Sognare, lo chiamavano gli hisa. Era questo, che venivano a fare gli hisa.
Abbiate un po’ di buon senso, aveva detto Miliko, i primi giorni, quando erano più irrequieti, e parlavano di agire. Dobbiamo aspettare.
Aspettare cosa? aveva chiesto Cox, e quell’interrogativo aveva cominciato a ossessionare i sogni di Miliko.
Quella notte, dal pendio stavano scendendo gli hisa che erano stati chiamati… giorni prima. Quella notte Miliko, seduta insieme agli altri, li aveva guardati arrivare, con le mani in grembo; aveva visto le piccole figure lontane muoversi nel buio senza stelle della pianura, e aveva atteso, con lo stomaco contratto e un nodo alla gola. Hisa… per supplire al numero degli umani, in modo che coloro che scrutavano il campo dall’alto non notassero che c’era meno gente. Lei portava la pistola in una tasca impermeabile, indossava abiti pesanti, e rabbrividiva ancora per l’incertezza. Avrebbe dovuto prendersi cura degli hisa; era stata lasciata lì per quello; ma gli stessi hisa le avevano detto Vai. Tuo cuore soffre. Tuoi occhi freddi come loro.
Doveva andare, o li avrebbe comunque perduti. Non sarebbe più riuscita a trattenerli.
Avete paura di restare? aveva chiesto agli umani che sarebbero rimasti lì, i più taciturni, i vecchi, i bambini, gli uomini e le donne che non condividevano le idee di coloro che sedevano all’esterno del cerchio… famiglie, persone affezionate ai propri cari ed altri che forse avevano la mente più lucida. Provava rimorso per loro. Avrebbe dovuto proteggerli, e non poteva; non poteva neppure comandare quel gruppo là fuori… poteva solo prevenire la loro pazzia. Molti di quelli che sarebbero rimasti erano Q, e cioè profughi, che avevano visto tanti orrori, ed erano troppo stanchi, e che non avevano mai chiesto di finire laggiù. Immaginava che avessero paura. Gli hisa più anziani sapevano essere strani, e sebbene quelli di Pell fossero abituati agli hisa, erano ancora alieni, per quella gente. No, aveva detto una vecchia. Per la prima volta dopo Mariner non ho paura. Qui siamo al sicuro. Forse non dai fucili, ma dalla paura. E altri avevano annuito, fissandola con la pazienza delle antiche statue.
Gli hisa si avvicinarono… un piccolo gruppo che si accostò prima a lei e a Ito. Si alzarono, guardando gli altri che erano in attesa.
— Ci vediamo — disse Miliko, e quelli annuirono in silenzio.
Altri furono scelti; gli hisa indicavano quelli di loro e lentamente, nel buio, salirono la pista che s’inerpicava per il pendio, mentre altri scendevano a gruppetti. Quella notte se ne sarebbero andati centoventitré umani; e altrettanti hisa avrebbero preso il loro posto al campo. Miliko sperava che gli hisa capissero. Sembrava che avessero capito, finalmente: i loro occhi si erano illuminati di gioia al pensiero dello scherzo che avrebbero fatto agli umani che li spiavano dall’alto.
Si avviarono per il percorso più rapido; incontrarono altri hisa che scendevano e che rivolgevano loro allegri richiami… Miliko camminava ansimando, decisa a non fare soste, perché un hisa non si sarebbe fermato a riposare; e tutti avevano promesso di fare altrettanto. Miliko barcollò quando salirono l’ultimo tratto, al margine della foresta, aiutati dalle giovani femmine hisa che ronzavano intorno a loro… Una era Colei-che-cammina-lontano, e un’altra era Vento-tra-gli-alberi, e altre di cui Miliko non aveva inteso i nomi. Ne aveva battezzata una con l’appellativo di Svelta, e l’altra Bisbiglio, perché gli hisa tenevano molto ai nomi umani. Miliko aveva provato a pronunciare i nomi veri, per farle contente; ma non ci riusciva, e i suoi tentativi suscitavano l’allegria degli hisa.
