Выбрать главу

— Ho detto di no.

— Io conosco la stazione. Ogni angolo, ogni passaggio; se ricominciano a muoversi le navette, e se riprende regolarmente il traffico delle navi da e per le miniere, potremo usare le tessere per avvicinarci ai moli, unirci a una squadra addetta al carico, e salire su una nave…

— Per andare dove?

— Sulla Porta dell’Infinito. O nelle miniere degli asteroidi. Nessuno farà domande. — Era un sogno. Damon lo evocava per consolare entrambi. — O forse Mazian deciderà che non può continuare a restare qui. Forse se ne andrà.

— Se se ne andrà, farà esplodere tutto. La stazione e le installazioni sulla Porta dell’Infinito. Credi che voglia lasciare alla Confederazione una base da usare contro di lui quando tornerà?

Damon aggrottò la fronte, davanti a quella verità che già conosceva. — Hai una soluzione migliore da proporre?

— No.

— Potrei consegnarmi, negoziare per riprendere il controllo, far evacuare la stazione…

— Lo credi?

— No — disse Damon. Se ne era già reso conto. — No.

Le luci si spensero. Le aveva spente il computer. Soltanto la ventilazione continuò a funzionare.

PELL: CENTRALE DELLA STAZIONE; ore 2130 pg; ore 0930 ag

— Ma non è più necessario — disse Porey sottovoce, con un’espressione implacabile sul volto sfregiato. — Non è più necessaria la sua presenza, signor Lukas. Ha fatto il suo dovere di cittadino. Adesso torni nel suo alloggio. Uno dei miei uomini la scorterà per assicurarsi che ci arrivi sano e salvo.

Jon girò lo sguardo sul centro di comando, sui militari che montavano di guardia con i fucili pronti a sparare e gli occhi puntati sui tecnici al lavoro. Gli altri erano sotto sorveglianza, per la notte. Si spostò per dare ordini al responsabile del computer, e si fermò quando un militare si mosse, con un rumore secco dell’armatura, e puntò il fucile. — Signor Lukas — disse Porey, — noi spariamo a quelli che disobbediscono agli ordini.

— Sono stanco — disse nervosamente Jon. — Sono ben contento di andarmene, signore. Non ho bisogno della scorta.

Porey fece un cenno. Uno dei soldati alla porta si scostò, attendendo Lukas. Jon uscì, seguito dal soldato che subito gli si affiancò. Una compagnia indesiderata. Incontrarono altri militari che montavano di guardia nel settore azzurro uno. Era tutto tranquillo, ma c’erano ancora tracce visibili dei disordini.

Altre navi della Flotta stavano attraccando. Si erano avvicinate in un cerchio sempre più stretto, e alla fine avevano deciso di attraccare. A Jon sembrava una pazzia, da un punto di vista militare, un rischio per lui incomprensibile. Un rischio per Mazian. E per lui, adesso. Per Pell, dato che Mazian era tornato.

Forse — gli era difficile pensarlo — forse la Confederazione aveva davvero subito una dura batosta. Forse certe cose venivano tenute segrete. Forse l’occupazione sarebbe stata ritardata. Lo preoccupava l’idea che Mazian rimanesse molto a lungo.

All’improvviso un gruppo di militari uscì dall’ascensore, in azzurro uno. Avevano mostrine diverse. Lo intercettarono e presentarono un foglio al suo accompagnatore.

— Venga con noi — ordinò uno di loro.

— Il comandante Porey ha detto… — obiettò Jon, ma un altro lo sospinse con la canna del fucile verso l’ascensore. Europe, dicevano le loro mostrine. Truppe dell’Europe. Mazian era arrivato.

— Dove stiamo andando? — chiese Jon, atterrito. Il soldato dell’Africa era rimasto indietro. — Dove stiamo andando?

Nessuno rispose. Era un’intimidazione voluta. Jon sapeva dove stavano andando… e i suoi sospetti trovarono conferma quando, dopo la discesa con l’ascensore, lo condussero lungo il corridoio azzurro nove, sui moli, verso il tubo d’accesso d’una nave attraccata.

