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«Più sono e meglio e» disse Mat. «Meno riescono ad arrivare, tanto meglio per noi, per come la vedo io.» Tutto quello che gli occorreva era dare a Tuon un giorno o due di vantaggio su di loro, e se quello derivava dallo spossare i loro cavalli, se fossero usciti dagli alberi e avessero deciso che lui aveva troppi uomini perché potessero affrontarli, Mat lo avrebbe preferito comunque a una battaglia. Dopo la galoppata di sei miglia di quel giorno, avrebbero avuto bisogno di far riposare i loro cavalli per alcuni giorni prima che potessero coprire altra distanza. Vanin diresse quel cipiglio verso di lui. Gli altri potevano andare in giro a chiamarlo lord e Altezza, ma non Chel Vanin.

Mat rise e gli diede una pacca sulla spalla prima di volteggiare di nuovo in sella a Pips. Era bello sapere che c’era qualcuno che non pensava che lui fosse uno sciocco nobile o, perlomeno, a cui non importava se lo fosse o meno. Andò a unirsi alle Aes Sedai, anche loro in sella adesso.

Blaeric e Fen, il primo su un castrone baio, il secondo su un nero, gli scoccarono occhiate cupe quasi quanto quelle che avevano rivolto a Musenge. Ancora sospettavano che avesse qualcosa a che fare con quello che era successo a Joline. Mat pensò di dire a Fen che il suo mozzicone di codino sembrava ridicolo. Fen si spostò sulla sua sella e accarezzò l’elsa della spada. A ripensarci, forse era meglio di no.

«...che vi ho detto» stava dicendo Joline a Bethamin e Seta, scuotendo un dito ammonitore. Il suo scuro castrone baio sembrava un cavallo da guerra, ma non lo era. Quell’animale era portato per la velocità, tuttavia il suo temperamento era mansueto come latte annacquato. «Se solo pensi di abbracciare saidar, te ne pentirai.»

Teslyn emise un grugnito amareggiato. Diede una pacca sulla sua giumenta saura dal muso bianco, una creatura dall’umore più esuberante del destriero di Joline, e parlò all’aria. «Lei addestra selvatiche e si aspetta che si comportino bene anche lontano dalla sua vista. O forse pensa che la Torre accetterà delle novizie troppo vecchie.» Chiazze di colore comparvero sulle gote di Joline, ma lei si raddrizzò sulla sella senza dire nulla. Come al solito quando quelle due avevano una disputa, Edesina si concentrava su qualcos’altro, in questo caso a spazzar via della polvere immaginaria dalle sue gonne divise. Abbastanza tensione da soffocare.

All’improvviso dei cavalieri si riversarono fuori dagli alberi all’estremità opposta del prato in un Torrente che si gonfiò in un lago sempre più vasto di lance dalla punta d’acciaio mentre arrestavano i loro destrieri, senza dubbio sorpresi per quello che si parava di fronte a loro. Pareva che non si fossero azzoppati così tanti cavalli quanto Mat aveva sperato. Tirando fuori il cannocchiale dalla sua custodia legata al pomolo della sella, se lo portò all’occhio. I Tarabonesi erano facili da distinguere, con i veli di maglia che nascondevano le loro facce fino agli occhi, ma gli altri indossavano ogni genere di elmo, tondo o conico, con sbarre e senza. Vide perfino alcuni elmi tarenesi, anche se non questo non voleva dire che ci fossero Tarenesi fra loro. Parecchi uomini erano soliti indossare qualunque armatura riuscivano a trovare. Non pensate, disse fra sé. La donna è qui. Quelle centomila corone d’oro stanno aspettando. Non...

Risuonò un’acuta tromba seanchan, fievole in lontananza, e i cavalieri iniziarono ad avanzare al passo, già aprendosi a ventaglio per estendersi oltre le estremità del muro.

«Scopri lo stendardo, Macoli» ordinò Mat. Così questi maledetti figli di capra pensavano di venire ad assassinare Tuon, eh? «Stavolta lasceremo che sappiano chi li sta uccidendo. Mandevwin, hai tu il comando.»

Mandevwin voltò il suo baio verso il fronte. «State pronti!» urlò, e i sottufficiali e gli stendardieri gli fecero eco.

Macoli tolse la copertura di cuoio, assicurandosela con attenzione alla sella, e il vessillo garrì al vento, un quadrato bianco dal bordo rosso con in mezzo una grande mano rossa aperta e, sotto di essa, ricamate in rosso, le parole ‘Dovie’andi se tovya sagain’. È tempo di lanciare i dadi, pensò Mat traducendo. Ed era proprio così. Vide Musenge scrutare il vessillo. Pareva molto calmo per un uomo con diecimila lance che stavano venendo verso di lui.

