Per quando venne aperto un varco in modo che Mat e gli nitri potessero attraversarlo a cavallo, Hartha e i Giardinieri erano tornati. «Ho trovato il traditore» disse Hartha, sollevando per i capelli una testa mozzata.
Musenge sollevò le sopracciglia alla vista del volto scuro col naso aquilino. «Lei sarà molto interessata di vedere questo» disse piano. Piano come il suono di una spada che viene estratta.
«Dobbiamo portarlo da lei.»
«Lo conoscete?» chiese Mat.
«Lo conosciamo, Altezza.» Il volto di Musenge, d’improvviso come intagliato nella pietra, disse che non avrebbe aggiunto altro sull’argomento.
«Senti, vuoi smetterla di chiamarmi a quel modo? Il mio nome è Mat. Dopo quest’oggi, direi che hai il diritto di usarlo.» Mat stesso rimase sorpreso nel porgergli la mano.
Quella maschera di roccia andò in pezzi per lo stupore. «Non potrei farlo, Altezza» replicò in toni scandalizzati. «Quando lei li ha sposato, tu sei diventato il Principe dei Corvi. Pronunciare il tuo nome abbasserebbe i miei occhi per sempre.»
Mat si tolse il cappello e si grattò con le dita fra i capelli. Aveva eletto a tutti quelli che lo ascoltavano che non gli piacevano i nobili, che non voleva essere uno di loro, ed era stato serio al riguardo. Lo era ancora. E adesso era uno stramaledetto nobile! Fece l’unica cosa che poteva fare. Rise finché non gli dolsero i fianchi.
Epilogo Ricorda il vecchio detto
La stanza con le pareti rosse e col soffitto dipinto in modo estroso con uccelli e pesci che saltellavano fra nubi e onde brulicava di funzionali vestiti di marrone per i passaggi fra i lunghi tavoli che ricoprivano il pavimento. Pareva che nessuno stesse cercando di. ascoltare — parecchi sembravano sbigottiti, e ne avevano motivo —, ma Suroth disprezzava la loro presenza. Di certo dovevano cogliere qualcosa di quello che veniva detto, e potenzialmente si trattava di notizie terribili. Galgan aveva insistito, però. Avevano bisogno di lavorare per tenere la mente distolta dalle nuove disastrose dalla patria, ed erano tutti uomini e donne fidati. Aveva insistito! Perlomeno il vecchio canuto non era vestito come un soldato, quella mattina. I suoi voluminosi pantaloni blu e la corta giacca rossa dall’alto colletto con file di bottoni dorati sbalzati col suo sigillo era l’apice della moda di Seandar, il che voleva dire l’apice della moda per l’impero. Quando indossava l’armatura o anche solo la sua uniforme rossa, a volte a Suroth sembrava di essere un soldato sotto il suo comando!
Be’, una volta che Elbar avesse portato la notizia della morte di Tuon, avrebbe potuto far uccidere Galgan. L’uomo aveva le guance sporche di cenere, come le sue. I a nave promessa da Semirhage aveva portalo la notizia della morte dell’imperatrice e l’impero era scosso dalla ribellione in ogni angolo. Non c’era nessuna imperatrice, nessuna Figlia delle Nove Lune. Per i comuni cittadini, il mondo tremava sull’orlo della distruzione. Anche per alcuni del Sangue. Con Galgan e qualche altro morto, non ci sarebbe stato nessuno a sollevare obiezioni quando Suroth Sabelle Meldarath si fosse proclamata imperatrice. Cercò di non pensare al nuovo nome che avrebbe assunto. Pensare a un nuovo nome prima del tempo portava sfortuna.
Con un cipiglio che gli increspava il volto, Galgan abbassò lo sguardo verso la mappa spiegata fra loro e mise un’unghia laccata di rosso sopra le montagne sulla costa meridionale dell’Arad Doman. Suroth non sapeva come fosse chiamata quella catena. Le mappa mostrava tutto l’Arad Doman e su di essa c’erano tre contrassegni, una freccia rossa e due cerchi bianchi, distanziati in una lunga linea da nord a sud. «Turan ha ottenuto un conto accurato di quanti uomini sono venuti da queste montagne per unirsi a Ituralde quando ha varcato il confine dell’Arad Doman, Yamada?»
Anche Efraim Yamada portava le ceneri, dato che era del Sangue, sebbene solo del basso Sangue, con i capelli tagliati a scodella con codino invece che in una stretta cresta su un cranio altrimenti rasato. Solo i comuni cittadini attorno al tavolo, a prescindere dal loro rango, non le portavano. Alto e brizzolato in una corazza blu e oro, con spalle ampie e fianchi snelli, Yamada conservava ancora un po’ della bellezza della sua gioventù. «Riferisce che sono almeno centomila, capitano generale. Forse centocinquantamila.»
