al suo fianco su un bruno grigiastro, la sua testa avvolta in una sciarpa scarlatta, ma lui aveva occhi solo per la Somma Signora. Il suo capo era ricoperto da corti capelli neri, ma non poteva sbagliarsi su quel volto. Lei gli riservò solo un’occhiata inespressiva prima di tornare a scrutare il giovane uomo. Karede si domandò se lei l’avesse riconosciuto. Probabilmente no. Era passato molto tempo da quando aveva servito nella sua scorta. Non si guardò alle spalle, ma seppe che le redini del sauro di Ajimbura adesso erano tenute da uno dei Sorveglianti. Apparentemente disarmato e senza la sua distintiva treccia, non avrebbe dovuto avere problemi a lasciare l’accampamento. Le sentinelle non avrebbero mai visto l’ometto. Ajimbura era un bravo corridore e sapeva muoversi furtivo. Presto Musenge avrebbe saputo che la Somma Signora si trovava davvero lì.

«Lei ci ha schermato, Mat» disse Joline, e il giovane uomo si tolse il cappello e si diresse ad ampie falcate verso il cavallo di Melitene come se avesse intenzione di afferrarne le briglie. Aveva arti lunghi, anche se non poteva essere definito alto, e portava una sciarpa di seta nera legata attorno al collo che gli penzolava sul petto. Questo lo rendeva quello che tutti avevano chiamato il Giocattolo di Tylin, come se essere il trastullo della regina fosse la sua caratteristica più importante. Probabilmente lo era. I favoriti di rado avevano altre doti. Strano, ma pareva a malapena attraente per quello. Sembrava in forma, però.

«Lascia andare lo schermo» le disse come aspettandosi obbedienza. Karede sollevò le sopracciglia. Questo era il favorito? Melitene e Mylen rimasero senza fiato quasi all’unisono e il giovane uomo proruppe in una risata. «Vedi, non funziona su di me. Ora lascia maledettamente andare lo schermo oppure ti tirerò dannatamente giù di sella e ti prenderò a sculacciate.» Il volto di Melitene si rabbuiò. Poche persone osavano parlare a quel modo a una der’sul’dam.