«Sei pronta, Aludra?» chiamò Mat.

«Certo che sono pronta, io» replicò. «Vorrei solo avere i miei draghi!» Musenge spostò la sua attenzione su di lei. Che fosse folgorata, doveva tenere a bada quella lingua! Mat voleva che quei draghi fossero una sorpresa la prima volta che i Seanchan se li fossero trovati davanti.

Forse a milleduecento passi dal muro, le file di lancieri iniziarono a muoversi al trotto e a seicento partirono al galoppo, ma non così forte quanto avrebbero potuto. Quei cavalli erano stanchi dopo avere già corso molto. Arrancavano. Nessuna delle lance era stata ancora abbassata. Non lo sarebbero state fino agli ultimi cento passi. Alcune di quelle recavano pennacchi che svolazzavano dietro di esse nell’aria, un grosso nodo di rosso qui, un ammasso di verde o blu lì.

Potevano essere colori di casate, oppure contrassegnavano delle compagnie di mercenari. Tutti quegli zoccoli producevano un rumore come il boato di un tuono lontano.

«Aludra!» urlò Mat senza guardare indietro. Un tonfo vuoto e un acre odore di zolfo annunciarono che il tubo di lancio aveva mandato in aria il suo fiore notturno e un fragoroso scoppiettio precedette lo sbocciare di una palla di strie rosse sopra di loro. Alcuni dei cavalieri al galoppo lo indicarono come stupiti. Nessuno guardò dietro di loro per vedere Talmanes che guidava le tre compagnie di cavalleria fuori dalla foresta più in basso del lago. Le loro lance erano state lasciate con le bestie da soma, ma ogni uomo aveva in mano il suo arco da sella. Allargandosi su un’unica fila, iniziarono a seguire i cavalieri al galoppo, aumentando la velocità nell’avvicinarsi. I loro cavalli avevano compiuto un lungo tragitto la notte precedente, ma non erano stati spremuti troppo e si erano riposati tutta la mattina. La distanza fra i due gruppi di cavalieri iniziò ad assottigliarsi.

«Fila avanti!» gridò Mandevwin quando i cavalieri furono a quattrocento passi di distanza.

«Lanciate!» Oltre mille dardi vennero scagliati, scie scure nell’aria. Immediatamente la fila davanti si chinò per assicurare le manovelle alle balestre e gli uomini della seconda fila sollevarono le proprie armi. «Seconda fila!» urlò Mandevwin. «Lanciate!» Altri mille quadrelli volarono verso i cavalieri in arrivo.

A quella distanza non potevano attraversare un pettorale, nonostante le punte fossero progettate per fare proprio quello, ma uomini con gambe fracassate ruzzolarono giù di sella e uomini con braccia trapassate arrestarono i loro destrieri per cercare di fermare il flusso di sangue. I cavalli... Ah, per la Luce, quei poveri cavalli. Caddero a centinaia, alcuni scalciando e urlando, dibattendosi per rimettersi in piedi, altri non muovendosi affatto, molti di essi incespicavano su altri animali. Alcuni cavalieri vennero catapultali a ruzzolare lungo il prato erboso finché non vennero travolti da quelli dietro.

«Terza fila! Lanciate!» urlò Mandevwin, e non appena quei colpi furono lanciali, la prima fila si raddrizzò. «Fila avanti!» chiamò Mandevwin. «Lanciate!» E altri mille dardi contribuirono al massacro. «Seconda fila! Lanciate!»

Non fu un’imboscata così unilaterale, naturalmente. Alcuni dei cavalieri al galoppo avevano gettato le loro lance e avevano tolto dalla custodia gli archi da sella. Diverse frecce iniziarono a cadere fra i balestrieri. Tirare con precisione da un cavallo al galoppo non era un compito semplice e all’inizio il raggio era troppo distante perché le frecce potessero uccidere, ma più di un uomo si sforzò di azionare la sua balestra con uno strale che gli spuntava da un braccio. Il muro proteggeva le loro gambe. Erano troppo lontani per uccidere, però, a meno che il loro bersaglio avesse esaurito la propria fortuna. Mat vide un uomo cadere con una freccia nell’occhio e un altro con una conficcata in gola. Ci furono anche altri spazi vuoti nei ranghi. Degli uomini si affrettarono a farsi avanti per riempirli.