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STAZIONE VIKING: 5/6/52

Viking era sospesa nell’aura scintillante di una stella dall’aspetto minaccioso. Attività minerarie e industrie metallurgiche… era questo a sostenerla. Segust Ayres, del ponte del mercantile, guardava l’immagine sugli schermi.

E qualcosa non andava. Il ponte di comando era immerso nel brusio dei segnali d’allarme che rimbalzavano da una postazione all’altra, tra fronti aggrondate e occhiate di preoccupazione. Ayres guardò i suoi tre compagni. Anche loro se n’erano accorti, ed erano irrequieti, e cercavano di non intralciare le procedure che costringevano gli ufficiali a fare la spola da una postazione all’altra.

Insieme a loro stava arrivando un’altra nave. Ayres ne sapeva abbastanza per capire cosa stava succedendo. Si avvicinò fino quando apparve sugli schermi; le navi non dovevano viaggiare tanto vicine, soprattutto a così poca distanza da una stazione; era una nave molto grande, composta da vari moduli.

— È nel nostro corridoio — disse il delegato Marsh.

La nave si avvicinò ancora di più, e il capitano del mercantile si alzò, raggiungendo gli altri. — Ci sono guai — disse. — Ci stanno scortando. Non riconosco la nave che ci accompagna. È militare. Francamente, non credo che ci troviamo ancora nello spazio dell’Anonima.

— Ha intenzione di invertire la rotta e di fuggire? — chiese Ayres.

— No. Lei può ordinarlo, ma noi non lo faremo. Lei non sa come vanno queste cose. Lo spazio è grande, e qualche volta, si possono avere sorprese. Qui è successo qualcosa. E noi ci siamo capitati in mezzo. Sto trasmettendo la richiesta di non sparare, in continuazione. Attraccheremo pacificamente. E se avremo fortuna, ci lasceranno ripartire.

— Lei pensa che la Confederazione sia arrivata fin qui.

— Ci siamo soltanto noi e loro, signore.

— E la nostra situazione?

— È molto spiacevole, signore. Ma è un rischio che avete voluto correre. Non credo che vi lasceranno andare. No, signore. Mi dispiace.

Marsh cominciò a protestare. Ayres tese una mano. — No. Propongo di andare a bere qualcosa nel salone e di aspettare. Ne parleremo.

Le armi innervosivano Ayres. Mentre veniva scortato dai giovani armati di fucile attraverso un molo simile a quello di Pell, e poi introdotto in un ascensore insieme a quei giovani rivoluzionari, si sentì mancare il fiato e si preoccupò per i suoi compagni che erano ancora sotto sorveglianza a bordo della nave. I soldati che aveva visto attraversando il molo di Viking sembravano tutti eguali in quelle tute verdi, un mare di verde che sommergeva i pochi civili rimasti. Armi dappertutto. E ampi spazi vuoti, lungo la curva dei moli in lontananza. Non c’era abbastanza gente. Un numero molto inferiore a quello dei residenti di Pell, nonostante che intorno alla Stazione Viking vi fosse una gran quantità di mercantili. Presi in trappola, pensò: forse gli equipaggi venivano trattati abbastanza gentilmente — i militari che erano saliti a bordo della sua nave s’erano comportati con fredda cortesia — ma c’era da scommettere che quelle navi non sarebbero ripartite.

Né la nave che li aveva portati sin lì, né le altre.

L’ascensore si fermò a uno dei livelli superiori. — Fuori — disse il giovane capitano, e con un movimento della canna del fucile gli ordinò di avviarsi sulla sinistra, lungo il corridoio. L’ufficiale non aveva più di diciotto anni. Maschi e femmine avevano i capelli cortissimi e dimostravano tutti la stessa età. Si disposero davanti e dietro di lui, formando una scorta più numerosa di quanto lo giustificasse un uomo della sua età e nelle sue condizioni fisiche. Lungo il corridoio che portava agli uffici vi erano altri militari, tutti con i fucili spianati allo stesso modo. Tutti sui diciotto anni, tutti con i capelli corti, tutti…

… attraenti. Era questo che colpiva la sua attenzione. Avevano un aspetto gradevole, con quelle facce fresche, come se la bellezza fosse solo un ricordo, come se non vi fosse più distinzione. In quello schieramento, una cicatrice, uno sfregio qualunque, sarebbe apparso bizzarro. Per maschi e femmine, le proporzioni avevano un ristretto margine di tolleranza, e si assomigliavano tutti, sebbene lineamenti e carnagione fossero diversi. Come tanti manichini. Ayres ricordò le truppe malconce della Norway, e la comandante dai capelli grigi, il loro equipaggiamento rabberciato, un comportamento che sembrava ignorare la disciplina. Sudiciume. Cicatrici. Il peso degli anni.