Riposarono fino al sorgere del sole, tra gli alberi e le felci, sotto uno spuntone roccioso. All’alba ripartirono, lei, Ito ed Ernst e gli hisa che guidavano il gruppo così come avevano già fatto per altri nella foresta, altrove. Gli hisa si muovevano come se al mondo non esistessero nemici, scherzando, e una volta finsero un’imboscata che quasi li spaventò a morte… un’idea di Svelta. Miliko aggrottò la fronte, e anche gli altri umani fecero altrettanto, e gli hisa se ne accorsero e ammutolirono, perplessi. Miliko prese per mano Bisbiglio e cercò di spiegarsi una volta per tutte, ma Bisbiglio conosceva la lingua degli umani meno degli altri hisa con cui erano abituati a trattare.
— Senti. — Alla fine, disperata, prese un ramoscello, si accoccolò a terra e, scostando le foglie, piantò il ramoscello nel terreno. — Campo di Konstantin-uomo. — Tracciò una linea. — Fiume. — Non era probabile, dicevano gli esperti, che un simbolo disegnato penetrasse nell’immaginazione degli hisa; avevano una mentalità diversa, e le linee e i segni non avevano relazione con gli oggetti reali. — Noi facciamo cerchio, così, noi occhi guardano campo umano. Vedere Konstantin. Vedere Freccia.
Bisbiglio annuì con improvviso entusiasmo e cominciò a dondolarsi. Si voltò a indicare in direzione della pianura. — Loro… loro… loro — disse, e afferrò il ramoscello, puntandolo contro il cielo, nel gesto più minaccioso che Miliko avesse mai veduto compiere da un hisa. — Cattivi loro — disse Bisbiglio, e scagliò il fuscello contro il cielo, saltellando e battendo le mani, e poi si percosse il petto con decisione. — Io amica Freccia.
La compagna di Freccia. Miliko fissò l’espressione intensa della giovane femmina, comprendendo all’improvviso, e Bisbiglio le afferrò la mano e la strinse. Svelta le batté una mano sulle spalle. Vi fu un rapido confabulare tra tutti gli hisa, che parvero prendere una decisione. Si separarono, a due a due, e ognuno afferrò per la mano uno degli umani.
— Miliko — protestò Ito.
— Fidati. Lasciamoli fare. Gli hisa non si perdono; ci terranno in contatto e ci ricondurranno indietro quando sarà necessario. Ti manderò un messaggio. Contaci.
Gli hisa li esortavano ansiosamente a dividersi, a procedere per percorsi diversi: — Siate prudenti — disse Ernst, voltandosi prima di sparire tra gli alberi. Miliko, Ernst e Ito avevano le pistole: metà di tutte le armi che c’erano sulla Porta dell’Infinito, se si escludevano quelle dei militari. Le altre tre le avevano quelli che li avrebbero seguiti. Sei pistole e un po’ dell’esplosivo usato per rimuovere i tronconi degli alberi… era tutto il loro arsenale. Andate con prudenza, mai più di tre alla volta, aveva raccomandato di continuo agli hisa, cercando di fare in modo che i loro movimenti apparissero normali agli osservatori umani; e gli hisa li avevano portati via a tre per volta, secondo la loro strana logica; lei e Bisbiglio e Svelta, tre umani e sei hisa; e adesso tre gruppi di tre si disperdevano in fretta.
Non scherzavano più. Adesso Svelta e Bisbiglio facevano sul serio, sgattaiolavano tra gli arbusti, e si voltavano per ammonirla quando secondo loro faceva troppo rumore. Miliko non poteva rimediare al sibilo del respiratore, ma stava attenta a non spezzare i rami, imitando il passo leggero delle hisa, la loro agilità, come se… finalmente quel pensiero la colpì… come se ora fossero loro ad insegnarle qualcosa.