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Silenzio.

— Sono morti, Josh. Ha importanza, ormai?

Gli occhi di Josh si annebbiarono, la vecchia espressione assente… Bellissimo, pensò Signy, come aveva pensato mille volte. Era un altro che non si poteva risparmiare. Aveva pensato di poterlo fare, aveva fatto i conti senza la sua lucidità. Quando Konstantin fosse morto, lui sarebbe diventato molto pericoloso. Domani, pensò. Doveva essere fatto l’indomani.

— Sono un confederato — disse Josh. — Non dei servizi regolari… non quelli che mostravano i documenti. Servizi speciali. Mi hai portato qui tu stessa. E c’era un altro che è riuscito ad arrivare fin qui… com’era arrivato a Mariner. Si chiamava Gabriel. E ha rovinato Pell. Lui ha agito contro di voi, non i Konstantin. Lui e i suoi complici hanno assassinato i familiari di Damon, gli hanno fatto perdere sua moglie… non so come sia acccaduto, esattamente. Non sono stato io. Ma qualunque cosa abbiate pensato, l’uomo che avete messo a capo della stazione, adesso… è stato indotto a uccidere da Gabriel. Lo so perché conosco la sua tattica. Hai arrestato l’uomo sbagliato, Mallory. Il vostro uomo, Lukas, era al servizio di Gabriel, prima di passare dalla vostra parte.

I fumi dell’alcool abbandonarono all’improvviso la mente di Signy. Con il bicchiere in mano, fissò gli occhi chiari di Josh e si sentì mancare il respiro. — Questo Gabriel… dov’è?

— È morto. Era lui il capo. E un certo Coledy; un altro, Kressich. E Gabriel. La stazione lo conosceva come Jessad. Sono stati uccisi dai militari che ci hanno presi. Damon non sapeva… non sapeva niente. Credi che sarebbe venuto lì a incontrarsi con loro se avesse saputo che avevano ucciso suo padre?

— Ma l’hai portato da lui.

— Sì, l’ho portato da lui.

— Sapeva di te?

— No.

Signy trasse un profondo respiro. — Credi che faccia qualche differenza, per noi, il modo in cui Lukas è arrivato dov’è arrivato? Adesso è nostro.

— Te lo dico perché tu sappia che è finita. Non c’è altro da cercare. Avete vinto. Non ha più senso continuare a uccidere.

— Dovrei crederlo sulla parola di un confederato?

Josh non rispose. La sua mente non era persa nel nulla. I suoi occhi erano vivi, addolorati.

— Hai messo in piedi una bella commedia in poco tempo, Josh.

— Non è una commedia. Sono nato per fare quello che faccio. Tutto il mio passato è scritto su nastro. Non avevo niente quando hanno finito con me, a Russell. Sono completamente vuoto, Mallory. Niente di reale. Niente dentro. Appartengo alla Confederazione perché il mio cervello è stato programmato così. Non ho nessun legame.

— Tranne uno, forse.

— Damon — disse lui.

Signy rifletté, e vuotò il bicchiere. Le bruciavano gli occhi. — E allora perché lo hai immischiato con quel tale Gabriel?

— Credevo di aver trovato un modo per lasciare Pell. Prendere una navetta e raggiungere la Porta dell’Infinito. Ho una proposta da farti.

— Credo di conoscerla.

— Tu puoi far salire un uomo su una navetta in partenza… facilmente. Manda via almeno lui.

— Come? Non vuoi che riprenda il comando di Pell?

— L’hai detto tu stessa. Lukas apre bocca e voi gli dettate le parole. Non volete altro. Non avete mai voluto altro. Fallo andar via di qui. Salvalo. Che cosa ti costa?

Josh sapeva cosa sarebbe successo, almeno per quel che riguardava Konstantin. Signy lo fissò, poi riabbassò lo sguardo sul bicchiere. — In cambio della tua gratitudine? Pensi che io abbia il cuore tenero, vero? Bello scambio. Un condizionamento profondo può operare su di te?

— Alla fine, credo di sì. Che cosa avevi in mente?

Signy premette un pulsante. — Portatelo via.

— Mallory… — disse Josh.

— Penserò alla tua proposta — gli disse lei. — Ci penserò.

— Posso parlare con lui?

