Quindi, adesso, erano sicuramente in tre a sapere.
— Sarò sincera con voi — disse agli uomini e alle donne riuniti nella camera delle tute, sul ponte inferiore, l’unico posto della Norway dove poteva riunire le truppe e vederle bene, anche se ammassate spalla a spalla. — Non sono contenti di noi. Mazian non è soddisfatto del modo in cui comando questa nave. Sembra che nessuno di voi sia sull’elenco. Sembra che questo dia fastidio agli altri equipaggi, e corre voce che l’elenco sia stato manomesso, e che la soffiata sia stata dovuta alla rivalità del mercato nero fra la Norway e le altre navi… Silenzio! Quindi ho ricevuto ordini superiori. Avrete libere uscite secondo lo stesso programma e alle stesse condizioni delle altre truppe; e avrete anche i turni di servizio secondo lo stesso programma. Non intendo fare commenti, se non per complimentarmi con voi per l’ottimo lavoro e per dirvi altre due cose: mi sono sentita onorata a nome della Norway perché nessuno dei nostri è coinvolto in quella faccenda della sezione azzurra; in secondo luogo… vi chiedo di evitare le discussioni con le altre unità, quali che siano le voci che corrono e le provocazioni. Sembra che ci sia un certo rancore, e me ne assumo personalmente la responsabilità. Apparentemente… be’, lasciamo stare. Qualche domanda?
Un silenzio di tomba. Nessuno si mosse.
— Passate parola a quelli del turno che rientreranno prima che io abbia la possibilità di farlo personalmente. Le mie scuse, le mie scuse personali per ciò che viene apparentemente attribuito a torto da altri ai miei subordinati. Potete andare.
Nessuno si mosse, neppure questa volta. Signy girò sui tacchi, e si avviò verso l’ascensore, per tornare nel suo alloggio.
— Buttateli nel vuoto — borbottò una voce dietro di lei. Si fermò di colpo, senza voltarsi.
— Norway! — gridò qualcuno; e un altro: — Signy! — In un momento, tutta la nave echeggiò.
Signy si avviò di nuovo verso l’ascensore aperto, e trasse un profondo sospiro di soddisfazione. Sarebbe stata una gran bella cosa poterlo buttare nel vuoto, se Conrad Mazian credeva di poter tenere in pugno la Norway. Lei aveva incominciato, con le truppe; e anche Di Janz avrebbe avuto qualcosa da dir loro. Ciò che minacciava il morale della Norway minacciava delle vite, minacciava i riflessi che loro avevano impiegato anni a costruire.
E il suo orgoglio. Anche quello. Il volto le bruciava ancora quando entrò nell’ascensore e premette il pulsante. Le grida che echeggiavano nei corridoi erano un balsamo per il suo orgoglio che, lo ammetteva, era smisurato quanto quello di Mazian. Seguire gli ordini, certo; ma lei aveva calcolato l’effetto sulle truppe e sull’equipaggio; e nessuno poteva darle ordini circa quello che accadeva a bordo della Norway. Neppure Mazian.
CAPITOLO SECONDO
L’indigeno era di nuovo con lui, una piccola ombra bruna che non si notava nel traffico del nove. Josh si soffermò nel corridoio danneggiato dai tumulti, appoggiò il piede su un ripiano e finse di assestarsi lo stivale. L’indigeno gli toccò il braccio, si chinò arricciando il naso e lo sbirciò. — Konstantin-uomo lui bene?
— Sì — disse Josh. Era l’indigeno che si chiamava Denteazzurro e che veniva da loro quasi ogni giorno, e faceva servizio come messaggero tra loro e la madre di Damon. — Adesso abbiamo un buon nascondiglio. Niente più guai. Damon è al sicuro e l’uomo non dà più fastidio.
La robusta mano pelosa cercò la sua, e gli passò un oggetto. — Tu porti a Konstantin-uomo? Lei dato, dice avere bisogno.
