Josh camminava avanti e indietro, agitato. Se ne accorse, e vide che Ngo, dietro il banco, lo guardava aggrottando la fronte. Cercò di calmarsi e finalmente tornò indietro, si affacciò in cucina e chiese la cena al figlio di Ngo.
— Quanti? — chiese il ragazzo.
— Uno — disse Josh. Aveva bisogno di un pretesto per restare nella sala. Quando fosse arrivato Damon avrebbe potuto ordinare anche per lui. Il loro credito era buono, l’unica consolazione della loro esistenza. Il figlio di Ngo agitò un cucchiaio, indicandogli di uscire.
Andò al solito tavolo e sedette, con lo sguardo di nuovo rivolto verso la porta. Erano entrati due uomini, niente di straordinario. Ma anche loro si stavano guardando intorno. Poi si avviarono verso il retro. Josh chinò la testa e cercò di mimetizzarsi nell’ombra; dovevano essere del mercato nero, forse amici di Ngo… ma quella mossa lo mise in allarme. E infatti quelli si fermarono al suo tavolo, prendendo una sedia. Alzò gli occhi, pieno d’apprensione, mentre uno dei due sedeva e l’altro restava in piedi.
— Talley — disse l’uomo seduto. Era giovane, e aveva una faccia dura, con la cicatrice di un’ustione sulla mascella. — Lei è Talley, vero?
— Non conosco nessun Talley. Si sbaglia.
— Voglio che venga fuori un momento. Soltanto alla porta.
— Chi è lei?
— C’è una pistola puntata su di lei. Le consiglio di muoversi.
Era l’incubo atteso da tanto tempo. Josh pensò a quel che poteva fare, ma avrebbe finito per farsi sparare addosso. Molti uomini morivano nel settore verde, ogni giorno, e non c’era altra legge che quella delle truppe, e non voleva saperne neppure di loro. Questi non erano uomini di Mazian, erano qualcosa d’altro.
— Si muova.
Josh si alzò e si allontanò dal tavolo. Il secondo uomo gli prese il braccio e lo guidò alla porta, nella luce esterna, più forte.
— Guardi là — disse l’uomo che stava dietro di lui. — Guardi il portone di fronte. Mi dica se ho trovato l’uomo sbagliato. — Josh guardò. Era l’uomo che aveva visto prima, mentre lo spiava. La vista si annebbiò e la nausea gli serrò le viscere, in un riflesso condizionato.
Conosceva quell’uomo. Il nome ora non gli veniva in mente, ma lo conosceva. Il suo accompagnatore lo prese per il gomito e lo guidò in quella direzione, attraverso il corridoio; e mentre l’altro entrava, lo condusse nel locale semibuio di Mascari, nell’atmosfera pregna di alcool e di sudore, e nel frastuono della musica. Alcuni di quelli che stavano al banco girarono la testa, e potevano vederlo meglio di quanto i suoi occhi non abituati potessero vedere le loro facce, per il momento; e fu preso dal panico, non solo all’idea di essere stato riconosciuto, ma al pensiero che in quel luogo ci fosse qualcosa che lui riconosceva, quando non avrebbe dovuto sapere nulla di Pell, dopo aver attraversato l’abisso.
Venne spinto nell’angolo sinistro della stanza, verso uno dei tavoli appartati. Là c’erano due uomini: uno di mezza età, che non gli incuteva un senso d’allarme… e l’altro… l’altro…
Si sentì mancare, per effetto del condizionamento. Cercò a tentoni lo schienale d’una sedia di plastica e si appoggiò.
— Sapevo che eri tu — disse l’uomo. — Josh? Sei tu, non è vero?
— Gabriel. — Il nome eruppe dal passato, scardinando strutture ben consolidate. Barcollò contro la sedia, rivide la sua nave… la sua nave e i suoi compagni… e quell’uomo… quell’uomo tra loro…
— Jessad — lo corresse Gabriel. Gli prese il braccio e lo guardò in modo strano. — Josh, come sei finito qui?
