— Fermi tutti! — ordinò uno di loro.
Jessad estrasse fulmineamente la pistola. Un fucile sparò, e ci fu un odore di bruciato, mentre Jessad crollava sul pavimento contorcendosi. Damon fissò i militari e i fucili spianati, stordito dall’orrore. Josh, al suo fianco, non si mosse.
Un militare trascinò dentro un altro uomo, tenendolo per il bavero… era Ngo, che evitò lo sguardo di Damon. Sembrava che stesse per vomitare.
— Sono questi? — chiese il militare.
Ngo annuì. — Mi hanno costretto a nasconderli. Mi hanno minacciato. Hanno minacciato la mia famiglia. Vogliamo andare nel settore bianco. Tutti.
— Quello chi è? — Il soldato indicò Kressich.
— Non lo so — disse Ngo. — Non lo conosco. Non conosco gli altri.
— Portateli fuori — disse l’ufficiale. — Perquisiteli. Anche i morti.
Era finita. Centinaia di pensieri turbinarono nella mente di Damon… cercare di estrarre la pistola e sparare… fuggire, fin dove poteva arrivare prima che lo abbattessero.
E Josh… e sua madre e suo fratello…
Lo afferrarono, e lo girarono contro la parete facendogli allargare la gambe e accanto a lui c’erano Josh e Kressich. Gli frugarono le tasche, presero i documenti e la pistola, che da sola bastava a giustificare un’immediata esecuzione.
Lo fecero voltare di nuovo, con le spalle alla parete e lo guardarono più attentamente.
— Lei è Konstantin?
Damon non rispose. Uno lo colpì al ventre, e Damon gli si avventò addosso con una spallata, mandandolo a sbattere contro un tavolino. Uno stivale lo colpì alla schiena, mentre gli altri cercavano di ribellarsi. Si liberò dell’uomo che aveva stordito, e tentò di rialzarsi aggrappandosi al bordo del tavolo, quando uno sparo gli sfiorò la spalla, andando a colpire Kressich allo stomaco.
Il calcio di un fucile lo stordì. Le ginocchia cedettero, rifiutando di sostenerlo; un secondo colpo, sul braccio teso sul tavolo. Damon cadde, piegato in due, mentre un calcio lo centrava, e restò raggomitolato fino a quando perse quasi i sensi. Poi lo sollevarono, in due. — Josh — disse Damon, stordito. — Josh?
Due di loro sostenevano Josh, e cercavano di farlo rinvenire. Aveva la testa ciondoloni, e sanguinava dalla tempia. Quanto a Kressich, non sembravano troppo preoccupati; si muoveva ancora, e perdeva molto sangue. Lo avrebbero lasciato lì.
Damon si guardò intorno mentre li portavano nella sala. Ngo era fuggito, o l’avevano preso. I clienti erano scappati via. C’erano soltanto alcuni cadaveri e qualche militare con il fucile imbracciato.
I soldati trascinarono nel corridoio Damon e Josh. Alcuni stavano davanti al locale di Ngo, a guardare, e Damon girò la faccia dall’altra parte. Si vergognava di quell’esibizione pubblica del suo arresto.
Pensava che li avrebbero portati alle navi, dall’altra parte dei moli. Poi svoltarono all’angolo e si avviarono verso sinistra. C’era un bar che i militari avevano requisito, e che i civili evitavano.
Musica, droghe, liquori… tutto quello che il settore civile poteva offrire. Damon guardò, stordito, mentre li rimorchiavano dentro, in una nube di fumo e nella musica assordante. Incredibilmente c’era una scrivania: una concessione che aveva una parvenza di ufficialità. I militari li spinsero avanti e un uomo con un bicchiere in mano sedette e li squadrò. — Abbiamo fatto un colpo grosso — disse il capo del gruppo che li aveva arrestati. — La Flotta sta cercando questi due. Questo è Konstantin. E questo è un confederato. Dicono che sia Adattato… ma è stato adattato su Pell.