L’indigeno sgattaiolò via in fretta in mezzo al traffico. Josh si raddrizzò, resistendo alla tentazione di guardarsi intorno e di guardare l’oggetto metallico fino a quando fu più lontano. Era una spilla di metallo, forse d’oro vero. L’intascò, pensando che per loro era un tesoro, si poteva vendere sul mercato, e non richiedeva nessuna tessera, e poteva servire a comprare qualcuno altrimenti incorruttibile… come il proprietario del loro alloggio attuale. L’oro serviva ad altri usi, oltre la gioielleria; i metalli rari valevano molte vite… al prezzo attuale. E si stava avvicinando il giorno in cui sarebbe stata necessaria una maggiore persuasione per tenere nascosto Damon. Una donna di gran buon senso, la madre di Damon. Aveva occhi e orecchi in tutti gli indigeni che si aggiravano innocui per i corridoi, e sapeva che erano alla disperazione… e ancora offriva un aiuto che Damon non avrebbe accettato, perché Damon, soprattutto, non voleva che il sistema degli indigeni venisse perquisito.
La rete si stava chiudendo intorno a loro. L’area dei corridoi utilizzabili si restringeva. Veniva installato un sistema nuovo, nuove tessere, e le stazioni sgombrate dalle truppe restavano libere. Quelli che si trovavano in una sezione quando le truppe la isolavano venivano rastrellati, e i loro nomi venivano controllati sugli elenchi dei ricercati; poi ricevevano nuove carte d’identità… quasi tutti. Alcuni sparivano, punto e basta. E il nuovo sistema colpiva sempre più duramente il mercato nero, via via che si avvicinava. Il valore dei documenti precipitava, perché sarebbero rimasti validi solo fino al momento in cui il cambiamento si sarebbe completato, e la gente cominciava già a diffidare di quelli vecchi. Di tanto in tanto un allarme silenzioso si diffondeva dal computer, e le truppe andavano in un certo luogo e cominciavano a cercare qualcuno… come se in maggioranza gli individui che vivevano nelle sezioni non ancora sicure usassero i propri documenti. Ma i militari facevano domande e controllavano le carte d’identità… tenevano le aree aperte alle loro irruzioni, e mantenevano nel terrore la popolazione; ciascuno sospettava degli altri, e questo tornava utile a Mazian.
Ma permetteva loro di sopravvivere. Era la loro attività, per lui e per Damon, quella di ripulire i documenti. Era questo, il loro valore nel sistema del mercato nero. Un acquirente voleva controllare il valore di una tessera rubata, voleva assicurarsi che non facesse suonare l’allarme nel computer, o voleva il numero di codice della banca per prelevare i crediti… i bar e i dormitori dei moli non badavano a controllare se le facce corrispondevano alle fotografie delle carte d’identità. E Damon aveva i numeri d’accesso per farlo. Anche Josh aveva imparato, e così lavoravano in società e nessuno dei due era costretto ad avventurarsi troppo spesso nei corridoi. Era diventata quasi una scienza… usare le gallerie degli indigeni e persino attraversare le barriere fra le sezioni — Denteazzurro aveva mostrato loro come si faceva — in modo che nessun terminal del computer si trovasse alle prese con una serie di richieste. Non avevano mai fatto scattare un allarme, anche se alcune delle carte scottavano pericolosamente. Erano abili; avevano un mestiere, creato dallo stesso Mazian, che serviva a dar loro vitto, alloggio e un nascondiglio, grazie alla protezione che il mercato nero poteva dare a operatori tanto preziosi. Al momento, Josh aveva in tasca parecchie tessere, e conosceva il valore di ciascuna secondo il livello di autorizzazione e l’accredito in banca. In molti casi, l’accredito era zero. Le famiglie dei dispersi si erano fatte furbe in fretta, e il computer aveva cominciato a onorare le loro richieste, e a congelare i conti… così si diceva, e probabilmente era vero. Ormai, molte tessere erano un guaio. Lui ne aveva alcune utilizzabili, nel mazzo, e una raccolta di numeri di codice. Le tessere che erano appartenute a persone senza famiglia o con conti indipendenti erano le sole che valevano ancora.
Ma si preannunciavano cambiamenti ancora più rapidi. Forse era la sua immaginazione, ma i corridoi, a tutti i livelli del verde, quel giorno sembravano più affollati del solito. Forse era così. Tutti quelli che non osavano sottoporsi all’identificazione e alle nuove tessere avevano continuato ad affollarsi in aree sempre più ristrette… verde e bianco restavano settori aperti, ma a lui personalmente il bianco cominciava a dare sui nervi, e preferiva non restarci più del necessario… non aveva sentito nessuna voce, ma c’era qualcosa in aria, qualcosa che annunciava che un altro settore stava per venire chiuso… ed era probabile che toccasse al bianco.