Gli altri si dispersero, correndo.
— Konstantin — disse di nuovo la voce metallica. Emilio guardò in quella direzone, e distinse le figure corazzate, in lontananza, al di là della folla. Comprese che avevano un telescopio e che lo vedevano benissimo. — Stiamo perdendo la pazienza.
Emilio indugiò per baciare ancora Miliko, e sentì Freccia, vicino a lui, che traduceva qualcosa agli anziani. Si avviò in direzione delle truppe. Altri passarono in mezzo agli hisa seduti a terra, e lo raggiunsero.
Non erano solo i dirigenti e gli operai residenti. C’erano anche uomini del settore Q, numerosi quanto i residenti. Emilio arrivò al limitare della folla e si accorse che Freccia era dietro di lui, insieme a un gruppo di maschi hisa, i più robusti.
— Non dovete venire — disse loro.
— Amico — disse Freccia. Gli uomini del settore Q non dissero nulla, ma non accennarono a tornare indietro.
— Grazie — disse lui.
Ormai erano in vista delle truppe, al limitare della folla. Erano dell’Africa: si riconoscevano le mostrine. — Konstantin — disse l’ufficiale attraverso l’altoparlante, — chi ha sabotato la base?
— L’ho ordinato io — gridò Emilio. — Come potevo sapere che non sarebbero arrivati i confederati? Si può riparare tutto. I pezzi li abbiamo noi. Immagino che li rivogliate indietro.
— Cosa sta succedendo qui, Konstantin?
— Un luogo sacro. Un santuario. Vedrà che sulle carte è indicato come Vietato. Ho radunato una squadra. Siamo pronti a tornare e a riparare i macchinari. Lasciamo i malati con gli hisa. Apriremo la base principale solo quando avremo la conferma che l’allarme lassù è stato revocato. Le altre basi sono sperimentali e non producono niente di utile. Inoltre, la mia squadra è sufficiente per occuparsi della base principale.
— Vuole dettare di nuovo le condizioni, Konstantin?
— Voi riportateci alla base principale e preparate l’elenco delle provviste; noi vi faremo avere quello che vi serve, in fretta e senza difficoltà. In questo modo saranno protetti i vostri e i nostri interessi. Gli hisa collaboreranno con noi, e avrete tutto quello che vi occorre.
Vi fu una pausa di silenzio, dall’altra parte. Per un momento nessuno si mosse.
— Prenda i pezzi mancanti delle macchine, signor Konstantin.
Emilio si voltò, agitando una mano. Uno dei suoi collaboratori, Haynes, tornò indietro, portando con sé quattro uomini.
— Se dimentica qualcosa, non si aspetti comprensione, signor Konstantin.
Emilio non si mosse. I suoi avevano sentito. Bastava. Rimase a guardare i dieci uomini armati di fucile; e più indietro stava il modulo d’atterraggio, munito di armi, alcune delle quali puntate in quella direzione, mentre altri militari erano in attesa accanto al portello aperto. Il silenzio perdurò. Forse adesso si aspettavano che chiedesse notizie e restasse sconvolto nell’apprendere la morte dei suoi familiari. Smaniava dal desiderio di sapere, ma non voleva chiedere. Non si mosse.
— Signor Konstantin, suo padre è morto, suo fratello disperso; sua madre è viva in un’area di sicurezza, in custodia protettiva. Il comandante Mazian le invia le sue condoglianze.
La rabbia gli avvampò il viso, la rabbia per quel tormento. Aveva chiesto autocontrollo a quelli che sarebbero andati con lui. Restò immobile, aspettando il ritorno di Haynes e degli altri.
— Mi ha sentito, signor Konstantin?
— I miei complimenti — disse Emilio, — al comandante Mazian e al comandante Porey.
Poi vi fu silenzio. Attesero. Finalmente tornarono Haynes e gli altri, carichi di materiale. — Freccia — disse sottovoce Emilio, guardando l’hisa fermo accanto ai suoi compagni. — Se venite, è meglio che raggiungiate la base a piedi. Gli uomini vanno con la nave. Ci sono uomini-con-fucili. Gli hisa possono andare a piedi.
— Andiamo svelti — promise Freccia.
— Venga avanti, signor Konstantin.
Emilio avanzò lentamente, staccandosi dagli altri. Le truppe si spostarono, per seguire il movimento con i fucili spianati. E dapprima lieve come una brezza, dalla moltitudine intorno alla colonna si levò un mormorio che diventò una cantilena.
Aumentò d’intensità, fino a turbinare nell’aria. Emilio si voltò a guardare, temendo la reazione delle truppe. Erano rimasti immobili, con i fucili imbracciati. Dovevano sentirsi in inferiorità numerica, adesso, nonostante le armi e le armature.
Il canto continuò, isterico: ora sembravano muoversi nel loro elemento naturale. Migliaia di hisa ondeggiavano al ritmo della cantilena, come avevano fatto sotto il cielo notturno.
Lui-viene-ancora. Lui-viene-ancora.
Lo udirono mentre si avvicinavano alla nave, alla stiva spalancata, mentre altri militari li circondavano. Era un suono che doveva scuotere anche il mondo di Lassù… qualcosa che i nuovi padroni non avrebbero gradito. Emilio avanzò, sospinto dalla forza di quel canto, pensando a Miliko, ai suoi familiari assassinati… quello che aveva perduto ormai era perduto, e lui andava incontro agli invasori senza alcuna difesa, come gli hisa.
LIBRO QUINTO
CAPITOLO PRIMO
Signy si abbandonò contro lo schienale della sedia, al tavolo del consiglio dell’Europe, chiuse gli occhi per un momento, e appoggiò i piedi sulla sedia accanto. La pace durò poco. Arrivò Tom Edger, insieme a Edo Porey, e presero posto al tavolo. Signy aprì un occhio, poi l’altro, rimanendo con le braccia conserte. Edger s’era seduto dietro di lei, Porey appena oltre la sedia su cui lei aveva appoggiato i piedi. Stancamente, lei accettò i convenevoli, posò i piedi sul pavimento, e si appoggiò al tavolo, fissando la parete di fronte. Non aveva voglia di parlare. Arrivò Keu e sedette, e dietro di lui venne Mika Kreshov, e prese posto fra lei e Porey. La Pacific di Sung era ancora in servizio di pattuglia, con gli sfortunati capitani dei ricognitori al suo comando in servizio continuo: attraccavano a turno per sostituire gli equipaggi. Non avrebbero abbassato la guardia, per quanto durasse l’assedio. Non si era più saputo nulla delle navi confederate che, come sapevano benissimo, erano ancora là fuori. C’era una nave, l’Hammer, un mercantile; erano sicuri che non fosse affatto un mercantile, e ronzava alla periferia del sistema trasmettendo propaganda… e sebbene fosse soltanto una nave da carico, era capace di spiccare il balzo molto prima che loro potessero mandare una nave a distanza di tiro. Un ricognitore, lo sapevano benissimo. Forse ce n’era un altro, lo Swan’s Eye, un mercantile come l’Hammer che non svolgeva attività di mercantile, e un altro di cui non conoscevano il nome, un fantasma che continuava ad apparire e a sparire sugli schermi, e che poteva essere una nave da guerra confederata… o più d’una. I mercantili rimasti nel sistema tenevano in funzione le miniere, stavano lontani da Pell e da quello che succedeva in periferia, e si occupavano dei loro affari come se non volessero ammettere la realtà, l’assenza degli altri mercantili, la flotta fantasma al limitare del sistema, le navi-spia che li tenevano d’occhio, e controllavano l’intera situazione.