— Ci uccideranno — disse Emilio. — Chiameranno rinforzi.
— No. Abbiamo un comunicatore nella boscaglia; un messaggio… un messaggio all’unità di comunicazione della base due, al santuario… se ne andranno tutti. Li abbiamo sistemati.
Emilio si lasciò andare, perché adesso poteva farlo… si voltò a guardare in direzione della nave, invisibile al di là della collina. Vi fu un altro bagliore dei motori, un rombo minaccioso: una nave disperata che tentava soltanto di salvare se stessa.
— Presto — disse Miliko, cercando di aiutarlo. Emilio si mosse, mentre gli hisa li circondavano. — Presto — continuarono a ripetere gli hisa. Alcuni degli umani camminavano, altri si lasciavano portare dagli hisa. Scesero dalla collina, tra gli alberi, fino a quando Emilio vide davanti a sé una macchia nerastra, e si accasciò sul terreno bagnato; venne risollevato da una dozzina di mani robuste, e trasportato quasi di corsa. C’era un’apertura nel fianco della collina, fra le rocce.
— Miliko — disse Emilio, vinto dalla paura irrazionale di quella galleria buia. Gli hisa lo portarono all’interno e lo adagiarono sul terreno, e dopo un momento due braccia lo strinsero, cullandolo dolcemente. La voce di Miliko gli bisbigliò all’orecchio. — Va tutto bene — disse lei. — Le gallerie ci ospiteranno tutti… le tane invernali, in tutte le colline… Va tutto bene.
CAPITOLO QUARTO
Stavano tornando indietro. L’Australia era in piena virata, la Pacific e l’Atlantic si stavano allontanando. Signy ascoltò il sospiro di sollievo che si diffuse in sala comando mentre i canali trasmettevano buone notizie. — Controllate attentamente — scattò lei. — Accertamento danni, al lavoro. — La sala comando vacillò davanti ai suoi occhi. Forse era effetto dell’alcool, ma ne dubitava. Negli ultimi minuti avevano fatto abbastanza manovre per renderla di nuovo sobria.
La Norway era quasi completamente indenne. Graff era ancora ufficialmente al timone, ma l’aveva lasciato per un momento a Terschad, del turno d’altergiorno, e stava controllando i dati telemetrici, con la faccia madida di sudore e segnata dalla tensione. La gravità abbandonò la sincronizzazione da combattimento e il peso ritornò finalmente stabile.
Signy si alzò, ascoltando i rapporti degli schermi e mettendo alla prova i propri riflessi. Si reggeva in piedi piuttosto bene. Si guardò intorno. Molti occhi la sbirciavano furtivamente e subito si riabbassavano. Si schiarì la gola e inserì tutti gli altoparlanti. — Qui Mallory. Sembra che anche l’Australia abbia deciso di mollare, per il momento. Torneranno tutti alla base per aiutare Mazian. Faranno a pezzi Pell. Questo era il piano. Si dirigeranno verso la stazione di Sol e la Terra; e anche questo era nel piano. Porteranno la guerra fin là. Ma senza di me. Ecco come stanno le cose. Potete scegliere. Potete scegliere. Se accettate i miei ordini, ce ne andremo per i fatti nostri e torneremo a fare quel che abbiamo sempre fatto. Se volete seguire Mazian, sono sicura che consegnandomi a lui vi metterete in ottima luce ai suoi occhi. In questo momento non sogna altro che di prendermi. Trattate con Mazian, se volete. Ma io… no. Nessuno comanderà la Norway tranne me, finché sarò in condizioni di dare ordini.
Dal comunicatore uscì un brusio. Tutti i canali erano aperti. Il mormorio divenne più chiaro… acquisì un ritmo. Signy… Signy… Sig-ny… Sig-ny… Si diffuse in sala comando. — Signy! — I membri dell’equipaggio si alzarono dai loro posti. Lei si guardò intorno, stringendo i denti, decisa a non perdere la competenza. Erano dalla sua parte. La Norway era sua.
— Sedete! — gridò. — Cosa credete che sia? Una festa?
