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— Non salpiamo regolarmente: distacco netto. — Signy si buttò all’indietro sui cuscini, cercò a tentoni le cinture di sicurezza. Avrebbe preso personalmente il timone, ma in quel momento non si fidava dei suoi riflessi. — Signor Graff, porti la Norway via da Pell, e diriga… — Aspirò una boccata d’aria. — Non diriga da nessuna parte. La guiderò io.

— Istruzioni — chiese calmissimo Graff. — Se ci sparano addosso, dobbiamo sparare anche noi?

— Naturalmente, signor Graff. Ci porti via.

Attraverso il comunicatore interno cominciarono ad affluire le domande; gli ufficiali delle truppe volevano sapere che cos’era successo. I ricognitori erano in servizio di pattuglia. Era impossibile richiamarli per consultazioni. Anzi, era impossibile richiamarli comunque. Graff stava effettuando i controlli finali, impartiva la sequenza degli ordini, controllava le posizioni assicurandosi che il computer avesse ricevuto tutti i dati. Sugli schermi apparve la rotta che avrebbero dovuto seguire, una discesa verso Pell fino a sfiorare l’atmosfera, una virata fulminea intorno al pianeta, e via.

— Eseguite — disse Graff.

Si udì un tonfo: il portello della camera di compensazione, il decollo d’emergenza; e un sussulto che li strappò alla lenta rotazione di Pell. Salirono verso lo zenith e i motori principali si accesero, portandoli sopra la stazione. Qualcosa urtò lo scafo e scivolò via; un cavo staccato. Continuarono ad accelerare, mentre l’emisfero buio della Porta dell’Infinito incombeva davanti a loro.

— Mallory! — urlò una voce sulla linea interna della Flotta.

Era altergiorno. I comandanti erano a letto. Gli equipaggi e le truppe erano sparsi sul molo, e loro avevano spezzato i cavi di collegamento…

Signy strinse i denti mentre la Norway sfrecciava sopra l’orlo di Pell e puntava su una rotta troppo vicina al pianeta. Trattenne il respiro e ascoltò le imprecazioni che si susseguivano attraverso il comunicatore.

La Pacific e l’Atlantic ricevettero l’ordine di intercettarli. Non avevano nessuna possibilità di allinearsi in tempo, e c’era il resto della Flotta in mezzo; e la Norway si stava avvicinando al cono di protezione della Porta dell’Infinito. L’Australia si stava staccando dalla stazione, e non c’erano ostacoli tra loro: quello era il vero pericolo. — Operatore — ordinò Signy. — Gli schermi di poppa. Quello è Edger. Colpire.

Nessun segnale di ricevuto; Tiho fece scattare gli interruttori in rapida successione e le luci lampeggiarono; gli schermi mostrarono le immagini.

Non avevano ricognitori per proteggersi in coda. L’Australia non aveva ricognitori davanti alla prua. Le porte stagne si bloccarono all’interno della Norway, segmentandola in diverse sezioni. La gravità cresceva, mentre il sincronizzatore del cilindro calcolava le possibili manovre. Attraverso il comunicatore arrivò la richiesta frenetica d’uno dei loro ricognitori, che voleva istruzioni. Signy non rispose.

La Porta dell’Infinito incombeva sul video, e loro stavano ancora accelerando a tutta forza. I segnali d’avvicinamento lampeggiavano. L’Australia era la nave più grande, quella che correva il maggior rischio.

Gli schermi e le spie luminose. Stavano sparando contro di loro.

PELL: MOLO AZZURRO; EUROPE; ore 2400 pg.; ore 1200 ag.

— No. — Mazian era in piedi al suo posto, con una mano premuta sull’auricolare mentre il ponte di comando era nel caos. — Restate dove siete, aspettate prima di prendere a bordo le truppe. Avvertitele che il molo azzurro ha una falla. Raccogliete tutti i militari sul molo verde, di qualunque nave siano. Passo.

