— Tom — trasmise Damon, una comunicazione privata per Tom Ushant dell’ufficio del difensore — se ti viene il sospetto che qualcosa non vada in qualcuno di questi casi, inoltra l’appello a me senza badare alle procedure. Stiamo inoltrando troppe condanne e troppo in fretta; sono possibili errori. Non voglio scoprirne uno dopo l’inizio del procedimento. Non si aspettava una risposta. Ma la risposta arrivò: — Damon, dai un’occhiata al fascicolo di Talley, se cerchi qualcosa che non ti faccia dormire. Russell ha usato l’Adattamento.
— Vuol dire che Talley l’ha già subito?
— Non per terapia. Voglio dire che l’hanno usato per interrogarlo.
— Darò un’occhiata. — Damon tolse la comunicazione, cercò il numero d’accesso, fece apparire il fascicolo sullo schermo. Pagine e pagine di dati dei loro interrogatori passarono davanti ai suoi occhi; era quasi tutto materiale poco importante: nome e numero della nave, mansioni… un operatore poteva conoscere la consolle che aveva davanti e quello che stava per colpire, ma niente di più. Poi, i ricordi della patria… la famiglia uccisa in un’incursione della Flotta contro le miniere del sistema di Cyteen; un fratello ucciso in servizio… una ragione più che sufficiente per serbare rancori. Allevato dalla sorella della madre su Cyteen, in una specie di piantagione… poi una scuola governativa, insegnamento tecnico intensivo. Affermava di non conoscere la politica, non aveva risentimenti per la situazione. Le pagine scorrevano nella trascrizione originale, caotiche, non condensate… parlavano di tormentosi problemi personali, il tipo di dettagli intimi che affioravano alla superficie durante l’Adattamento, quando una buona parte dell’io veniva messa a nudo, esaminata, scrutata. Paura di essere abbandonato: la più terribile; paura di risultare un peso per i parenti, di meritare d’essere abbandonato; aveva un vago senso di colpa per la perdita della sua famiglia, aveva una paura ossessiva che ciò potesse ripetersi in ogni nuovo legame affettivo. Era affezionato alla zia. Si è presa cura di me, diceva a un certo punto. Mi abbracciava, qualche volta. Mi abbracciava… mi voleva bene. Lui non avrebbe voluto lasciarla. Ma la Confederazione aveva le sue esigenze; era lo stato a mantenerlo, e l’avevano portato via, quando aveva raggiunto la maggior età. Poi l’istruzione e il condizionamento da parte dello stato, l’addestramento militare e nessuna licenza per tornare a casa. Per un po’, aveva ricevuto lettere dalla zia; lo zio invece non aveva mai scritto. Lui pensava che ormai la zia fosse morta, perché le lettere non erano più arrivate da diversi anni. Mi avrebbe scritto, pensava lui. Mi voleva bene. Ma c’era la paura profonda che invece non fosse così; che avesse voluto in realtà solo il denaro che passava lo stato; e provava un senso di colpa, perché non era andato a casa; e il timore di aver meritato anche quella separazione. Aveva scritto allo zio e non aveva ricevuto risposta. Questo l’aveva addolorato, anche se tra lui e lo zio non c’era mai stato affetto. Mentalità, convinzioni… un’altra ferita, un’amicizia rotta; un amore immaturo, un altro caso in cui le lettere avevano smesso di arrivare, e quella ferita si era aggiunta alle altre. Un legame successivo, con una compagna del servizio… interrotto spiacevolmente. Lui tendeva a impegnarsi disperatamente. Accettami, ripeteva, nella sua patetica, segreta solitudine. E altre cose.
