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— Qualche volta mi accorgo di non ascoltare tutto quello che dici.

— Su una nave… è affar mio, avere un figlio o no. In certe cose, le famiglie delle navi sono più vicine, in altre sono più lontane. Ma tu, con la tua famiglia… lo capisco. Lo rispetto.

— È anche la tua famiglia. È tua.

Lei sorrise, debolmente: un’offerta, forse. — E allora che cosa ne dici?

Gli uffici pianificazione di Pell emanavano terribili avvertimenti, o consigli, o suppliche. Non si trattava solo della creazione del settore Q. C’era la guerra che si avvicinava. Le regole valevano innanzi tutto per i Konstantin.

Damon si limitò ad annuire. — Quindi abbiamo finito di attendere.

Fu come se si dileguasse un’ombra. Lo spettro dell’Estelle fuggì dal piccolo appartamento che era stato loro assegnato nel settore azzurro cinque, molto più piccolo dell’altro; non erano riusciti a sistemare i loro mobili e tutto era fuori posto. All’improvviso era diventata la loro casa, il corridoio con i piatti ammonticchiati nei guardaroba e il soggiorno che di notte si trasformava nella camera da letto, con le casse legate nell’angolo — le casse di vimini fabbricate dagli indigeni — che contenevano quello che avrebbe dovuto essere sistemato negli armadi del corridoio.

Si sdraiarono sul letto che di giorno faceva da divano. E lei parlò stando fra le braccia di Damon, parlò per la prima volta dopo settimane, fino a notte inoltrata, un fiume di ricordi che non aveva mai voluto spartire con lui, in tutto il tempo in cui erano rimasti insieme.

Damon cercava di comprendere ciò che Elene aveva perduto con l’Estelle: la sua nave… ancora la chiamava così. I parenti, i vari legami. La morale dei mercantili, diceva il proverbio delle stazioni; ma lui non riusciva a vedere Elene con gli altri, fra quei ribaldi spaziali in libera uscita pronti a prendersi una sbronza e ad andare a letto con chi capitava. Non avrebbe mai potuto crederlo.

— E invece devi — disse Elene, sfiorandogli la spalla con il suo respiro. — È così che viviamo. Cosa vorresti, invece? Unioni fra consanguinei? Erano tutti miei cugini, su quella nave.

— Tu eri diversa — insistette Damon. La ricordava come l’aveva vista la prima volta, nel suo ufficio, per la questione di un suo cugino che s’era messo nei guai… era sempre più tranquilla e silenziosa degli altri. Una conversazione, un altro incontro; un altro ancora; un secondo viaggio… e di nuovo Pell. Lei non era mai andata a fare il giro dei bar con i cugini, non aveva frequentato i soliti locali degli spaziali; era venuta da lui e aveva passato con lui quei giorni di sosta alla stazione. Non si era più imbarcata. Quelli dei mercantili si sposavano raramente. Lei l’aveva fatto.

— No — disse Elene. — Tu eri diverso.

— Accetteresti il bambino di chiunque? — Quel pensiero lo turbava. Non aveva mai chiesto certe cose a Elene perché credeva di saperle. Ed Elene non aveva mai parlato così. Damon cominciò solo ora a riconsiderare tutto quel che credeva di sapere, a soffrire e a lottare. Lei era Elene: a questo lui credeva ancora, con fiducia.

— Come potremo averli, altrimenti? — chiese lei, con una logica che non ammetteva repliche. — Li amiamo, non credi? Appartengono a tutta la nave. Ma adesso non ce ne sono. — All’improvviso, riusciva a parlarne. Damon sentì la tensione defluire in un sospiro. — Sono tutti morti.

— Dicevi che Elt Quen era tuo padre, Tia James tua madre. Era così?

— Lui era mio padre. Lei lo sapeva. — E poi, subito dopo aggiunse: — Lei aveva lasciato una stazione per seguirlo. Non molti lo fanno.

Elene non gli aveva mai chiesto di farlo. Quel pensiero non lo aveva mai sfiorato. Chiedere a un Konstantin di lasciare Pell… si domandò se l’avrebbe fatto, e provò un profondo disagio. L’avrei fatto, insistette. Forse. — Sarebbe stato duro — ammise, a voce alta. — Per te lo è stato.