Erano in pericolo. La manovra dell’Australia poteva essere una diversione. Ormai si muovevano troppo velocemente per effettuare rilevamenti attendibili, e la posizione dell’Atlantic e della Pacific era puramente ipotetica: dalle proiezioni confuse del computer poteva uscire qualunque cosa… e c’erano i ricognitori in volo.
— Prepararsi al balzo — disse Signy Mallory. — Dirigere verso il punto 58. Toglieremo il disturbo per un po’. — I suoi ricognitori erano ancora a Pell. Con un po’ di fortuna avrebbero potuto evitare la cattura. Mazian avrebbe avuto troppo da fare per occuparsene. Se avevano buon senso sarebbero rimasti alla larga, fidandosi di lei, convinti che sarebbe tornata a prenderli appena avesse potuto farlo. E lei voleva farlo. Doveva. Avevano un bisogno disperato della protezione dei ricognitori. Sicuramente i ricognitori dovevano essersi allontanati, quando s’erano accorti che la Norway stava fuggendo. Lei non li aveva mai delusi. E Mazian lo sapeva.
Signy scacciò quel pensiero e si mise in contatto con l’infermeria. — Come sta Di?
— Di sta benone — rispose lo stesso Janz. — Mi lasci salire.
— Neppure per idea. — Lei tolse la comunicazione e chiamò il posto di guardia numero uno. — I nostri prigionieri si sono rotti qualche osso?
— Sono tutti interi.
— Portateli su.
Si assestò sul cuscino, e seguì lo sviluppo degli eventi, tracciando mentalmente la rotta per uscire dal sistema di Pell e prepararsi al balzo, a metà della velocità della luce. L’accertamento danni trasmise un rapporto. Un compartimento in decompressione, una piccola parte delle viscere della Norway riversata nel vuoto, ma non nella sezione del personale… niente di grave. Non avrebbe pregiudicato il balzo. Nessun morto. Nessun ferito. Signy respirò meglio.
Era il momento di andarsene. Da quasi un’ora i segnali di ciò che stava accadendo a Pell continuavano ad arrivare, diretti verso le navi che li avrebbero ritrasmessi, fino a quando sarebbero stati captati dai confederati. Stava per diventare una zona pericolosa, quella.
Una spia si accese sul quadro. Signy girò il sedile verso i prigionieri che erano entrati dal portello di poppa, con le mani ammanettate dietro la schiena, una precauzione ragionevole nelle corsie affollate della sala comando. Nessuno era mai entrato nella sala comando della Norway, nessun estraneo… prima di quei due. Casi speciali… Josh Talley e Damon Konstantin.
— La grazia — disse Signy. — Pensavo che ci teneste a saperlo.
Forse non compresero. Le rivolsero occhiate di preoccupazione.
— Abbiamo abbandonato la flotta. Siamo diretti verso lo spazio. Lei vivrà, Konstantin.
— Non l’ha fatto per me.
Signy rise. — No. Ma ci guadagna, capisce?
— Cos’è successo a Pell?
— I vostri altoparlanti erano in funzione. Mi avete sentita. È questo che sta succedendo a Pell, e adesso la Confederazione dovrà scegliere, no? Salvare Pell o inseguire Mazian. E noi ce ne andiamo per non confondere le idee.
— Li aiuti — disse Konstantin. — Per amor di Dio, aspetti. Aspetti e li aiuti.
Lei rise per la seconda volta, e guardò con aria acida il volto ansioso di Konstantin. — Che cosa potremmo fare? La Norway non prende profughi a bordo. Non può. Far scendere fez? Sotto il naso di Mazian o della Confederazione? Ci disintegrerebbero…
— Ma si potrebbe… quando torneranno a prendere i ricognitori…
— Mallory — disse Josh, avvicinandosi a lei per quanto glielo consentivano le guardie che lo avevano in custodia. Lei fece un cenno e le guardie lo lasciarono. — Mallory… c’è un’altra possibilità. Passa dall’altra parte. C’è una nave, mi senti? L’Hammer. Potresti risolvere tutto. Mettere fine a tutto questo… e ottenere l’amnistia.