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Chiuse gli occhi, finalmente, e trasse un respiro volutamente rilassato. Accanto a lei Graff si agitò e poi rimase di nuovo immobile: una presenza amica, nel buio.

PELL: SETTORE AZZURRO UNO, NUMERO 0475; ore 2400 pg.; ore 1200 ag.

— Lei dorme — disse Lily. Satin trasse un profondo respiro e si cinse le ginocchia con le braccia. Avevano rallegrato Il-sole-è-suo-amico; la Sognatrice aveva pianto di gioia nell’ascoltare le notizie portate da Denteazzurro, l’annuncio che Konstantin-uomo e il suo amico erano salvi… era stato impressionante vedere le lacrime su quel volto sereno. Tutti i cuori degli hisa ne avevano sofferto, fino a che non avevano compreso che quelle erano lacrime di gioia… e negli occhi scuri e vivaci s’era acceso un calore così grande che tutti si erano avvicinati a lei. Vi voglio bene, aveva sussurrato la Sognatrice. Voglio bene a tutti voi, ad uno ad uno. E poi: Tenetelo al sicuro. E finalmente aveva sorriso, e aveva chiuso gli occhi.

— Sole-che-splende-tra-le-nubi. — Satin sfiorò Denteazzurro, e lui, che si stava ripulendo con molto zelo, per rispetto a quel luogo, cercando invano di rimettersi in ordine il pelame, la guardò. — Tu torna indietro e tieni d’occhio questo giovane Konstantin-uomo. Gli hisa di Lassù sono una cosa; ma tu sei un cacciatore della Porta dell’Infinito, molto svelto e molto abile. Tu lo sorveglierai.

Denteazzurro lanciò un’occhiata incerta al Vecchio e a Lily.

— Bene — disse Lily. — Bene, tu hai mani forti. Vai.

Denteazzurro si pavoneggiò, un po’ diffidente, ma gli altri si ritrassero; Satin lo guardava con orgoglio, perché anche quei Vecchi riconoscevano il suo valore. Ed era la verità: il suo amico aveva buon senso. Sfiorò leggermente i Vecchi e Satin, in segno di saluto, e in silenzio si allontanò, passando in mezzo agli altri.

E la Sognatrice dormiva, sicura in mezzo a loro, anche se per la seconda volta gli umani avevano combattuto contro gli umani e il mondo di Lassù aveva tremato come una foglia trascinata dal fiume. Il Sole vegliava su di lei, e tutto intorno ardevano ancora le stelle.

CAPITOLO SESTO

PORTA DELL’INFINITO: 11/10/52; GIORNO LOCALE

I camion si muovevano lentamente attraverso l’area sgombra, le cupole afflosciate e deserte, i recinti vuoti, e soprattutto il silenzio dei compressori che suggerivano un abbandono totale. Base uno. Il primo dei campi dopo la base principale. Le porte delle camere di compensazione sbattevano al soffio di un vento leggero. La colonna si era sparpagliata, tutti guardavano quella desolazione, ed Emilio avvertì una fitta al cuore… lui che aveva contribuito a costruire la base. Non c’era nessuno. Si chiese quale fosse la loro esatta posizione lungo la strada e quali fossero le prospettive. — Gli hisa sorvegliano anche qui? — chiese a Freccia che era uno dei pochi hisa rimasti con la colonna, con lui e Miliko. — Noi occhi vedere — rispose Freccia; e non era la più chiara delle risposte.

— Signor Konstantin. — Un uomo si fece avanti dalla retroguardia e gli si affiancò. Era uno degli operai di Q. — Signor Konstantin, abbiamo bisogno di riposare.

— Dopo il campo — promise Emilio. — Non dobbiamo restare allo scoperto più del necessario, è chiaro? Dopo il campo.