— Mazian. — Lo stavano conducendo nel separé chiuso da tende, un luogo isolato, una trappola. Fece per voltarsi, e vide che gli altri sbarravano l’uscita, e quando tornò a guardare nell’ombra riuscì appena a distinguere il viso di Gabriel… come era apparso sulla nave, quando si erano separati… quando lui aveva condotto Gabriel da Blass, sulla Hammer, nei pressi di Mariner. Gabriel gli teneva la mano sulla spalla, gentilmente, lo spinse su una sedia accanto al tavolino rotondo. Gabriel gli sedette di fronte e si sporse verso di lui.
— Qui il mio nome è Jessad. Questi signori, il signor Coledy e il signor Kressich. Il signor Kressich era consigliere della stazione, quando c’era un consiglio. Scusateci, signori. Voglio parlare con il mio amico. Attendete fuori. Assicuratevi che non ci disturbino.
Gli altri se ne andarono, e rimasero soli nella luce fioca di una lampada schermata. Josh non voleva restare solo con quell’uomo. Ma era la curiosità a farlo rimanere seduto, più della paura della pistola di Coledy, là fuori, una curiosità che lasciava presagire la sofferenza, come il dolore per una ferita.
— Josh? — disse Gabriel-Jessad. — Siamo amici, non è vero?
Poteva essere un trucco, poteva essere la verità. Josh scrollò la testa, rassegnato. — Lavaggio del cervello. La mia memoria…
Il volto di Gabriel si contrasse, come per l’angoscia. Tese la mano e gli strinse il braccio. — Josh… eri venuto, no? Avevi cercato di presentarti all’appuntamento. L’Hammer mi ha portato via, quando è andata male. Ma questo non lo sapevi, vero? Sei andato con la Kite e ti hanno preso. Lavaggio del cervello… Josh, dove sono gli altri? Dove sono, Kitha e…
Lui scrollò la testa: dentro era freddo, vuoto. — Morti. Non ricordo chiaramente. È tutto cancellato. — Per un momento fu sul punto di vomitare, liberò la mano e la premette sulla bocca, appoggiandosi al tavolo, e cercando di dominarsi.
— Ti ho visto nel corridoio — disse Gabriel. — Non credevo ai miei occhi. Ma ho cominciato a far domande. Ngo non ha voluto dirmi con chi eri… ma è un altro che stanno ricercando, vero? Tu hai amici, qui. Un amico. No? Non è uno di noi… è qualcun altro. No?
Josh non riusciva a pensare. Le vecchie amicizie e le nuove si combattevano. Aveva le viscere annodate dalle contraddizioni. Paura per Pell… questa gliel’avevano instillata. E annientare le stazioni… quella era la funzione di Gabriel. Gabriel era lì, come era stato a Mariner…
Elene e l’Estelle. L’Estelle era stata distrutta a Mariner.
— Non è così?
Lui trasalì, batté le palpebre.
— Ho bisogno di te — sibilò Gabriel. — Del tuo aiuto. Della tua abilità…
— Io non ero niente — disse Josh. Il sospetto che l’altro gli mentisse divenne ancora più forte. Quell’uomo lo conosceva e sosteneva certe cose che non erano vere, non erano mai state vere. — Non so di cosa stai parlando.
— Lavoravamo insieme, Josh.
— Io ero un operatore militare, sulla nave-sonda…
— I sottonastri. — Gabriel gli afferrò il polso, lo scosse con violenza. — Tu sei Joshua Talley, servizi speciali. Programma intensivo. Sei uscito dai laboratori di Cyteen…
— Avevo una madre, un padre. Vivevo su Cyteen con mia zia. E lei si chiamava…
— Dai laboratori, Josh. Ti hanno addestrato a tutti i livelli. Ti hanno fatto assorbire nastri falsi, una finzione… menzogne in superficie, menzogne che tu potevi raccontare per convincerli, se era necessario. Ed è affiorato alla superficie, no? Ha cancellato il resto.
— Avevo una famiglia. Le volevo bene…
— Lavoravi con me, Josh. Siamo usciti dallo stesso programma. Siamo stati costruiti per lo stesso lavoro. Tu sei il mio rincalzo, abbiamo lavorato insieme, stazione dopo stazione, ricognizione e intervento.