Arrivarono i segnali di ricevuto. Pell era nel caos, un intero molo era in avaria, l’aria risucchiata attraverso i cavi, mentre la pressione scendeva. C’erano sagome galleggianti tra l’Europe e l’India, militari che si erano trovati sul ponte, ed erano stati risucchiati nel vuoto quando un accesso di due metri per due s’era strappato dagli ormeggi senza preavviso. Nel molo c’era il vuoto, che aveva risucchiato ogni cosa. I portelli stagni delle navi s’erano chiusi automaticamente nell’istante in cui era iniziata la decompressione, isolando anche quelli che erano più vicini alla salvezza.

— Keu — ordinò Mazian. — Rapporto.

— Ho dato gli ordini necessari — rispose una voce imperturbabile. — Tutte le truppe presenti su Pell si stanno dirigendo verso il settore verde.

— Al più presto… Porey, Porey, è ancora in ascolto?

— Qui Porey. Passo.

— Trasmetta gli ordini: distruggere la base della Porta dell’Infinito e giustiziare tutti gli operai.

— Sì, signore — disse Porey, con voce vibrante di collera. — Fatto.

Mallory, pensò Mazian, un nome che era diventato una maledizione, un’oscenità.

Gli ordini non erano stati ancora diffusi, i piani non erano ancora ben delineati. Ormai dovevano presumere il peggio e agire di conseguenza. Mettere fuori uso i comandi della stazione. Portare via le truppe e andarsene… ne avevano bisogno. Dovevano distruggere tutto ciò che poteva essere utile.

Sol. La Terra. Era necessario farlo subito.

E la Mallory… se avessero potuto mettere le mani su di lei…

CENTRALE DI PELL; ore 2400 pg.; ore 1200 ag.

Jon Lukas distolse lo sguardo dallo spettacolo di devastazione sugli schermi per puntarlo sul caos dei pannelli di controllo. I tecnici si agitavano freneticamente per trasmettere richieste all’accertamento danni e alla sicurezza.

— Signore — gli chiese qualcuno — signore, ci sono truppe bloccate nel settore azzurro, un compartimento isolato. Vogliono sapere se possiamo raggiungerli. Vogliono sapere quanto ci vorrà.

Jon Lukas restò immobile, come paralizzato. Non sapeva cosa dire. Le istruzioni non arrivavano più. C’erano soltanto le guardie, che gli stavano sempre intorno; anche Hale e i suoi compagni erano sempre con lui, giorno e notte, ed erano il suo costante incubo personale.

Adesso tenevano i fucili puntati sui tecnici. Lukas si voltò, guardò Hale per pregarlo di usare il comunicatore del casco e mettersi in contatto con la Flotta per chiedere informazioni… se quello era un attacco, un’avaria, e che cosa avesse indotto una nave della Flotta a staccarsi precipitosamente dalla stazione, con altre tre in coda.

All’improvviso Hale e i suoi uomini si fermarono tutti nello stesso istante, ascoltando qualcosa che soltanto loro potevano sentire. E poi si voltarono, puntando i fucili.

— No! — urlò Jon.

Spararono.

PORTA DELL’INFINITO, BASE PRINCIPALE; ore 2400 pg.; ore 1200 ag.; NOTTE LOCALE

C’erano poche occasioni per dormire. Ed ora uomini e hisa ne approfittavano, i primi raggomitolati nella cupola Q e gli altri fuori, nel fango, riposando a turno, con gli abiti addosso, nelle stesse coperte sporche di fango, per quel poco tempo che veniva loro concesso. I mulini non si fermavano mai, e il lavoro continuava di giorno e di notte.

Le fragili porte della camera di compensazione sbatterono una dopo l’altra, ed Emilio rimase immobile, irrigidito, trovando la conferma dei propri timori nel suono che l’aveva svegliato. Non era ora di alzarsi, sicuramente. Sembrava che fossero passati solo pochi minuti da quando s’era sdraiato per dormire. Sentiva il picchiettare della pioggia sulla cupola, e lo scricchiolio degli stivali, fuori sulla ghiaia. Non era una navetta che stava scendendo, ma svegliavano tutti e due i turni solo quando c’era da caricare.