L’uomo si fermò, lasciò che la colonna avanzasse e che il suo gruppo lo raggiungesse. Emilio batté stancamente la mano sulla spalla di Miliko e allungò il passo per affiancarsi ai due cingolati alla testa della colonna; ne superò uno nella radura, e raggiunse l’altro quando arrivarono all’altra strada; attirò l’attenzione del guidatore e gli segnalò di fermarsi dopo mezzo chilometro. Poi lasciò che la colonna proseguisse fino a quando sopraggiunse Miliko. Si rendeva conto che alcuni degli operai più vecchi e i bambini dovevano essere allo stremo delle forze. Camminare con i respiratori addosso era il massimo che potessero fare, dopo tante ore. Si fermavano continuamente per riposare, e le richieste di una sosta diventavano sempre più frequenti.

Cominciavano a restare indietro, sempre più distanziati. Emilio prese in disparte Miliko e restò a guardare la colonna che passava. — Faremo una sosta — disse a ogni gruppo. — Continuate finché troverete gli altri fermi più avanti. — Finalmente comparve la coda della colonna, una fila sgranata. I più vecchi, pazienti e ostinati, e un paio di suoi collaboratori che venivano per ultimi. — È rimasto qualcuno? — chiese, e quelli scossero la testa.

Poi, un suo collaboratore scese dalla strada tortuosa, dall’altro capo della colonna, correndo e urtando gli altri, mentre tutti gli rivolgevano domande. Emilio accelerò il passo, seguito da Miliko, e gli andò incontro.

— È arrivata una comunicazione — ansimò l’uomo, ed Emilio continuò a correre lungo il margine della strada tortuosa, fino a quando vide i camion e la gente ammassata intorno. Girò tra gli alberi e si fece largo tra la folla che si aprì per lasciarlo passare; si diresse verso il primo camion, dove c’era Jim Ernst, con il comunicatore e il generatore. Si arrampicò sul pianale, fra i bagagli, le attrezzature e i vecchi troppo malandati per poter camminare, raggiunse Ernst e restò in silenzio, mentre questi si girava verso di lui, con l’auricolare premuto contro l’orecchio, e con un’espressione che non prometteva nulla di buono.

— Morto — disse Ernst. — Suo padre… una rivolta nella stazione.

— Mia madre? Mio fratello?

— Non si sa niente. Non parlano di altri morti. Sono i militari. La Flotta di Mazian. Vogliono entrare in contatto con noi. Devo rispondere?

Sconvolto, Emilio trasse un profondo respiro, consapevole del silenzio della folla, degli sguardi, dei vecchi seduti sul camion che lo fissavano con occhi solenni come quelli delle statue hisa.

Qualcun altro salì sul pianale, lo raggiunse, e lo cinse con un braccio. Miliko. Apprezzò quel gesto… rabbrividì leggermente per lo sfinimento e il colpo subito. L’aveva previsto. Era soltanto una conferma.

— No — disse. — Non risponda. — Tra la folla si levò un mormorio; Emilio si voltò. — Non si hanno notizie di altri morti — gridò, per farli tacere. — Ernst, riferisca quello che ha ricevuto.

Ernst si alzò, e obbedì. Emilio strinse a sé Miliko. Lei aveva i genitori e la sorella, lassù, e cugini, zie e zii. I Dee potevano sopravvivere o morire senza che i dispacci ne prendessero nota; per i Dee c’era più speranza. Non erano nel mirino come i Konstantin.

La Flotta aveva preso il comando, e aveva decretato la legge marziale. Il settore Q… Ernst esitò e poi continuò, deciso, sotto gli sguardi fissi di tutti. Quelli del settore Q s’erano ribellati e avevano passato la linea di confine, causando distruzioni e vittime tra gli abitanti della stazione e tra le loro stesse file.

Uno dei vecchi residenti di Q scoppiò a piangere. Forse, pensò dolorosamente Emilio, forse anche loro avevano amici e parenti lassù.

Abbassò lo sguardo su quei volti tristi e solenni, i suoi collaboratori, gli operai, i Q, qualche hisa. Nessuno si muoveva. Nessuno diceva nulla. C’era soltanto il rumore del vento tra le fronde e il mormorio del fiume oltre gli alberi.