— Confederato. — Il sergente rivolse un sogghigno a Josh. — E come fanno quelli come lei ad arrivare a Pell? Ha una bella storia da raccontarmi, confederato?
Josh non disse nulla.
— Ce l’ho io — disse dalla porta una voce aspra che fece tremare le pareti. — Lui è proprietà della Norway.
Le risate e le conversazioni s’interruppero, e solo la musica continuò. I nuovi arrivati, che erano corazzati a differenza di gran parte dei presenti, entrarono con movimenti bruschi che sconcertarono gli altri. — Norway — borbottò qualcuno. — Fuori di qui, bastardi della Norway.
— Come ti chiami? — muggì il nuovo venuto.
— Altrimenti ci sparate addosso? — gridò un altro.
L’uomo tarchiato dalla voce tonante premette il pulsante del suo comunicatore e disse qualcosa che fu sommerso dalla musica, si voltò e fece un cenno ai dodici militari che lo accompagnavano, e quelli subito si sparpagliarono. Poi guardò gli altri, girando gli occhi lentamente. — Nessuno di voi è in condizioni di occuparsi di niente. Rimettete in ordine il locale. Se qui c’è qualcuno dei nostri, lo spello vivo. C’è?
— Provi più avanti — gridò qualcuno. — Questo è territorio dell’Australia. La Norway non ha diritto di farci rapporto.
— Consegnate i prigionieri — disse l’uomo basso. Nessuno si mosse. I soldati della Norway spianarono i fucili e quelli dell’Australia lanciarono grida indignate. Due dei dodici si avvicinarono a Damon e a Josh, li afferrarono, strappandoli a quello che li aveva in custodia, e poi li trascinarono verso la porta. Josh non oppose resistenza. E neppure Damon. Finché erano insieme… in fondo non era rimasto altro.
— Portateli fuori! — tuonò l’ometto rivolto ai suoi. Vennero spinti nel corridoio; due militari rimasero con il loro ufficiale nel bar. Solo mentre percorrevano il corridoio del nove incontrarono altre truppe: erano della Norway.
— Andate al locale dell’Australia — gridò uno, una voce di donna. — McCarthy. Di li tiene sotto la minaccia dei fucili. Ha bisogno di rinforzi, subito.
I militari corsero via. Quattro di quelli che li scortavano proseguirono, conducendoli verso la porta d’accesso del molo azzurro, dove c’erano le guardie.
— Fateci passare — ordinò l’ufficiale. — Là indietro c’è una situazione di potenziale disordine.
Le guardie erano dell’Australia: si riconoscevano dalle mostrine. Con riluttanza, aprirono la porta d’emergenza e li lasciarono passare.
Arrivarono al molo azzurro, dove la Norway era attraccata accanto all’India, all’Australia e all’Europe. Damon cominciava a sentire lo shoc delle lesioni, se non proprio il dolore. Lì c’erano soltanto militari, un viavai di truppe, e squadre in uniforme da lavoro che caricavano provviste.
Il tubo d’accesso della Norway stava davanti a loro. Salirono la rampa, e passarono nella camera di compensazione… C’erano altri militari con le mostrine della Norway.
— Talley — disse uno con un sogghigno di sorpresa. — Bentornato, Talley.
Josh scattò. Riuscì ad arrivare a metà del tubo di accesso, prima che lo riprendessero.
Signy alzò gli occhi dalla scrivania, e abbassò per un attimo il volume del comunicatore che trasmetteva i rapporti delle sue truppe sui moli e altrove. Guardò con un sorriso ironico le guardie e Talley. Lui era malconcio… con la barba lunga, sporco, insanguinato. Aveva un livido sulla mascella.
— Sei venuto a trovarmi? — gli chiese. — Non avevo previsto che avresti riprovato.
— Damon Konstantin… lo hanno portato a bordo. I militari l’hanno preso. Pensavo che avresti voluto parlare con lui.
Signy lo fissò, perplessa. — Vuoi consegnarcelo, eh?