Rabbrividì tra sé, e sentì una morsa di gelo nelle viscere mentre procedeva in mezzo ai manichini, entrava nei vari uffici e poi in un’altra stanza, davanti a un tavolo intorno al quale sedevano uomini e donne più anziani. Provò un senso di sollievo nel vedere capelli grigi, difetti fisici, pinguedine. Un sollievo delirante.

— Il signor Ayres. — Un manichino che imbracciava il fucile lo annunciò. — Delegato dell’Anonima. — Il manichino avanzò, posò i documenti confiscati sul tavolo davanti alla figura al centro, una donna massiccia, grigia di capelli. Lei li sfogliò e alzò la testa aggrottando lievemente la fronte. — Signor Ayres… Ines Andilin — disse. — Una brutta sorpresa per lei, no? Ma sono cose che capitano. Ora vorrà protestare in rappresentanza dell’Anonima perché ci siamo impadroniti della sua nave. Lo faccia pure.

— No, cittadina Andilin. È stata una sorpresa, sì, ma non sconvolgente. Sono venuto a vedere quel che potevo vedere, e ho visto abbastanza.

— E che cos’ha visto, cittadino Ayres?

— Cittadina Andilin. — Ayres avanzò di qualche passo, per quanto glielo permettevano quelle facce ansiose e il movimento improvviso dei fucili. — Io sono il secondo segretario del Consiglio di Sicurezza della Terra. I miei compagni appartengono alle più alte gerarchie dell’Anonima Terra. La nostra ispezione ci ha mostrato un caos e un militarismo, nella Flotta dell’Anonima, che hanno superato ogni limite di responsabilità dell’Anonima. Siamo sbigottiti da ciò che abbiamo scoperto. Sconfessiamo Mazian; non desideriamo conservare i tenitori in cui i cittadini hanno optato per un governo diverso; siamo ansiosi di sbarazzarci di un conflitto gravoso e di un’attività non redditizia. Voi sapete benissimo di possedere questo territorio. Il confine è assai labile; non possiamo imporre quello che i residenti delle Stelle Sperdute non vogliono; anzi, che interesse avremmo a farlo? Non consideriamo propriamente un disastro l’incontro in questa stazione. Anzi, vi stavamo cercando.

Vi fu un moto di perplessità tra i presenti.

— Siamo disposti — disse Ayres, a voce alta, — a cedervi ufficialmente tutti i territori contestati. Francamente, non abbiamo interessi al di là dei confini attuali. Il braccio spaziale dell’Anonima è stato sciolto per voto dei consigli di amministrazione; il nostro unico interesse, ormai, è provvedere a un disimpegno ordinato, a una ritirata, e stabilire un confine che assegni a entrambi uno spazio ragionevole.

Molte teste si chinarono. I membri del consiglio confabularono tra loro. Perfino i manichini allineati intorno alla sala sembravano irrequieti.

— Noi siamo un’autorità locale — disse alla fine Andilin. — Avrà la possibilità di rilanciare le sue offerte. Potete bloccare i maziani e garantire la nostra sicurezza?

Ayres trattenne il respiro. — La Flotta di Mazian? No, se i suoi comandanti sono un valido esempio.

— Lei viene da Pell?

— Sì.

— E afferma di avere esperienza dei comandanti di Mazian?

Per un momento, Ayres si smarrì… non era abituato a simili sviste. E non era neppure abituato a distanze tanto grandi, dove quegli avvenimenti potevano far notizia. Ma quelli del mercantile, pensò, ne sapevano abbastanza, almeno quanto lui. Nascondere le informazioni non solo era inutile: era pericoloso. — Ho incontrato — confessò — la comandante della Norway, una certa Mallory.