Non era mai stato a bordo di una nave da guerra. Nonostante le dimensioni esterne, lo spazio era limitato, come a bordo di un mercantile. Gli dava un senso di claustrofobia. I fucili imbracciati dai soldati, alle sue spalle, non contribuivano a tranquillizzarlo. Ad ogni minima esitazione, mentre svoltavano a sinistra per entrare in ascensore, lo spingevano con le canne di quei fucili. Era in preda alla paura.

Loro sapevano, continuava a ripetersi. Cercava di convincersi che era un atto di cortesia militare, che Mazian voleva incontrarlo perché era il nuovo dirigente della stazione, che Mazian intendeva bluffare o intimidirlo. Ma lì potevano fare quel che volevano. Potevano gettarlo nel vuoto, insieme alle centinaia di corpi congelati che adesso galleggiavano nello spazio nei pressi della stazione, una seccatura per le navi in manovra. Un cadavere fra i tanti. Cercò di scuotersi: sentiva che doveva lottare per sopravvivere, ora o mai più.

Lo spinsero fuori dall’ascensore, in un corridoio sorvegliato da altri soldati, in una stanza abbastanza grande, con una tavola rotonda, vuota. Lo sistemarono su una sedia, e rimasero in attesa, con i fucili imbracciati.

Entrò Mazian, vestito sobriamente di blu, il viso scavato. Jon si alzò in segno di rispetto; Conrad Mazian gli accennò di sedere. Entrarono altri che presero posto intorno al tavolo: ufficiali dell’Europe, nessuno dei comandanti. Jon li guardò di sottecchi.

— Come nuovo dirigente della stazione — disse Mazian, sottovoce, — signor Lukas, cos’è successo ad Angelo Konstantin?

— È morto — disse Jon, cercando di sopprimere ogni reazione che non fosse la più innocente. — I rivoltosi sono entrati negli uffici della stazione. Hanno ucciso lui e tutti i suoi collaboratori.

Mazian si limitò a fissarlo, impassibile. Jon sudava.

— Pensiamo — continuò Jon, intuendo i pensieri del comandante, — che si sia trattato d’una cospirazione… l’attacco contro gli altri uffici, l’apertura della porta del settore Q, la coincidenza di vari fattori. Stiamo indagando.

— Che cosa avete scoperto?

— Finora nulla. Sospettiamo che siano presenti agenti confederati, infiltratisi nella stazione in mezzo ai profughi. Alcuni erano stati autorizzati a uscire, forse avevano amici o parenti in Q. Finora non sappiamo come venissero tenuti i contatti. Sospettiamo che ci fosse la connivenza delle guardie della barriera… i contatti del mercato nero.

— Ma non avete scoperto nulla.

— Non ancora.

— E non lo scoprirete tanto presto, vero, signor Lukas?

Il cuore di Jon cominciò a battere furiosamente. Cercò di scacciare dal viso l’espressione di panico, e si augurò di esserci riuscito. — Mi scuso per la situazione, comandante, ma abbiamo avuto parecchio da fare, con la rivolta, i danni causati alla stazione… ultimamente abbiamo lavorato agli ordini dei comandanti Mallory e…

— Sì. Una mossa brillante, quella che avete usato per sgombrare i corridoi dai rivoltosi. Ma ormai la situazione si era un po’ calmata, no? Mi risulta che certi residenti di Q sono stati autorizzati a entrare nella centrale.

Jon faticava a respirare. Vi fu un lungo silenzio. Non sapeva cosa dire. Mazian fece un cenno a una delle guardie alla porta.

— Eravamo in una situazione di crisi — disse Jon, per riempire quel silenzio terribile. — Forse ho agito precipitosamente, ma era l’unica possibilità di prendere in pugno una situazione pericolosa. Sì, ho trattato con il consigliere del settore Q, che credo non fosse coinvolto nella rivolta, e che poteva calmarli… non c’era nessun altro che…

— Dov’è suo figlio, signor Lukas?

Jon Lukas sbarrò gli occhi.

— Dov’è suo figlio?

— È andato alle miniere. L’ho mandato con una nave a ispezionare le miniere. Sta bene? Ha avuto sue notizie?

— Perché l’ha mandato, signor Lukas?

— Francamente, per allontanarlo dalla stazione.