Konstantin non rispose, ma sembrava non avesse voglia di litigare. Signy congedò i militari con un gesto. La porta si chiuse e Konstantin restò lì a fissare il vuoto.
— Dov’è Josh Talley? — chiese finalmente.
— A bordo, da qualche parte. C’è un bicchiere in quell’armadietto. Vuole bere?
— Voglio andarmene di qui — disse lui. — Voglio che questa stazione sia riconsegnata alle autorità legittime. Voglio che mi renda conto dei cittadini che avete assassinato.
— Oh — disse lei. Rise, brevemente, e squadrò di nuovo il giovane Konstantin. Sorrise, acida, e premette con il piede sul letto, scostando un po’ la sedia. Indicò il letto, perché lui sedesse. — Lei vuole — disse. — Si sieda. Si sieda, signor Konstantin.
Lui obbedì. La fissò con gli stessi occhi cupi e furiosi di suo padre.
— In realtà non si fa molte illusioni — gli chiese. — Non è vero?
— Nessuna illusione.
Signy annuì, dispiaciuta. Bel viso. Giovane. Ben fatto. Parlava bene. Era molto simile a Josh. In quella guerra c’erano sprechi che la nauseavano. Giovani come quello trasformati in cadaveri. Se fosse stato un altro… ma si chiamava Konstantin, e questo lo condannava. Pell avrebbe reagito a quel nome; perciò doveva morire. — Vuol bere?
Lui non rifiutò. Signy gli passò il suo bicchiere e tenne la bottiglia.
— Jon Lukas è il vostro fantoccio — disse Konstantin. — È vero?
Era inutile tormentarlo dicendogli la verità. Signy annuì. — Prende ordini.
— E adesso muoverete contro il settore verde?
Lei annui di nuovo.
— Lasci che gli parli al comunicatore. Lasci che cerchi di farli ragionare.
— Per salvarsi la vita? O per rimpiazzare Lukas? È inutile.
— Per salvare la loro vita.
Signy lo fissò per un lungo momento.
— Lei non uscirà allo scoperto, signor Konstantin. Dovrà scomparire senza chiasso. Credo che lo sappia già. — Signy aveva una pistola al fianco; vi appoggiò la mano. Non pensava che lui avrebbe tentato qualcosa, ma non si poteva mai sapere. — Diciamo che, se riuscirò a trovare due individui, risparmierò la sezione. James Muller e Judith Crowell. Dove sono? Se potessi individuarli subito… questo salverebbe molte vite.
— Non lo so.
— Non li conosce?
— Non so dove siano. Non credo siano ancora vivi, se erano segnalati nel settore verde. Conosco troppo bene la sezione: li avrei trovati, se fossero là.
— Mi dispiace — disse lei. — Farò quello che posso, per quanto è ragionevole. Glielo prometto. Lei è un uomo civile, signor Konstantin. Una razza scomparsa. Se potessi trovare un modo per tirarla fuori lo farei, ma ho le mani legate.
Konstantin non disse nulla. Signy continuò a tenerlo d’occhio, e bevve un sorso dalla bottiglia. Lui bevve dal bicchiere.
— E il resto della mia famiglia? — chiese finalmente.
Lei fece una smorfia. — Sani e salvi, signor Konstantin. Sua madre fa tutto ciò che le chiediamo e suo fratello è innocuo, là dove si trova. Le provviste arrivano regolarmente e non abbiamo nulla da ridire sulla sua presenza laggiù. È anche lui una persona civile, che per fortuna non ha accesso a folle numerose e a sistemi sofisticati dove sono attraccate le nostre navi.
Le labbra di Konstantin tremarono. Finì il liquore. Signy gliene versò ancora, accostandosi apposta. Era un gioco d’azzardo. L’uno contro l’altro. Ma era il momento di mettere le carte in tavola. Se lui fosse sopravvissuto fino all’indomani avrebbe saputo troppo di quello che doveva accadere, e sarebbe stata una crudeltà. Signy aveva in bocca un sapore amaro che il brandy non cancellava. Gli porse la bottiglia. — La prenda — disse. — Ora la lascerò tornare al suo alloggio. I miei omaggi, signor Konstantin.