Ecco. Il terrore del buio. Un incubo vago, ricorrente: uno spazio bianco. Interrogatori. Droghe. Su Russell avevano usato le droghe, contro i princìpi dell’Anonima, contro tutti i diritti umani… avevano desiderato molto scoprire qualcosa che Talley non sapeva. Era stato trasferito dalla zona di Mariner — Mariner — a Russell nel momento del massimo panico. Avevano cercato informazioni, nella stazione minacciata; avevano usato le tecniche dell’Adattamento negli interrogatori. Damon si portò una mano sulla bocca e guardò nauseato la registrazione frammentaria che gli scorreva davanti. Si vergognava della sua scoperta, si sentiva ingenuo. Non aveva messo in dubbio i rapporti di Russell, non aveva indagato; aveva altre cose per le mani, e dipendenti che dovevano occuparsi della cosa; non aveva voluto interessarsi al caso — lo riconosceva — più di quanto fosse assolutamente necessario. Talley non l’aveva mai chiamato. Già provato dal trattamento precedente, s’era fatto forza per indurre Pell a fare l’unica cosa che poteva mettere fine al suo inferno mentale. Talley l’aveva guardato con fermezza negli occhi e aveva organizzato il proprio suicidio.
La documentazione continuava., dall’interrogatorio sotto l’effetto delle droghe all’evacuazione caotica, tra la folla disordinata della stazione da una parte e i militari che lo minacciavano dall’altra.
E cosa era successo durante quel lungo viaggio, quando era stato prigioniero su una delle navi di Mazian…
La Norway… e la Mallory.
Damon spense il visore e rimase a fissare il mucchio di carte, le condanne non ancora definitive. Dopo un po’, si rimise al lavoro, con le dita intorpidite a furia di firmare autorizzazioni.
Erano saliti a bordo in molti alla Stella di Russell, individui che, come Talley, forse erano sani di mente prima che tutto incominciasse. Quelli che erano sbarcati da quelle navi, quelli che erano nel settore Q erano diventati ciò che erano dopo essere stati dei tipi normali.
Lui imponeva semplicemente la distruzione di vite come quella di Talley, vite già perdute. Uomini come lui, pensò, che avevano valicato i confini della civiltà ed erano finiti là dove la civiltà non significava più nulla.
La Flotta di Mazian… persino loro, persino i tipi come la Mallory, avevano sicuramente incominciato in un modo diverso.
— Non inoltrerò appello — gli disse Tom quando si ritrovarono a pranzo, anche se in realtà si limitarono a bere, più che a mangiare.
E dopo pranzo Damon andò nel piccolo centro di Adattamento, nella sezione rossa, e tornò nell’area del trattamento. Vide Josh Talley, Talley non si accorse di lui anche se forse non avrebbe avuto importanza. A quell’ora Talley riposava, dopo aver pranzato. Il vassoio era ancora sul tavolo; aveva mangiato bene. Era seduto sul letto con un’espressione stranamente vacua mentre tutte le rughe dovute alla tensione erano sparite.
Angelo alzò gli occhi verso l’aiutante, per il rapporto sulla nave in partenza, esaminò il manifesto e alzò di nuovo lo sguardo. — Perché l’Hansford?
L’aiutante si dondolò leggermente, impacciato. — Prego, signore?
— Ci sono due dozzine di navi ferme e l’Hansford parte? Ridotta in quello stato? E con quale equipaggio?
— Credo che l’equipaggio sia stato arruolato in base alla lista degli inattivi, signore.
Angelo sfogliò il rapporto. — Società Lukas. Diretta a Viking con una nave praticamente smantellata, un equipaggio improvvisato e Dayin Jacoby come passeggero? Chiami Jon Lukas.
— Signore — disse l’aiutante — la nave ha già lasciato il molo.
— L’ora di partenza so leggerla anch’io. Mi chiami Jon Lukas.
— Sì, signore.
L’aiutante uscì. Dopo pochi istanti, lo schermo sulla scrivania s’illuminò e apparve Jon Lukas. Angelo trasse un profondo respiro, si calmò, inclinò il rapporto verso la telecamera. — Lo vedi?
— Hai qualcosa da chiedere?
— Che cosa sta succedendo?
— Abbiamo delle proprietà a Viking. Affari da mandare avanti. Dobbiamo lasciare che i nostri interessi vengano travolti dal panico e dal disordine? Dobbiamo tranquillizzarci.