Lei annuì, sfiorandogli il braccio.

— Sei pentita, Elene?

Lei scrollò lievemente il capo.

— È tardi per parlarmene — disse Damon. — Vorrei che l’avessimo fatto prima. Vorrei che ci fossimo conosciuti abbastanza per parlarci. C’erano tante cose che non sapevamo.

— Ti dà fastidio?

La strinse a sé, e la baciò attraverso il velo dei capelli, scostandoli lievemente. Per un momento pensò di dire di no, poi decise di non dire nulla. — Hai visto Pell. Ti rendi conto che non ho mai messo piede su un mezzo spaziale più grande di una navetta? Che non sono mai uscito da questa stazione? Non so come vedere certe cose, non so neppure come immaginarle. Mi capisci?

— E ci sono certe cose che anch’io non so come chiederti.

— Di che cosa si tratta?

— L’ho appena detto.

— Non so dire sì o no, Elene, non so se avrei potuto lasciare Pell. Ti amo, ma non so se avrei potuto farlo… dopo così poco tempo. E mi rattrista, sapere che in me c’è qualcosa che non ho mai scoperto… non ho fatto altro che pensare a come potevo renderti felice su Pell…

— È più facile per me rimanere qui… che per un Konstantin sradicarsi da Pell; fermarsi è facile, noi lo facciamo sempre. Ma non avevo mai pensato di perdere l’Estelle. Come tu non avevi mai pensato a quello che c’è là fuori. Mi hai risposto.

— In che modo ti ho risposto?

— Mi hai risposto con ciò che ti addolora.

Rimase sconcertato. Lo facciamo sempre. Ed ebbe paura. Ma Elene parlò ancora, rimanendogli vicina, parlò di sentimenti profondi; l’infanzia a bordo di un mercantile; la prima volta che aveva messo piede su una stazione, a dodici anni, spaventata dai rudi uomini del luogo, i quali presumevano che ogni ragazza sbarcata da un mercantile fosse disponibile. E un suo cugino era morto su Mariner, anni prima, accoltellato da uno della stazione, senza neppure comprendere il sentimento di invidia per il quale era stato ucciso.

E una cosa incredibile… che nella perdita della sua nave, l’orgoglio di Elene ne aveva sofferto: l’orgoglio… quell’idea lo sbalordì e per un po’ rimase disteso a guardare il soffitto buio, a riflettere.

Il nome era sminuito… una proprietà, come la nave. Qualcuno l’aveva ridicolizzato, in modo troppo anonimo per darle un nemico su cui vendicarsi. Per un momento Damon pensò alla Mallory, alla dura arroganza di un’élite, l’aristocrazia del privilegio. Mondi isolati, con una legge propria, dove nessuno possedeva qualcosa, e tutti la possedevano: la nave e tutti coloro che le appartenevano. Mercanti che avrebbero sputato negli occhi a una dirigente d’una stazione cedevano il passo borbottando quando l’ordine veniva da una Mallory o da una Quen. Elene aveva sofferto per la perdita dell’Estelle. Doveva essere così. Ma anche la vergogna… la vergogna di non essere stata presente quando era necessario. Pell l’aveva assegnata agli uffici del molo, dove poteva servirsi della reputazione dei Quen; ma adesso non aveva niente alle spalle, nient’altro che la reputazione che non aveva potuto difendere. Un nome morto. Una nave morta. Forse sentiva la pietà degli altri mercanti. E questa sarebbe stata l’amarezza più grande.

Gli aveva chiesto una cosa. E lui gliel’aveva negata senza discutere. Senza capire.

— Il primo figlio — mormorò, girando la testa sul cuscino per guardarla — sarà un Quen. Mi senti bene, Elene? Pell ha già abbastanza Konstantin. A mio padre potrà dispiacere; ma capirà. Anche mia madre capirà. Credo che sia importante agire così.

Elene cominciò a piangere, come non l’aveva mai vista piangere prima, sebbene cercasse di trattenersi. Lo abbracciò e rimase così, fino al mattino.

CAPITOLO DECIMO