Altri uomini avrebbero protestato, gridato e implorato; altri avrebbero cercato di prenderla per il collo, un modo di affrettare la conclusione. Lui si alzò e andò alla porta senza la bottiglia, e si voltò quando la porta non si aprì.
Signy chiamò l’ufficiale di servizio. — Venite a prendere il prigioniero. — Arrivò il segnale di ricevuto. Poi lei aggiunse: — E dacché ci siete, portate qui Josh Talley.
Negli occhi di Konstantin si accese una luce di panico. — Lo so — disse Signy. — Ha intenzione di uccidermi. Ma adesso ha subìto qualche cambiamento, no?
— Si ricorda di lei.
Signy sporse le labbra, e sorrise senza averne l’intenzione. — Vive per ricordare. È così?
— Mi faccia parlare con Mazian.
— Sarebbe inutile. E non accetterebbe di ascoltarla. Non sa, Damon Konstantin, che è proprio Mazian la causa dei suoi guai? Gli ordini li ho avuti da lui.
— Un tempo la Flotta apparteneva all’Anonima. Era nostra. Credevamo in voi. Le stazioni, tutte, credevano in voi, se non nell’Anonima. Che cosa è successo?
Signy abbassò involontariamente gli occhi, e trovò difficile rialzarli per incontrare lo sguardo ignaro del giovane.
— Qualcuno è impazzito — disse Konstantin.
È possibile, pensò lei. Si appoggiò allo schienale, senza trovare nulla da dire.
— A Pell non è come nelle altre stazioni — continuò lui. — Pell è stata sempre diversa. Ascolti il mio consiglio, almeno. Lasci a mio fratello la direzione permanente della Porta dell’Infinito. Otterrete di più dagli indigeni, se procederete con cautela. Lasciate che li guidi lui. Non è facile capirli, ma anche loro non ci capiscono facilmente. Per lui lavoreranno. Lasciate che facciano le cose a modo loro, e lavoreranno dieci volte di più. Vi daranno tutto quello che chiedete, se domanderete anziché prendere.
— Suo fratello resterà al suo posto — disse Signy.
La spia luminosa sulla porta lampeggiò. Signy premette il pulsante per aprirla. Avevano portato Josh Talley. Lei attese, osservando… uno scambio di occhiate, un tentativo di fare domande senza parlare. — Tutto bene? — chiese Josh. Konstantin annuì.
— Il signor Konstantin se ne va — disse Signy. — Vieni avanti, Josh. Vieni avanti.
Lui obbedì, voltandosi per lanciare un’occhiata ansiosa a Konstantin. La porta si chiuse. Signy riprese la bottiglia, e riempì il bicchiere che Konstantin aveva lasciato sulla scrivania.
Anche Josh era più pulito. Era magro. Le guance incavate. Gli occhi… luccicanti.
— Vuoi sederti? — chiese lei. Non sapeva cosa aspettarsi, da lui. Era sempre stato docile, in tutto. Adesso lo osservava, attendendosi un gesto disperato ricordando quella volta che era andato a cercarla nella stazione, gridando davanti alla porta. Josh sedette, tranquillo. — Ai vecchi tempi — disse Signy, e bevve. — È un uomo rispettabile, Damon Konstantin.
— Sì — disse Josh.
— Vuoi ancora uccidermi?
— Ce ne sono altri peggiori di te.
Lei sorrise cupamente. Poi il sorriso svanì. — Conosci due che si chiamano Muller e Crowell? Conosci qualcuno che si chiama così?
— I nomi non mi dicono niente.
— Conosci qualcuno, su Pell, che sappia usare il computer della stazione?
— No.
— Questa è l’unica domanda ufficiale. Mi dispiace che tu non lo sappia. — Signy sorseggiò il liquore. — Ti comporti bene nell’interesse di Konstantin. No?
Nessuna risposta. Ma era la verità. Signy lo guardò negli occhi e ne fu certa.
— Volevo farti questa domanda — disse lei. — È tutto.
— Chi sono… quelli che cerchi? Perché? Che cos’hanno fatto?
Domande. Josh non aveva mai fatto domande. — L’Adattamento ti ha fatto bene — disse Signy. — Cosa stavi combinando quando quelli dell’Australia ti hanno preso?