«E quanti ne sono usciti dopo che Turan ha superato il confine?»
«Forse duecentomila, capitano generale.»
Galgan sospirò e si rimise dritto. «Dunque Turan ha un esercito davanti a lui e un altro dietro, probabilmente l’intera forza dell’Arad Doman, e in mezzo a loro si trova in inferiorità numerica.» Quello sciocco! Non faceva che affermare l’ovvio.
«Turan avrebbe dovuto privare Tarabon di ogni spada e lancia!» sbottò Suroth. «Se sopravvive a questo sfacelo, avrò la sua testa!»
Galgan sollevò un sopracciglio bianco verso di lei. «Fatico a credere che Tarabon sia già così leale da appoggiare qualcosa del genere» disse in tono asciutto. «Inoltre ha damane e raken. Quelli dovrebbero compensare i suoi numeri inferiori. Parlando di damane e di raken, ho firmato gli ordini per promuovere Tylee Khirgan a generale di stendardo ed elevarla al basso Sangue, dal momento che tu temporeggiavi, e ordini di far tornare buona parte di quei raken in Amadicia e in Altara. Chisen non ha ancora trovato chiunque abbia creato quella piccola confusione nel Nord, e non mi piace l’idea che chiunque sia resti in attesa di balzare fuori non appena Chisen tornerà al Varco di Molvaine.»
Suroth sibilò, afferrando tra i pugni le sue gonne blu pieghettate prima di poter fermare le proprie mani. Non avrebbe permesso a quell’uomo di farle mostrare delle emozioni! «Tu travalichi i tuoi compiti, Galgan» affermò in tono freddo, «Io comando i Precursori. Per il momento, io comando il Ritorno. Tu non firmerai ordini senza la mia approvazione.»
«Tu comandavi i Precursori, che sono stati inclusi nel Ritorno» replicò lui con calma, e Suroth sentì un sapore amaro in bocca. Le notizie dall’impero l’avevano imbaldanzito. Con l’imperatrice morta, Galgan aveva intenzione di diventare il primo imperatore in novecento anni. A quanto pareva sarebbe dovuto morire entro la notte. «Per quanto riguarda il fatto che sia tu a comandare il Ritorno...» Lui si interruppe al suono di pesanti stivali per il corridoio.
All’improvviso dei Sorveglianti della Morte occuparono la soglia, in armatura e con le mani sulle else delle loro spade. Occhi duri lissa va no fuori dai loro elmi rossi e verdi per ispezionare la stanza. Solo quando furono soddisfatti si fecero da parte per rivelare il corridoio pieno di altri Sorveglianti della Morte, umani e ogier. Suroth li notò a malapena. Aveva occhi solo per la donna scura e minuta in un abito azzurro pieghettato con la testa rasata e ceneri sulle guance. La notizia circolava per tutta la città. Lei non avrebbe potuto raggiungere il palazzo senza apprendere della morte di sua madre, della sua famiglia, ma il suo volto era un maschera severa. Le ginocchia di Suroth colpirono il pavimento spontaneamente. Attorno a lei i membri del Sangue si inchinarono e i comuni cittadini si prostrarono.
«Che la Luce benedica il tuo ritorno sana e salva, Altezza» disse in coro col resto del Sangue. Dunque Elbar aveva fallito. Non aveva importanza. Tuon non avrebbe assunto un nuovo nome né sarebbe diventata imperatrice finché il tutto non fosse terminato. Poteva ancora morire, sgombrando la strada per una nuova imperatrice.
«Mostra loro quello che mi ha portato il capitano Musenge, generale di stendardo Karede» disse Tuon.
Un uomo alto con tre piume scure sul suo elmo si chinò per tirare fuori con cautela una grossa massa da un sacco di tela sulle piastrelle del pavimento. Il puzzo nauseabondo di decomposizione iniziò a permeare la stanza. Lasciando cadere il sacco, andò a mettersi accanto a Suroth.
A lei occorse un momento per riconoscere in quella massa in putrefazione la faccia dal naso aquilino di Elbar, ma non appena lo fece, cadde in avanti prostrandosi e baciando le mattonelle. Non per la disperazione, però. Si sarebbe potuta riprendere da questo. A meno che Elbar non fosse stato interrogato. «I miei occhi sono abbassati, Altezza, che uno dei miei ti abbia offeso così profondamente da dovergli tagliare la testa.»