Signy rifletté. Poi annuì. — Sta bene. Gli dirai come stavano le cose?

— No — disse Josh con un filo di voce. — Non voglio che lo sappia. Nelle piccole cose, Mallory, mi fido di te.

— E mi odii.

Lui si alzò, e scrollò la testa, guardandola. La spia luminosa sulla porta lampeggiò.

— Fuori — disse Signy. E poi, al militare che era apparso sulla soglia: — Mettetelo con il suo amico. Concedete loro tutto quello che chiedono, entro limiti ragionevoli.

Josh uscì con le guardie. Le porte si chiusero. Signy appoggiò i piedi sul letto.

Adesso era convinta che un Konstantin potesse tornare utile, in una fase successiva della guerra; se la Confederazione avesse abboccato all’amo; se la Confederazione avesse preso Pell e l’avesse rimessa in funzione. Allora sarebbe stato utile mostrare un Konstantin, nelle loro mani… se fosse stato come Lukas. Ma non lo era. Non serviva a niente. Mazian non avrebbe mai accettato. La navetta era una via d’uscita. E nessuno avrebbe saputo nulla… Se la Flotta se ne fosse andata presto. Ci sarebbe voluto parecchio tempo prima che la Confederazione stanasse il giovane Konstantin sul pianeta. Abbastanza tempo perché il resto del piano si realizzasse, e Pell cadesse, privando la Confederazione di una base, o riuscisse a sopravvivere, causando difficoltà organizzative ai confederati. L’idea di Josh poteva funzionare. Forse. Signy si versò ancora da bere e strinse convulsamente il bicchiere.

Un agente confederato. Lei era imbarazzata. Indignata. Ironicamente divertita. E sapeva anche essere umile.

Ed era questo che erano diventate le Stelle Sperdute… una Flotta rinnegata e un mondo che generava esseri come Josh.

Che potevano fare quello che faceva Josh. Quello che aveva cercato di fare Gabriel Jessad.

Quello che loro erano pronti a fare.

Incrociò le braccia, fissando il piano della scrivania. Finalmente sorseggiò il liquore e premette i tasti del computer. Assegnazione delle truppe?

Arrivarono gli elenchi e le ubicazioni. Erano tutti sulla nave, eccettuati quei dodici che sorvegliavano l’accesso della Norway. Chiamò l’ufficiale di servizio.

Ben, esca e porti dentro i dodici che stanno sul molo. Non usi il comunicatore. Mi riferisca attraverso il computer, quando l’avrà fatto.

Un nuovo codice. Assegnazione dell’equipaggio?

La risposta arrivò. L’equipaggio d’altergiorno era in servizio. Graff era ancora con Di.

Signy inserì il comunicatore e cominciò da Graff. — Venga in sala comando — disse. — Lasci un medico con Di. Di, stia buono.

Cominciò a chiamare gli altri attraverso il computer; era arrivata a Tiho, l’operatore militare, quando l’ufficiale di servizio riferì che la missione era compiuta. Tiho segnalò messaggio ricevuto. Signy bevve un ultimo sorso. Adesso aveva le idee più chiare. Almeno, il pavimento non ondeggiava.

Infilò la giacca, uscì nel corridoio ed entrò in sala comando. Si guardò intorno mentre gli equipaggi d’altergiorno e di primogiorno, sbalorditi, si voltavano verso di lei.

— Aprite la comunicazione interna — disse Signy. — A tutte le postazioni e gli alloggi, tutti gli altoparlanti attivati.

Il tecnico del comunicatore azionò l’interruttore generale.

— Ci hanno cacciati dai moli — disse Signy, agganciando un microfono al colletto. Andò alla sua postazione, accanto a Graff, al centro delle corsie lievemente incurvate. — Tutti a bordo. Equipaggio, truppe, tutti a bordo. Primogiorno alle postazioni, altergiorno di riserva. Ai posti di combattimento. Ce ne andiamo.

Vi fu un attimo di sbalordimento. Nessuno si mosse. Poi scattarono tutti, all’improvviso, spostando i sedili, azionando i comandi, mentre i tecnici correvano alle postazioni laterali che erano rimaste chiuse durante l’attracco. I quadri ronzarono, inclinandosi, pronti all’uso. In alto, le luci rosse lampeggiarono, e la sirena cominciò a suonare.